La leggenda della Neva

Sull'aria de "La leggenda del Piave". Canto che esprime le "febbrili speranze che nutriva nel 1919 il

proletariato italiano. Tali speranze (che a molti apparivano certezza) non si realizzarono: si scatenò

invece la più bestiale e crudele reazione della storia" (da "Canti Comunisti, di Spartacus Picenus).


 

La Mi

La Neva contemplava

La Re

della folla umile e oscura

La Si Mi

il pianto silenzioso e la tortura.

La Mi

La plebe sanguinava

La Re

come Cristo sulla Croce

La Mi Re

svenata dalla monarchia feroce

Mi

che non paga di forche e di Siberia

volle ancor della guerra la miseria...

La Mi

Ma sorse alfin un Uomo di coraggio

Si- Mi La

che infranse le catene del servaggio

Mi

e sterminò le piovre fino in fondo.

La

Quell'uomo fu Lenin

Mi La

liberator del mondo.

La Neva trasportava

verso il Mar, da Pietrogrado,

il motto di Lenin "Chi è ricco è ladro"

ed il motto volando

per i mari e i continenti

destò dal sonno gi schiavi dormenti.

E valicò gli Urali, il Kremlino

e giunse sino a Monaco e Berlino...

Qui sventolando la Bandiera Rossa

"Spartaco" diè il segnal della riscossa.

E cadde. Ma alla notte, sulla Sprea

- qual immenso falò -

la salma risplendea.

La Neva commossa

alla Sprea vaticinava

che non invano "Spartaco" spirava.

La pura salma rossa

ingigantì la tormenta

e... "di denti di draghi fu sementa".

Oh quanto ne fu di fertile il terreno

e non soltanto sulla Sprea e sul Reno!

Ben disse il duce degli Spartachiani:

"Malgrado tutto, sarà mio il domani".

E l'eco ripetè a tutta la Terra:

"Fra oppressi ed oppressor

non pace mai, ma guerra!".

La Neva altri prodigi

non invano prometteva.

L'incendio all'universo si estendeva.

Minaccia il Po, il Tamigi

il Danubio ed altre sponde.

Arrosserà del Tebro le acque bionde.

Spartaco ruggirà dalla sua fossa:

... "Eserciti di schiavi, alla riscossa!".

O sozza tirannia, da troppo langue

la folla prona, cui succhiasti il sangue.

O casta scellerata e maledetta,

è giunto anche per noi

il dì della vendetta!

Là, sulla sacra Neva

sta Lenin che ansioso osserva

se la plebe latina è ancora serva.

Compagni, su mostriamo

ai fratelli bolscevichi

che noi non siamo più gli schiavi antichi!

E le campane pur suonino a festa

per salutar la plebe che s'è desta!

Noi dei tiranni il cuore ed il cervello

frantumeremo a colpi di martello.

Si appressa il giorno del fraterno amore.

Mouor con la tirannia

il regno del terrore!