| |
http://www.delos.fantascienza.com/delos61/tre-registi-bava.html
Come abbiamo detto prima accanto a Riccardo Freda, almeno all'inizio, c'è un
ottimo direttore della fotografia destinato a diventare uno dei migliori
registi nel cinema fantastico e dell'orrore: Mario Bava. Egli
nacque il 31 Luglio 1914 a San Remo in mezzo al cinema in quanto il padre,
Eugenio, era un ottimo scenografo. Iniziò il suo lavoro nel cinema
realizzando i titoli dei film stranieri per conto dell'Istituto Luce ma il suo
vero è proprio ingresso nel mondo della celluloide come direttore della
fotografia avviene nel 1943 con L'avventura di Annabella di Luigi
Menardi. Dopo aver lavorato con Riccardo Freda in I vampiri e in Caltiki
il mostro immortale, ha il suo esordio nella regia cinematografica con La
maschera del demonio del 1960 interpretato dall'allora esordiente Barbara
Steele. La pellicola è nata, come spesso accade in Italia, dietro la
scia del successo commerciale ottenuto da Dracula il vampiro di Terence
Fisher ma, per paura dei produttori, realizzato in un più economico bianco e
nero. Fu un successo conosciuto in Germania come Die stunde wenn Dracula
Kommt, in Francia restò La Masque du Demon, negli Stati Uniti
divenne Black Sunday o anche The Mask of the Demon ed in
Inghilterra Revenge of the Vampire.
Siamo nel 1830 ed il Dottor Chomas, assieme al suo assistente, Goborek, mentre
sono diretti a Mosca, per un guasto alla carrozza si fermano nei pressi di un
castello sul quale pesa una maledizione di una strega, Asa, uccisa due secoli
prima. Abita ancora il maniero una discendente della strega, Katia. Asa viene
riportata in vita da una goccia di sangue di Chomas. La diabolica creatura,
(Barbara Steele), comincia a compiere le sue vendette, aiutata dal suo
resuscitato amante. Toccherà a Gaborek il compito di distruggere la strega e
salvare così Katia (Ancora Barbara Steele).
La storia è molto liberamente tratta dal breve racconto Il Vij di
Gogol. Una delle caratteristiche peculiari della cinematogria italiana
dell'orrore ed anche del thriller è il senso "splatter" evidenziato
fin dai suoi primi film. Contrariamente ai suoi confratelli d'oltreoceano,
questa serie di film prima a cui farà seguito anche il western dopo, sono più
violenti, più efferati ed ancora di più lo diventeranno specialmente sotto
Lucio Fulci e Aristide Massaccesi (Joe D'Amato) negli anni a seguire. Nel caso
della Maschera del Demonio abbiamo tutta una angosciante sequenza nella
quale una maschera acuminata viene messa a viva forza sul volto della strega
in modo che le punte penetrino nella carne e il sangue ne esca copioso.
I segni di queste ferite le ritroviamo sul volto del demone resuscitato. Dopo
aver girato il favolistico Le meraviglie di Aladino nel 1961 in realtà
di Henry Levin ma integrato da Bava, sempre nello stesso anno
gira Ercole al centro della Terra dove il mitico eroe, aiutato da
Teseo scende nell'Averno per recuperare una pietra magica capace di guarire
Dejanira la cui memoria è stata cancellata dalle oscure trame di Lico,
interpretato da Christopher Lee. Il film è un gustoso
melange di mitologia fantastica condita con un pizzico di horror esternato
dalla squadra dei morti viventi che Lico ha in suo potere.
Uno dei migliori film in assoluto del regista deve considerarsi I tre
volti della paura che è composto da tre storie presentate dal grande Boris
Karloff in modo intrigante ed ironico. Nella prima storia, intitolata
Il telefono, la protagonista si trova alle prese con una falsa amica
che, camuffando la voce, le fa delle telefonate minacciose fingendo di essere
un uomo mandato in prigione che per questo ora vorrebbe ucciderla. Il macabro
scherzo delle telefonate anonime si ritorceranno contro di lei. Il secondo
episodio, il più lungo, è interpretato da Boris Karloff e s'intitola I
Wurdalak. Un giovane (Mark Damon) giunge presso una casa
isolata dove il suo capofamiglia, Gorka (Karloff), è diventato un pericoloso
vampiro che infetta lentamente tutti i suoi familiari. Il giovane decide di
fuggire con Sdenka (Susy Andersen) ma, al calare delle
tenebre, tutti i familiari della ragazza, ormai diventati vampiri, li
raggiungono e li trasformano come loro. Il terzo episodio s'intitola La
goccia d'acqua e verte sulla morte di un'anziana medium e su una
infermiera chiamata a comporne il corpo. La ragazza sottrae un anello alla
morta e, durante la notte, una volta rientrata nella propria casa, ode un
insistente e misterioso sgocciolare e si trova davanti al cadavere della
defunta che sembra avanzare verso di lei per strangolarla. Il giorno dopo la
donna viene trovata morta per autostrangolamento e l'anello è scomparso. Chi
glielo ha strappato sta per subire la stessa sorte. Finiti i tre episodi
rivediamo Boris Karloff, vestito e truccato come nell'episodio I Wurdalak.
L'attore, in groppa ad un cavallo lanciato attraverso la steppa, invita il
pubblico ad avere paura ma, quasi per smentire le sue parole, la macchina da
presa si allarga ed inquadra il suo cavallo finto e la troupe fra cui si vede
lo stesso Bava, mentre i tecnici girano attorno a Karloff sorreggendo dei rami
che simulano la foresta. Un finale giustamente passato alla storia del cinema
inteso nella sua totalità. Le storie sono state liberamente tratte da
racconti di Cechov, Tolstoi, Maupassant e un non accreditato Dostojevski,
sceneggiati da Marcello Fondato con l'aiuto dello stesso Bava e di Alberto
Bevilacqua.
Ancora del 1963 è La frusta e il corpo di nuovo con Christopher
Lee, apparentemente una storia dell'orrore ma, in realtà un thriller
incentrato sugli incubi angoscianti e angosciosi di una donna che crede di
aver a che fare con uno spirito assassino mentre è lei stessa che uccide. Nel
1964 Mario Bava anticipa Dario Argento e i suoi thriller girando Sei donne
per l'assassino e ancora una volta, per ragioni di prevendita all'estero,
è affiancato nella sua fatica da un attore americano. In questo caso si
tratta di Cameron Mitchell nel ruolo di Massimo Morlacchi,
proprietario di un atelier alla moda. Un misterioso assassino vestito di nero
uccide le modelle nei modi più sadici ed efferati. Fu probabilmente questo
che colpì il pubblico italiano e non, come una pugnalata allo stomaco. Il
killer, del quale s'intravedono i guanti neri e la maschera, in un "leit
motiv" che verrà ripreso più avanti da registi come Luigi Cozzi
e, soprattutto, Dario Argento, uccide le sue vittime in modi diversi e
diabolici.
Un anno dopo Mario Bava arriva alla fantascienza firmando una pellicola che,
ancora oggi, è considerata una delle migliori del suo genere. Terrore
nello Spazio proviene inizialmente da un racconto di un ottimo autore
italiano: Renato Pestriniero, abilissimo narratore di
suggestive atmosfere cariche di crepuscolare nostalgia. Il soggetto che
s'intitolava Una notte di 21 ore è stato poi rimaneggiato, ma in
maniera comunque encomiabile dallo stesso Bava con l'apporto, ancora una volta
di Alberto Bevilacqua, Callisto Cosulich e Ib
Melchior. è storia nota che, in seguito, Ridley Scott,
possa essersi ispirato al film di Bava per realizzare alcune sequenze del suo Alien.
Il film, infatti, ha conosciuto un lusinghiero successo di pubblico negli
Stati Uniti circolando con il titolo Planet of the Vampires o anche The
Demon Planet.
Due astronavi, la Argos e la Galliot, vengono attirate, quasi di forza, su uno
sconosciuto pianeta. Il comandante della Argos resta cosciente e può così
combattere e vincere una misteriosa crisi di follia che sembra aver pervaso
gli altri componenti. Dopo aver rimesso le cose a posto l'equipaggio giunge
nei pressi dell'astronave gemella per trovarla piena di cadaveri. Gli uomini
sembrano essersi uccisi tra loro e, una volta sepolti, tornano pure in vita
animati dai veri abitanti del pianeta, esseri che vivono su un diverso piano
dimensionale e che vogliono appropriarsi dei corpi degli astronauti per poter
fuggire dal loro mondo morente. La battaglia infuria e solo in tre riescono a
decollare, ma il tecnico di bordo si accorge che gli altri due superstiti sono
stati posseduti dagli alieni e allora sacrifica sé stesso e distrugge
"il deviatore di meteore" senza il quale la Argos non potrà fare
molta strada. Ai due posseduti non resta che atterrare sul più vicino pianeta
senza rientrare nel loro mondo. Questo pianeta è la Terra. La sorpresa finale
ci rivela quindi che nemmeno i protagonisti sono dei terrestri, ma anche loro,
pur se umanoidi in tutto e per tutto simili a noi, sono degli alieni. La
trovata è cinematograficamente geniale e nemmeno compresa dalla critica
d'epoca che sproloquiò sui "terrestri che tornano sul loro mondo".
Il film possiede poi due finali leggermente diversi: nel primo si vedeva
l'astronave sovrapporsi in modo minaccioso al pianeta Terra, quasi a volerlo
abbracciare nella sua stretta angosciante, nel secondo, molto più
semplicemente, si vedeva la nave spaziale rimpicciolire nell'avvicinarsi al
nostro pianeta. Mario Bava dovette destreggiarsi come mai prima d'ora in uno
scenario vuoto prendendo a prestito delle rocce finte da un set vicino e
riempiendo il tutto con del fumo in una visione peraltro molto simile a quella
del pianeta dove atterreranno gli astronauti di Alien.
Nel 1966 Mario Bava recluta Franco Franchi e Ciccio
Ingrassia per affiancarli al grande Vincent Price in
Le spie vengono dal semifreddo, favoletta fantascientifica che si
apprezza solo per la presenza dell'attore. E' dello stesso anno, girato in
soli dodici giorni, Operazione paura. Un paese terrorizzato ed
infestato dal fantasma di una bambina la cui vista è foriera di morte. Un
medico, giunge nel paese e vuole scoprire il mistero, ma solo una fattucchiera
riesce a sventare la minaccia uccidendo una baronessa, madre della bambina
morta vent'anni prima, che con i suoi poteri medianici l'aveva richiamata dal
regno dei morti. Un anno dopo Fellini copierà pari, pari una sequenza che fu
dichiarata quindi un capalavoro ma mai considerata prima solo perché era
firmata Mario Bava e non Federico Fellini, in uno degli
episodi del film Tre passi nel delirio.
E' del 1968 il film più costoso di Mario Bava, un budget di ben duecento
milioni per realizzare Diabolik, ispirato ai famosi fumetti noir
delle sorelle Giussani. Il successo della pellicola fu relativo e Bava si
rifiutò comunque di realizzarne un seguito.
|
|
|
Gli orrori del
castello di Norimberga |
|
Nel 1972 il regista torna all'orrore con Gli orrori del castello di
Norimberga, servendosi, sempre per le ragioni dette sopra, di Joseph
Cotten ed Elke Sommers quali star di richiamo. Un
sanguinario despota del seicento viene richiamato in vita attraverso una
formula magica e inizia così nuovamente i suoi nefandi delitti ma sarà di
nuovo rimandato nell'inferno dal quale è giunto.
Ufficialmente targata Mario Bava è la pellicola del 1975 La casa
dell'esorcismo che però il regista disconosce perché ha subito degli
stravolgimenti durante la fase di montaggio. Il cast era comunque di tutto
rispetto e annoverava Telly Savalas, Elke Sommers,
Sylva Koscina e Alida Valli. E' la storia di
una turista americana giunta a Toledo in preda a una possessione demoniaca ed
esorcizzata da un prete. Il film risente del richiamo del suo più illustre
predecessore e cioè L'esorcista di William Friedkin.
Come abbiamo detto più volte, data l'arretratezza mentale che distingue i
nostri produttori, essi cercano di bissare un successo d'oltreoceano
copiandolo e realizzandolo con meno di un quarto dei mezzi, dei soldi, della
tecnica e degli attori di cui disponeva l'originale. Dopo aver girato il
thriller Shock, assieme al figlio Lamberto, nel 1977
Mario Bava stava preparandosi a girare un nuovo film di fantascienza.
Purtroppo il suo ciclo stava per finire: a soli sessantasei anni, il 26 aprile
1980, il versatile regista moriva per un attacco cardiaco e con lui si
spegneva quella modestia che lo aveva sempre caratterizzato, ma il suo
ricordo, anche se la cosa lo imbarazzerebbe molto, è sempre vivo tra i suoi
fan.
GIOVANNI MONGINI
|