DEIR YASSIN: STORIA DI UNA MENZOGNA

Ricerca realizzata da  Zionist Organization of America
9 marzo 1998

Introduzione

Per cinquant'anni,  i critici d'Israele si sono serviti della battaglia di Deir Yassin per oscurare l'immagine dello Stato ebraico,  asserendo che i combattenti ebrei massacrarono centinaia di  civili  arabi  durante una battaglia in quel villaggio arabo vicino a Gerusalemme nel 1948.

Quest'analisi porta alla luce per la prima volta molti  importanti documenti,   in precedenza mai apparsi in lingua inglese, che aiutano a chiarire ciò che realmente avvenne a Deir Yassin in quel giorno fatale.

Uno  di questi è uno studio condotto da un team di ricercatori della  Bir Zeit University, una università araba ora situata nel territorio dell'Autorità   Palestinese,  concernente  la storia di Deir Yassin e i dettagli della battaglia. I ricercatori hanno intervistato numerosi  ex-residenti  della città   e sono giunti a sorprendenti conclusioni circa il vero numero di persone uccise nella battaglia.

Il secondo importante lavoro su questo argomento che non è mai apparso prima in lingua inglese e che è stato consultato per questo studio, è una storia della guerra del 1948 del prof. Uri Milstein, uno dei più importanti storici militari israeliani. Il suo studio in tredici volumi sulla guerra del 1948 comprende una sezione su Deir Yassin basata su dettagliate interviste  con i partecipanti alla battaglia e su documenti d'archivio sconosciuti prima di allora.  La meticolosa ricerca del prof. Milstein è stata apprezzata da accademici di tutto l'arco politico (1).

Un altro documento utilizzato in questo studio è il protocollo di un'audizione del 1952, nella quale, per la prima e unica volta, giudici israeliani hanno sentito testimoni oculari  fra i partecipanti agli avvenimenti di Deir Yassin e hanno stabilito un principio regolatore che ha importanti implicazioni per la comprensione di ciò che accadde in quella battaglia.

Questo studio è anche basato su una  raccolta unica di testimonianze concernenti la battaglia di Deir Yassin da parte di partecipanti e testimoni oculari; esse sono   conservate negli archivi israeliani Metzudat Ze'ev e non sono mai apparse prima in inglese.

I documenti citati in questo studio sono stati individuati  negli archivi israeliani   da un team di ricercatori e studiosi di legge;  ricerche ulteriori sono state compiute negli Stati Uniti da Chaviva Rosenbluth.

Valore strategico di Deir Yassin

Il  villaggio arabo di Deir Yassin era situato strategicamente su una collina sovrastante la principale via di comunicazione per accedere a  Gerusalemme e a   un buon  numero  delle sue borgate occidentali.  Le stime circa la popolazione della città nel 1948 variano. L'ultimo censimento ufficiale britannico, nel 1945, registrava 610 residenti, mentre le fonti arabe ritengono che il numero fosse salito a 750 dall'aprile del 1948 (2). La città  ospitava anche diverse centinaia di residenti temporanei provenienti da quelle parti di Gerusalemme che erano divenute campi di battaglia durante gli scontri tra arabi ed ebrei (3).  Ma,  a causa della posizione strategica di Deir Yassin, era quasi inevitabile che anch'esso sarebbe diventato un  campo di battaglia.

Le autorità del Mandato Britannico  avevano l'ordine di lasciare la Palestina il giorno 15 maggio 1948,  e i  Paesi arabi circostanti  avevano giurato l'invasione, al fine di prevenire l'instaurazione di uno Stato ebraico. Ma molto prima di tale data, gli eserciti arabi ed ebraici già si davano battaglia.   Un "Esercito Arabo di Liberazione" , sponsorizzato dalla Lega Araba e formato da volontari di vari Paesi arabi, attaccò le comunità ebraiche in Palestina per tutto l'inverno e la primavera del 1948.  I loro assalti ai movimenti degli ebrei lungo le principali strade di comunicazione  riuscirono a tagliar via Gerusalemme  ovest dal resto della Palestina.

Le forze combattenti ebraiche consistevano in tre fazioni. La più grande, l'Haganah, era affiliata ai  Labor Zionists. La seconda , l'Irgun Zvai Leumi (IZL), era il gruppo   clandestino guidato da Menachem Begin , punta di lancia della rivolta ebraica contro i britannici negli anni 1944-47.  Il più piccolo era il Lehi (acronimo per Combattenti per la Libertà d'Israele, comunemente chiamato Gruppo Stern),  e scheggia dell'IZL. Le relazioni tra l'Haganah, da un lato, e l'IZL e il Lehi, dall'altro, erano  tese al massimo. Sebbene ci fossero stati momenti in cui le due fazioni avevano cooperato nella lotta contro gli inglesi, vi erano stati anche  lunghi periodi in cui l'Haganah aveva collaborato con i britannici  contro la IZL e il Lehi. La rivalità politica tra i due campi era  dominata dalle passioni e, indubbiamente, la rivalità tra i loro eredi, i partiti Labor e Likud, perdura tuttora. 

Riconoscendo il crescente pericolo proveniente dalle operazioni militari arabe, le due parti iniziarono a negoziare,  all'inizio del 1948, per  fondersi formalmente in un unico esercito sionista. Nello stesso tempo, vi era una crescente cooperazione a vari livelli tra le due parti.  Yehoshua Arieli, comandante a Gerusalemme del Gadna, che era l'ala paramilitare giovanile dell'Haganah , ricordò: "Prima di Deir Yassin, c'era collaborazione tra l'Haganah e la IZL a Gerusalemme... La cooperazione non era totale, c'erano punti di frizione, ma restava in piedi." (4).  Uno schema di accordo di unificazione tra l'Haganah e lo IZL venne raggiunto a marzo. L'abbozzo di accordo, e la cooperazione in corso sul territorio tra i due campi, accese un fiero dibattito nella Sinistra Sionista. Il Mapan, influente ala  di sinistra dell'area dei Labor Zionist, si opponeva  strenuamente a qualsiasi cooperazione con lo IZL, col quale aveva forti differenze ideologiche.  Membri e simpatizzanti del Mapam all'interno dell'Haganah facevano vigorose pressioni contro l'accordo nel corso delle settimane precedenti e  immediatamente successive alla battaglia di Deir Yassin (5).

Allo stesso tempo, nei primi giorni di aprile del 1948, l'Haganah lanciò un'importante offensiva militare contro piazzeforti arabe nell'area occidentale di Gerusalemme, allo scopo di rompere l'assedio di Gerusalemme Ovest. Rappresentanti dell'IZL e del Lehi si incontrarono col comandante dell'Haganah per Gerusalemme, David Shaltiel, per discutere quali azioni IZL e Lehi avrebbero potuto fare per  aiutare l'offensiva dell'Haganah. Nacque in quel contesto l'idea di prendere per prima Deir Yassin. Per la precisione, non è chiaro chi sollevò per primo l'idea di indicare come obiettivo Deir Yassin. Il capo dell'intelligence del  Lehi  di Gerusalemme, Moshe Barzili, più tardi disse che Shaltiel fu il primo a parlare di Deir Yassin in una discussione con i comandanti Lehi all'inizio di aprile. Secondo Barzili, Shaltiel disse, "Se volete aiutare e dare inizio ad un'azione, prendete Deir Yassin".  Shaltiel diceva che l'Haganah intendeva costruire un aeroporto tra Deir Yassin e l'adiacente borgata ebraica di Givat Shaul. Mordechai Ra'anan, comandante della IZL di Gerusalemme, ricordò analogamente di aver discusso con Shaltiel l'idea di attaccare Deir Yassin  con  le loro due forze, e che erano entrambi d'accordo sul valore strategico della sua occupazione(6). Il 7 aprile, Shaltiel inviò a Ra'anan una nota:
"Ho appreso che intendete agire contro Deir Yassin. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che  la conquista e la tenuta  di Deir Yassin sono un cardine nel nostro  piano generale. Non ho opposizioni da fare alla vostra esecuzione dell'azione,  a condizione che abbiate le forze per mantenerla.   Se non siete in grado, vi metto in guardia fin d'ora dal far saltare in aria il villaggio che sarà indotto all'abbandono da parte dei residenti e all'occupazione delle rovine e delle case abbandonate da  parte di  forze straniere. Una tale eventualità sarà di ostacolo piuttosto che d'aiuto nello sforzo generale,  e la riconquista della postazione comporterà grandi perdite dei nostri uomini.  Un altro aspetto che vorrei rappresentarvi è che, se forze straniere saranno attirate dalla postazione, ciò vanificherà il nostro piano di costruire un aeroporto" (7).

Quando Shimon Monita, spia dell'Haganah che era stata infiltrata nel Lehi, ebbe sentore del piano IZL-Lehi  per attaccare Deir Yassin, si precipitò a riportarne le notizie al suo contatto nell'intelligence dell'Haganah, evidentemente all'oscuro del coordinamento ad alto livello tra Haganah,  IZL e Lehi riguardo il piano di attacco. Il contatto di Monita lo rassicurò, "E' tutto OK" (8).

Il pomeriggio di  giovedì 8 aprile, secondo l'ufficiale Lehi Moshe Idelstein, egli si  incontrò  al caffè Allenby a Gerusalemme con  un rappresentante della   IV brigata del Palmach, che era la divisione di artiglieria mobile dell'Haganah. L'uomo del Palmach convenne con la richiesta di Shaltiel che l'attacco su Deir Yassin fosse coordinato con l'imminente assalto alla vicina città araba di Kastel e con un piano per inviare un convoglio lungo la strada Gerusalemme-Tel Aviv. Quella notte, ricorda Idelstein, " Mi trovai ad essere della stessa opinione con una delle scorte del convoglio del Palmach, Avri Elad, vicino al convoglio parcheggiato sulla strada a Beit Hakerem, e discutemmo il coordinamento definitivo" (9).

Patchia Zalivensky e Mordechai Ben-Uziahu del Lehi più tardi ricordarono che il comandante del gruppo  di Gerusalemme, Yehoshua Zettler, lo mandò ad informare Zalmann Meret, capo della brigata Moriah dell'Haganah, che il Lehi era d'accordo per coordinare l'attacco su Dir Yassin con l'azione contro Kastel ed il convoglio. Poi essi discussero le tattiche di battaglia  e i protocolli di comunicazione.  Essi si accordarono anche, dietro la richiesta di Shaltiel, su uno scambio di  esplosivi, che il Lehi aveva in abbondanza, con una cassa di  proiettili per mitragliatrici Bren.   Secondo Zalivensky, le parole di Meret  nel momento del commiato furono: "Fatelo e abbiate successo" (10).

Più tardi nella serata (8 aprile), secondo membri del Lehi, Meret si incontrò con diversi rappresentanti Lehi  a casa sua, a Beit Hakerem nei dintorni di Gerusalemme. Moshe Barzili del Lehi, che prese parte all'incontro, raccontò in seguito:
"Meret chiese, a nome di Shaltiel, che noi attaccassimo (Deir Yassin) venerdì 9 aprile all'alba, allo scopo di  collaborare  alla riconquista di Kastel. Richiedemmo da  parte sua un veicolo, munizioni e cibo, ed egli immediatamente aderì alla nostra richiesta.  All'alba, presentammo la proposta di attacco a Zettler [Yehoshua, comandante  Lehi di Gerusalemme]  e a Ra'anan [Mordechai, comandante IZL di Gerusalemme] per le decisioni conclusive" (11).

Zettler in seguito ricordò: "Nel Lehi c'erano molti che erano strettamente ortodossi, e io cercavo di non attuare azioni di sabato. Un attacco di venerdì mattina avrebbe potuto costringerci  ad attività operative di sabato; ma dopo aver avuto la richiesta urgente di Shaltiel  attraverso Dror [Mordechai  Ben-Uziahu]  mi trovai d'accordo per attaccare venerdì all'alba" (12).

Prove ulteriori del coordinamento tra l'Haganah e le forze IZL-Lehi riguardo Deir Yassin sono riscontrabili  in un rapporto inviato a Meret dall'ufficiale del distretto dell'intelligence dell'Haganah, Mordechai Gihon,  il 10 aprile,  giorno dopo la battaglia: "Aiuto ai dissidenti da parte nostra. L'ufficiale di collegamento dei dissidenti ci ha informato dell'ora X. Abbiamo dato alle nostre posizioni appropriate istruzioni riguardo all'assistenza durante la ritirata e per il soccorso medico"(13).   Gihon in seguito ricordò che il suo comandante dell''Haganah gli aveva detto che c'era un accordo tra l'Haganah e IZL e Lehi riguardo all'attacco a Deir Yassin ed Ein Kerem nel caso che le forze nemiche cercassero di  raggiungere la città. I suoi comandi diedero istruzioni a Gihon  di  piazzare un mitragliatore Spandau nelle vicinanze della cresta  di Sharafa (che oggi è conosciuto come Monte Herzl) allo scopo di controllare il passo con l'artiglieria. Gihon e un compagno d'armi dormirono a Givat Shaul la notte di giovedì 8 aprile per poter raggiungere all'alba del 9 aprile la posizione loro assegnata (14).  Analogamente, un rapporto interno dell'intelligence dell'Haganah al termine della battaglia stabilì, circa Deir Yassin : "Prima della battaglia,  uomini dell'IZL  esposero i dettagli del loro piano in un incontro con rappresentanti dell'Haganah, compresa l'ora X. In quello stesso incontro si decise che, se l'IZL fosse stato costretto a ritirarsi,  forze dell'Haganah avrebbero dato copertura  alla loro ritirata"(15).

A mezzanotte di giovedì 8 aprile, una forza  IZL di 72 uomini, comandata da Benzion Cohen con i comandanti  in seconda Yehuda Lapidot e Michael Sharif, raggiunsero Beit Hakerem. Un'ora dopo, si mossero a piedi verso Deir Yassin, dove avrebbero dovuto incontrarsi con una forza Lehi di 60 uomini. Per strada, secondo Lapidot, incontrarono   una pattuglia dell'Haganah: "Dicemmo loro  di essere in procinto di attaccare Deir Yassin, ricorda Lapidot, ed essi ci augurarono 'Buona fortuna, buona fortuna'" (16).


Prove della violenza anti-ebraica di Deir Yassin

Alcuni storici  hanno espresso in seguito sorpresa sulla scelta di Deir Yassin come obiettivo, tenendo conto di  ciò che  essi consideravano  la storia di un villaggio pacifico. In realtà, Deir Yassin veniva utilizzato come centro di   traffico d'armi durante le violente sommosse arabo-palestinesi del 1920. I residenti di Deir Yassin avevano lanciato violenti attacchi contro gli ebrei di Givat Shaul nell'ottobre del 1928; e durante  i tumulti  arabi dell'agosto del 1929   in tutta la Palestina, gli abitanti di Deir Yassin avevano di nuovo assaltato i vicini ebrei di Givat Shaul così come quelli del  sobborgo  di Beit Hakerem e   del quartiere Montefiore (17). Un combattente ebreo assegnato a Givat Shaul per difendere il villaggio contro gli attacchi arabi  nel corso delle violenze del 1936 ricorda che: "Noi facevamo fronte di continuo a tentativi  di incursione nelle nostre case da Deir Yassin.  Ogni notte dovevamo scavare fuori le nostre armi   "illegali" e aspettare, mentre la polizia complementare ebraica   (parte delle forze di polizia del Mandato Britannico) respingeva ripetutamente coloro che si  infiltravano.  Mesi dopo, avevamo una postazione di difesa nelle vicinanze di Motza [e il comandante] spesso chiedeva il mio aiuto per trasportare uomini   per il  servizio notturno a Motza.  Guidando avanti e indietro a Motza da Gerusalemme, trascorrevo molte ore nascosto nei fossati lungo la strada  a causa degli agguati fuori di Deir Yassin" (18).

Alla fine del 1947, come si intensificarono le ostilità arabo-ebraiche, i capi  del villaggio di Deir Yassin si accordarono per una informale tregua con i vicini ebrei,   con la promessa da entrambe le parti di  trattenersi dall'attaccarsi l'un l'altro. Alcuni storici hanno  asserito che i capi di Deir Yassin inizialmente rifiutarono  una proposta di  assegnare unità siriane o irachene dell'Esercito Arabo di Liberazione al loro villaggio. Ma dal  mese di marzo del 1948,   giunsero numerosi  rapporti  su soldati arabi che prendevano posizione a Deir Yassin . L'autista dell'Haganah Arnold Shper ha testimoniato in un procedimento giudiziario del 1952 che, durante  il suo servizio di affissione a Givat Shaul in febbraio e marzo del 1948, aveva parlato con agenti dell'intelligence dell'Haganah che menzionavano "quegli arabi stranieri che erano stati scoperti a Deir Yassin, [compresi] gli iracheni". L'ufficiale dell'intelligence dell'Haganah a Gerusalemme, Mordehai Gihon, guidò due sortite di  ricognizione a Ein Kerem, contiguo a Deir Yassin, e ritornò con una documentazione che rivelava regolari contatti tra Deir Yassin e le basi di soldati volontari siriani e iracheni a Ein Kerem. Il 30 marzo, Gihon riferì ai suoi superiori che "150 uomini, prevalentemente iracheni, erano entrati a Deir Yassin" (19). Alcune delle informazioni dell'Haganah circa gli sviluppi a Deir Yassin provenivano direttamente dall'interno dello stesso villaggio. Un agente dell'Haganah dal nome in codice "Ovadia", lavorando nell'area di Gerusalemme per il Dipartimento arabo dell'Haganah, si incontrava con regolarità con residenti di Deir Yassin così come col loro mukhtar, o capo del villaggio, che era un informatore pagato dall'Haganah (20).

Nel corso della settimana precedente all'azione IZL-Lehi contro Deir Yassin , ci fu un intenso  fuoco di fucileria proveniente dal villaggio e diretto su  obiettivi ebraici dell'area. La notte di venerdì 2 aprile,  cannonate provenienti dall'area di Deir Yassin colpirono i vicini villaggi ebraici dei dintorni di Beit Hakerem e Bayit Vegan (21). Domenica 4 aprile, il comandante Shaltiel ricevette un messaggio urgente dall'ufficiale dell'intelligence della divisione Etzioni dell'Haganah: " C'è un'adunata  a Deir Yassin. Uomini armati sono partiti [da Deir Yassin] in direzione della [vicina città di] Motza  inferiore, a nord-ovest di Givat Shaul. Sparano sulle auto di passaggio" (22). Lo stesso giorno, il comandante in seconda della Brigata Beit Horon dell'Haganah, Michael Hapt, riferì a Shaltiel: "Un'auto passeggeri [ebraica] proveniente da Motza è stata attaccata vicino al molino della farina sotto Deir Yassin, e si è fermata là. Ci sono colpi d'arma da fuoco [sull'auto].  Mandate anche voi un veicolo corazzato e  armato.  Ci sono notizie che la strada sia interrotta" (23).  Anche un  mezzo corazzato che trasportava combattenti del Lehi  venne attaccato nello stesso posto quel giorno. Un ufficiale dell'intelligence dell'Haganah,  nel descrivere l'incidente ai suoi superiori, riferì che, secondo David Gottlieb, ufficiale del Lehi, gli uomini che erano scesi dal veicolo per rispondere al fuoco dicevano che gli attaccanti sembravano soldati arabi piuttosto che abitanti del villaggio (24). Un telegramma di Michael Hapt, della Brigata Beit Horon dell'Haganah, al comando dell'Haganah alle cinque del pomeriggio di quel giorno sollecitava: "Per prevenire [un attacco] su Motza inferiore che interrompa la strada per Gerusalemme, e per  prendere posizione a sud di Tzova, Deir Yassin deve essere presa" (25).

Poco  prima  della battaglia di Deir Yassin, ci furono ulteriori allarmanti notizie: le guardie di Mordechai Gihon  riferirono che numerosi uomini armati si stavano muovendo tra Ein Kerem e Deir Yassin. Alcuni dei soldati indossavano uniformi irachene; e mentre molti di loro erano entrati a Deir Yassin, solo pochi ritornarono a Ein Kerem (26). E proprio ore prima che l'azione IZL-Lehi  contro Deir Yassim avesse inizio, Shaltiel inviò un cablo al suo collega Shimon Avidan: "Gli arabi a Deir Yassin hanno trainato un mortaio sulla strada principale allo scopo di  bombardare il convoglio [che porta  i rifornimenti agli ebrei assediati di Gerusalemme]" (27).


Begin pone il veto al maltrattamento di civili

Fino alla primavera del 1948, la IZL e il Lehi erano stati movimenti  clandestini di guerriglia  impegnati in attacchi colpisci-e-fuggi contro obiettivi britannici. Deir Yassin avrebbe segnato la prima volta in cui essi si confrontavano in una  una vera battaglia con forze arabe. Nel corso degli incontri prima della battaglia, venne discusso il problema di come si dovessero trattare i civili e i  prigionieri .    Secondo Benzion Cohen e Yehuda Lapidot, il comandante e il comandante in seconda della forza IZL che presero parte alla battaglia, alcuni rappresentanti del Lehi   erano favorevoli a "uccidere chiunque si oppone a noi" durante la battaglia, senza riguardo per l'età o il sesso.  La discussione venne sottoposta   al comandante in capo dell'IZL Menachem Begin, il quale vietò ogni maltrattamento di civili o prigionieri, e insistette che gli attaccanti usassero un megafono per   sollecitare gli abitanti di Deir Yassin ad andarsene prima della battaglia, anche se ciò significava  rinunciare al vantaggio della sorpresa (28).  Zettler diede ai suoi uomini ordini espliciti di evitare  maltrattamenti a donne e bambini (29). Persino Meir Pa'il, un militante dell'opposizione a IZL e Lehi, in seguito riconobbe: "Appresi che  durante la pianificazione qualcuno cercava di  accennare a un massacro ... 'se noi, IZL e Lehi siamo finalmente in procinto di fare un'azione congiunta, gli arabi dovrebbero saperlo'  C'erano alcuni  giovinastri che ne facevano cenno. I comandanti si  erano opposti. Ci fu un'esplicita decisione contro" (30).

Gli attaccanti fecero del loro meglio per dare effetto alle direttive di Begin. La prima delle unità  ebraiche combattenti  a raggiungere Deir Yassin  venne preceduta  da un  carro armato con megafono. Un ebreo nato in Iraq che parlava arabo correntemente,  invitò i residenti a andar via da Deir Yassin attraverso l'uscita ovest, che gli attaccanti avevano lasciato libera a tale scopo. Subito dopo essere entrato in città, tuttavia, il carro armato venne colpito da cannoni arabi e   si incagliò in un fossato. Ripetuti sforzi da parte degli uomini del Lehi per tirar fuori il mezzo,  mentre era sotto il tiro del fuoco nemico, si rivelarono infruttuosi.  Non è chiaro se il messaggio del carro armato sia stato udito, o no, dagli abitanti del villaggio. Centinaia di residenti di Deir Yassin fuggirono, anche se non è chiaro se essi stessero rispondendo, al suono del cannone, o agli avvertimenti diffusi  a voce da quelle persone del villaggio che si trovavano vicine ai luoghi della battaglia.


Ogni casa è trasformata in fortino militare.

I comandanti IZL e Lehi attesero che un gran numero di abitanti andassero via,  e che i restanti si arrendessero, forse dopo qualche prova di resistenza. Invece, entrambi i gruppi di soldati ebrei che entravano nella città da lati diversi incontrarono immediatamente  le feroci raffiche dell'artiglieria araba, alcune provenienti dalle truppe straniere di cui si  sapeva attraverso i rapporti sull'area.  Il comandante in seconda dell'IZL Michael Harif, che è stato uno dei primi ad entrare a Deir Yassin, in seguito riferì  come, all'inizio della battaglia: "Vidi un uomo in divisa kaki correre avanti. Pensai che fosse uno di noi, gli corsi appresso e gli dissi: 'Vai davanti a quella casa'. Improvvisamente si girò, puntò la sua arma  contro di me e fece fuoco. Era un soldato iracheno. Venni ferito alla gamba" (31). 

Patchiah Zalivensky  in seguito ricordò che tra i soldati arabi uccisi dalla sua unità vi era un ufficiale musulmano jugoslavo, i cui documenti di identificazione   indicavano che egli era stato con le unità integralmente musulmane  delle SS naziste che erano state organizzate in Jugoslavia durante la seconda Guerra Mondiale da Haj Amin el-Husseini, il leader arabo  palestinese collaborazionista  dei nazisti (32). In una strettoia,  il soldato Lehi Ezra Yachin si incontrò faccia a faccia con un arabo armato di fucile. Istantaneamente egli iniziò a  puntare l'arma.   Lo spazio di quei secondi  di paura! Chi avrebbe sparato per primo? Chi sarebbe sopravvissuto?  Fui io a  tirare per primo il grilletto - ma non funzionò. Il mio nemico si girò per  balzare su un vecchio muro, e così facendo sparò verso di me. Sentii un dolore alla coscia destra... Dror [Mordechai Ben-Uziahu] si era arrampicato su un tetto da cui  poté  sparare al mio assalitore che era vestito con un'uniforme da ufficiale iracheno, e lo uccise (33).

L'effettiva quantità di armi e munizioni che gli uomini dell'IZL e del Lehi trovarono a Deir Yassin portò ulteriori conferme ai primi sospetti che il villaggio stava per trasformarsi in una postazione militare araba  armata di artiglieria pesante. Yehuda Lapidot, comandante in seconda delle forze IZL a Deir Yassin, in seguito riferì: "Una cassa di munizioni  per fucili inglesi che trovammo nel villaggio salvò la giornata. Ci rifornimmo di caricatori dei [mitragliatori]  Bren, distribuimmo   le armi ai  compagni e continuammo a combattere".   In un'altra casa, il combattente IZL Yehoshua Gorodenchik  scovò altri 20 caricatori di munizioni per i fucili Bren (44). I soldati David Gottlieb, Moshe Barzili e Moshe Idelstein trovarono una enorme quantità di proiettili per fucili cecoslovacchi che non si adattavano ai loro fucili; offrirono in vendita 6.000 di essi all'Haganah in cambio di   3.000 pallottole britanniche (35).

L'avanzata dei combattenti ebrei a Deir Yassin  fu penosamente lenta a causa dell'intensità del fuoco arabo.  Eruven Greenberg dell'IZL riferì in seguito che "gli arabi combattevano come leoni ed erano eccellenti cecchini" (36).   Egli notò anche che "donne [arabe] uscivano di corsa dalle case sotto il fuoco, raccoglievano le armi cadute dalle mani dei combattenti arabi che erano stati colpiti, e le riportavano nelle loro case" (36).  Vi furono anche casi in cui, dopo un assalto ad un'abitazione, donne arabe furono trovate morte con i fucili in mano,   dimostrando che avevano preso parte alla battaglia (37). "Per prendere una casa -riferì Ezra Yachin- dovevi, o gettare una granata, o aprirti la strada  fino all'interno sparando.  Se eri abbastanza stupido da aprire le porte, venivi   abbattuto da uomini talvolta travestiti da donna,  che sparavano rapidamente nell'attimo della sorpresa" (38).

Quando [i soldati ebrei] tentarono di  prendere d'assalto alcune delle case isolate di pietra, furono colti da sbalordimento nel constatare che la maggior parte  delle abitazioni aveva porte di ferro, e non di legno come gli incontri di preparazione alla battaglia avevano fatto loro credere.  Gli attaccanti non ebbero altra scelta se non disporre potenti  esplosivi alle porte per  farle aprire;  un certo numero di abitanti veniva inavvertitamente ucciso o ferito nell'esplosione (39). Lentamente, casa per casa, le forze Lehi  avanzarono.

Nel frattempo, sull'altro lato del villaggio,  i soldati IZL avevano un minor successo. Dalle sette del mattino, i comandanti IZL  intrappolati tra la resistenza araba  e le crescenti perdite,  mandarono a dire al campo Lehi con un portaordini che stavano seriamente considerando di ritirarsi completamente dalla città. I comandanti Lehi dissero al portaordini di informare che le forze Lehi erano già penetrate   nel villaggio e che si aspettavano presto una vittoria. Gli uomini  della IZL prontamente presero accordi per ricevere un rifornimento di esplosivi dalla loro base a Givat Shaul, e  si aprirono la strada con esplosivi casa dopo casa. In alcuni casi, interi settori di edifici crollavano per la potenza dell'esplosione, seppellendo i soldati arabi come pure i civili che erano ancora all'interno. Non è chiaro se i civili avessero scelto di ristare di propria scelta o se siano stati ostaggio dei soldati arabi che pensavano che la loro presenza avrebbe distolto le forze ebraiche, una tattica frequentemente impiegata ai nostri giorni dai terroristi arabi nel Libano meridionale (40). Allo stesso tempo, vi furono numerosi casi di arabi che uscivano dalle case per arrendersi; più di cento furono presi prigionieri alla fine della giornata. Infine, due membri dell'Haganah che erano sulla scena [della battaglia] riferirono in seguito di aver sentito i [soldati del] Lehi usare ripetutamente un megafono implorando i residenti ad arrendersi. Ci furono anche casi in cui gli arabi simularono di arrendersi, per poi tirar fuori le armi nascoste e sparare sugli  ebrei che avrebbero dovuto  catturarli (42).


L'Haganah giocò un ruolo cruciale nella battaglia

Frattanto, sulla cresta di Sarafa, Mordechai Gihon dell'Haganah osservò che una corrente di combattenti arabi e di civili fuggiva da Deir Yassin, e che rinforzi arabi da Ein Kerem e Malcha incominciavano ad avanzare da sud verso la città.  "Facemmo fuoco con la mitragliatrice Spandau verso la strada"  -Gihon relazionò ai suoi superiori- "Colpimmo gli arabi che fuggivano da Deir Yassin e  impedimmo la loro fuga. Ostacolammo l'avanzata dei rinforzi, e potremmo anche aver colpito alcuni uomini dell'IZL che erano entrati nella nostra linea di fuoco. Alle 8,30 del mattino circa ritornammo a Givat Shaul". Anche gli uomini dell'Haganah  nelle zone contigue aprivano il fuoco nella stessa direzione, per impedire l'avanzamento dei rinforzi (43).

L'Haganah giocò anche un ruolo cruciale nella stessa battaglia. Dopo aver conquistato la maggior parte del villaggio, le forze IZL e Lehi si trovarono in una situazione di stallo alla casa del mukhtar, o capo del villaggio, che era situata su una collina dalla quale incessanti  sparatorie erano dirette verso le forze ebraiche. In risposta a una richiesta degli attaccanti, un'unità dell'Haganah  arrivò con mortai da due pollici e iniziò a bersagliare il fortino del mukhtar  che cadde immediatamente (44).   Mentre l'unità del mortaio era al lavoro,  il comandante IZL per Gerusalemme Mordechai  Ra'anan si incontrava con David Shaltiel nella vicina Givat Shaul, dietro richiesta di Shaltiel; secondo la testimonianza che Ra'anan diede in un processo giudiziario del 1952:
"Questo accadde nel mezzo delle operazioni, all'una o alle due del pomeriggio. Ricordo molto bene il fatto;  accadde in una strada di Givat Shaul. Secondo la sua opinione, noi ci eravamo assunti un incarico molto al di sopra delle nostre possibilità, ed egli parlò con una certa derisione, ma con serietà. Gli chiesi se quella derisione fosse il solo motivo per cui mi avesse  fatto chiamare per incontrarlo, ed egli mi domandò se avessimo bisogno di aiuto; risposi  di non avere richieste di ulteriore assistenza.  Perché  in quel momento, un'unità di uomini dell'Haganah,   che era reduce dei combattimenti a Motza, aveva offerto - o il comandante dell'unità aveva offerto - assistenza, e la stessa operazione era nella fase conclusiva" (45).

L'unità dell'Haganah di ritorno da Motza  venne inviata  a Deir Yassin per aiutare le dozzine di combattenti feriti  dell'IZL e del Lehi. "Per liberare i feriti, dovevamo eliminare l'origine degli spari", ricorda il capo dell'unità dell'Haganah, Moshe Eren. Kalman Rosenblatt, membro di una delle due unità dell'Haganah che entrarono nel villaggio per  dare assistenza ai feriti, disse: "Lanciammo bombe a mano dentro le case  prima di entrare". I soldati dell'Haganah erano più efficienti delle forze IZL e Lehi, ricorda David Gottlieb del Lehi: "Ottenevano in un'ora  ciò che noi non riuscivamo a portare a termine in diverse ore. Avevano buone armi, ed  avevano esperienza di guerra" (46).


Nessuna evidenza di maltrattamenti ai prigionieri arabi

Quando la battaglia cessò, nella tarda mattinata, i soldati IZL e Lehi si ritrovarono con circa  40 arabi prigionieri, per la maggior parte donne e bambini, ed anche alcune persone anziane. Furono caricati su due autocarri e portati in un campo Lehi nei sobborghi di Sheikh Bader a Gerusalemme. Secondo le guardie del campo, agli arabi fu dato cibo e acqua; vennero tenuti là fino alla tarda serata  e poi trasportati al vicino settore arabo della città dove  furono rilasciati. Nel frattempo, nel corso del pomeriggio, un piccolo numero di altri arabi sopravvissuti alla battaglia furono trovati  in qualche casa di Deir Yassin. Vennero messi su un  autocarro  e portati al settore arabo di Gerusalemme, oltrepassando la parte bassa di Gerusalemme e il sobborgo ortodosso di Meah Shearin.  Secondo Moshe Barzili del Lehi, lo scopo del trasporto dei prigionieri era "strettamente umanitario", per portare i sopravvissuti in un'area araba. Shimon Monita, spia dell'Haganah nel Lehi,  contestò la scelta deliberata dai comandanti  IZL e Lehi  di un percorso di viaggio che avrebbe portato l'autocarro attraverso il centro di Gerusalemme, con la speranza che la vista dei nemici prigionieri  "avrebbe risollevato il morale del pubblico ebraico " che era depresso dal  penalizzante assedio arabo che li aveva tagliati fuori dal resto del Paese.  Alcune relazioni successive pretendevano che passanti ebrei   nelle strade abbiano maledetto o persino sputato contro i prigionieri arabi. Ma secondo Natan Yellin-Mor, uno dei tre comandanti in capo del Lehi,  vi fu accoglienza ostile da parte degli ebrei ortodossi irati con l'autista, e non con i prigionieri, per aver portato il veicolo nel loro quartiere dopo l'entrata del Sabato (47).

Un giovane  ufficiale dell'Haganah chiamato Meir Pa'il diede successivamente un resoconto assai diverso di ciò che era accaduto ai prigionieri, come pure di ciò che era accaduto in generale a Dei Yassin. Pa'il aveva  svolto un ruolo attivo nelle operazioni dell'Haganah contro lo IZL e il Lehi nel 1940, guadagnandosi una promozione, alla fine del 1947, al posto di comandante del Servizio di intelligence dell'Haganah destinato a combattere i "dissidenti" nell'area di Gerusalemme. C'erano dieci uomini sotto il comando di Pa'il, inclusi ufficiali dell'intelligence,  uomini di fanteria, e membri del Palmach, e l'artiglieria mobile dell'Haganah.  Il 18 marzo 1948, con grande costernazione di Pa'il, l'ufficiale dell'Haganah Yisrael Galili   ordinò lo scioglimento dell'unità  e il riassegnamento dei suoi membri alla polizia militare. Pa'il si appellò a David Cohen, comandante supremo di tutte le operazioni contro IZL e Lehi, per  un programma  "allo scopo di mantenere in servizio l'unità". Alla sua richiesta  fu dato parere negativo, e l'unità venne sciolta.  Nel momento della battaglia di Deir Yassin, il 9 aprile, Pa'il era disoccupato - e presumibilmente in cerca del modo di convincere i suoi superiori che il comportamento dell'IZL e del Lehi meritava ancora  una speciale squadra sotto il suo comando (48). Pa'il sarebbe in seguito diventato un attivista della sinistra estrema nella politica israeliana, occupando la carica di parlamentare del   partito Moked   alla Knesset, una fazione del Partito Comunista israeliano.

Secondo Pa'il, "un giorno o due prima dell'episodio di Deir Yassin, incontrai un amico, un uomo del Lehi, Moshe Idelstein, che una volta era nel Palmach - quantunque non penso che egli sapesse che il  compito a me assegnato fosse a Gerusalemme - e mi disse che IZL e Lehi erano sul punto di  attaccare Deir Yassin e che sarei dovuto andare a vederli in azione". Al contrario, Idelstein raccontò allo storico Uri Milstein: "Sapevo esattamente quale compito era stato assegnato a Pa'il; non gli dissi mai dei nostri piani di attaccare Deir Yassin o qualcos'altro del genere, e di conseguenza non lo invitai mai ad avvicinarsi subito" (49). 

Ci sono altre affermazioni nelle relazioni che Pa'il ha rilasciato nel corso degli anni, che sollevano dubbi sulla sua credibilità come testimone dei fatti di Deir Yassin. Per esempio, in un'intervista del 1981, Pa'il disse di Deir Yassin: "Non era situata in nessun importante percorso stradale.  Il suo valore strategico era pari a zero"(50).  Pa'il raccontò di essere giunto a Deir Yassin presto nella mattinata della battaglia, accompagnato da un giovane fotografo. "Improvvisamente iniziai a sentire spari da tutto il villaggio. Corsi [col fotografo], e vidi uomini del gruppo IZL e Lehi correre di casa in casa, entrare e fare una carneficina a colpi di fucile della gente che dormiva là, di  propria iniziativa  [e non dietro   ordini dall'alto]".  Inutile a dirsi, la nozione che i residenti arabi sarebbero rimasti a dormire nel mezzo di una grande battaglia appare a stento plausibile. E' anche difficile  capire come Pa'il abbia potuto vedere i massacratori senza essere materialmente presente all'interno delle case. Secondo Pa'il, "Io sarei andato dietro di lui e avrei iniziato a urlare: 'che cosa state facendo?' . Mi avrebbero guardato   come se fossi stato un pazzo e il fotografo scattò qualche immagine" (51).

In contrasto con la richiesta di Pa'il  per un confronto in contraddittorio fra lui stesso e gli uomini di IZL e Lehi, i veterani della battaglia intervistati da Milstein, compresi Yehoshua Zettler, Mordechai Ra'anan, Moshe Barzili, Yehuda Lapidot, Patchia Zalvensky, e Moshe Idelstein, dissero tutti che Pa'il non era a Deir Yassin, e che era impensabile che egli potesse essere stato là a loro insaputa. E  neppure nelle fonti dell'Haganah  vi sono  evidenze a dimostrazione della presenza di  Pa'il; le dichiarazioni date da David Shaltiel, Zalman Meret, Zion Eldad e Yeshurun Schiff non menzionano Pa'il, né col suo nome, né con alcuno dei suoi nomi in codice, "Avraham" e "Ram". Moshe Eren e Mordechai Gihon dell'Haganah, i quali erano a Deir Yassin e, all'epoca,  conoscevano personalmente Pa'il, dissero di non averlo visto là. Yehoshua Arieli che era supervisore alle sepolture, affermò di non aver visto Pa'il là. Shlomo Havilov, comandante dell'Haganà per Gerusalemme ovest, che trascorse la notte del 9 aprile a Givat Shaul, dichiarò: "Non vidi Meir Pa'il là. Lo conoscevo bene. Se ci fosse stato mi ricorderei di lui" (52).

Per quanto riguarda l'identità del fotografo, Pa'il ha costantemente rifiutato di fare il suo nome, dicendo che "egli è impaurito" (53).  Pa'il asserì che il fotografo scattò "trentasei fotografie, alcune durante la battaglia, altre dopo" (54). Secondo Pa'il, egli sottopose le fotografie, insieme a una relazione che aveva compilato circa i fatti, al suo superiore nell'Haganah Yisrael Galili, e che esse sono attualmente conservate come materiale classificato negli archivi della Israel Defence Forces. Galili in seguito confermò di aver ricevuto una relazione e le fotografie da Pa'il, ma non era in grado di ricordare precisamente il contenuto della relazione e delle foto (55). La dichiarazione di Pa'il che alcune delle immagini rivelassero un effettivo massacro in corso di attuazione è stata discussa dai [responsabili degli] archivi IDF, i quali, mentre non hanno messo a disposizione né rapporto,  né fotografie, hanno detto che le fotografie mostrano corpi morti, senza alcun modo di sapere quando o come sono stati uccisi (56).

Per quanto riguarda i prigionieri, quella di Pa'il è la sola fonte che affermi che i combattenti ebrei massacrarono un certo numero di prigionieri arabi dopo la battaglia. Egli asserì che un gruppo di circa venti prigionieri furono "fatti sfilare" attraverso Gerusalemme, e poi riportati a una cava vicino Deir Yassin e massacrati (57). L'accusa di Pa'il è stata smentita dal comandante dell'Haganah a Givat Shaul, Yona Ben-Sasson, il quale testimoniò che molte teste-calde presero in considerazione l'idea di portare i prigionieri alla cava e di ucciderli, ma che egli personalmente li dissuase dal farlo (58).

Le esagerazioni della Croce Rossa
Il 10 aprile , il giorno dopo la battaglia, Jaques de Reynier rappresentante in capo della Croce Rossa a Gerusalemme, "ricevette una chiamata dagli arabi che mi chiedevano di recarmi immediatamente al villaggio di Deir Yassin dove la popolazione civile dell'intero villaggio è stata appena massacrata". Le memorie di de Reynier non danno alcuna indicazione che egli abbia nutrito alcun dubbio circa la veridicità della notizia. Quando egli si recò a Deir Yassin l'11 aprile, sembra che si aspettasse già di trovarsi di fronte alle conseguenze di un massacro (59).

La relazione di de Reynier è piena fino all'orlo di ostilità verso la parte ebraica.   Per come la racconta,  si trattò di una sorta di drammatica storia di un coraggioso benefattore che con enormi difficoltà  - e miracolosamente-  sfuggì a situazioni da pericolo di vita per portare al mondo la verità sulle stragi ebraiche. Il primo comandante IZL che incontrò sulla scena presumibilmente "aveva un singolare scintillio negli occhi, freddo e crudele". Un'ebrea  combattente da lui incontrata era "una bella giovane donna dallo sguardo assassino".  I combattenti di IZL e Lehi erano "quei criminali" (60).

I ricordi di de Reynier erano coloriti, ma spesso mettevano a dura prova il  limite della credibilità.  Quando stava per giungere  in prossimità di Deir Yassin, la sua macchina venne fermata da "due individui simili a soldati il cui sguardo era lungi dall'essere rassicurante, con fucili mitragliatori in mano e lunghe armi da taglio alla cintura". Sembrava che "tutto fosse perduto",  raccontò de Reynier: "quando, all'improvviso, apparve un enorme individuo, alto almeno due metri e largo come un armadio,  spinse da parte i suoi compagni, mi afferrò la mano stritolandola tra le sue zampe e urlando in modo incomprensibile". Secondo de Reynier, il suo anonimo salvatore era un ebreo che era stato aiutato dalla Croce Rossa quando era prigioniero dei nazisti, e perciò ora avrebbe aiutato de Reynier. "Con un siffatta guardia del corpo sentii che sarei potuto arrivare in capo al mondo" scrisse de Reynier (61). Altrove nel suo racconto,  de Reynier si riferisce all'uomo come "il mio guardaroba" e "il mio buon amico, la credenza con le vetrine" (62).

In realtà, l'uomo al quale de Reynier faceva riferimento, non era, come de Reyner suggerisce un ignoto salvatore la cui gratitudine per la Croce Rossa  aveva spinto a rivoltarsi e aiutare de Reynier a rivelare la verità circa la  brutalità ebraica. Egli era l'ufficiale dell'intelligence del Lehi Moshe Barzili, scelto dai suoi superiori per scortare de Reynier perché egli stesso e l'ufficiale della Croce Rossa parlavano entrambi tedesco. Egli non stava introducendo furtivamente de Reynier a Deir Yassin; era stato inviato dal Lehi per offrire a de Reynier un minuzioso giro d'ispezione sul campo di battaglia (63). I combattenti ebrei diedero a de Reynier il permesso di entrare perché essi non avevano commesso atrocità e non avevano nulla da nascondere. Il significato di questo punto, tuttavia, si perdette nel racconto di de Reynier. Dalla sua relazione appare che egli abbia brigato per entrare nel villaggio contro il volere dei combattenti ebrei -   impresa che a stento appare possibile. Su un altro punto delle sue memorie della visita, de Reynier dichiara che quando egli voleva entrare in una delle case arabe "una dozzina di soldati mi circondarono, i loro mitragliatori erano puntati sul mio corpo"; tuttavia egli "li spinsi da parte ed entrai nella casa". Quando egli cercò di trasportare un ferito arabo fuori dalla casa, "l'ufficiale tentò di fermarmi" ma "lo spinsi da parte". E' plausibile che un rappresentante della Croce Rossa disarmato abbia ripetutamente "spinto da parte" soldati ebrei armati di mitragliatrice? Barzili più tardi ricordò che la leadership del Lehi era d'accordo nel permettere a de Reynier il giro d'ispezione, precisamente a causa delle dicerie sul massacro. Un poliziotto ebreo nel governo del mandato britannico col quale il Lehi era in contatto, Shlomo Sofer, l'informò che "c'erano voci che un massacro era avvenuto nel villaggio, e che un rappresentante della Croce Rossa voleva visitarlo. Noi avevamo fidicia che, con l'aiuto di de Reynier, le voci sarebbero state fugate" (64).

Quando ispezionò il villaggio, ricorda de Reynier, era accompagnato da un "medico ebreo" che era stato convocato dall'ufficio della Croce Rossa. Il medico "mi seguì coraggiosamente" di casa in casa. Si trattava del dr. Alfred Engel del Magen David Adom, l'equivalente ebraico-palestinese della Croce Rossa. Le successive descrizioni di Engel relative a ciò che vide, tuttavia differivano da quelle di de Reyner su aspetti significativi.

Secondo de Reynier, gli arabi residenti a Deir Yassin assommavano "approssimativamente a quattrocento, non  armati". Egli non spiegò la discrepanza tra l' affermazione che fossero "non armati" e il fatto che abbiano sparato a morte quattro dei combattenti ebrei e ne abbiano ferito a molte dozzine. Nelle case che  esaminò, de Reyner vide un certo numero di corpi di arabi che, asserì erano stati uccisi da "fucili mitragliatori, poi da bombe a mano. Erano stati finiti a coltellate, e ognuno poteva vedere ciò". Egli trovò tre sopravvissuti, un bambino e due donne anziane. "Vi erano  quattrocento persone nel villaggio" continuava la relazione di de Reynier. "circa cinquanta di esse erano fuggite, ed erano ancora vive. Tutte le altre erano state deliberatamente massacrate a sangue freddo...". Secondo de Reynier, egli visitò poi i capi arabi locali per chiedere che cosa si sarebbe dovuto fare dei cadaveri e, dietro loro richiesta, ritorno a Deir Yassin per chiedere che venissero seppelliti sul posto (65).

Il "medico ebreo" era il dr. Alfred Engel del Magen David Adom, equivalente ebraico-palestinese della Croce Rossa. In contrasto con i racconti raccapriccianti di de Reynier circa il suo tentativo di entrare a Deir Yassin, Engel riferì che "noi entrammo nel villaggio facilmente. Gli unici ad essere là erano i dissidenti (IZL e Lehi), "ed essi erano impegnati a caricare corpi negli autocarri".  Engel accompagnò de Reynier dentro le abitazioni. "Nelle case c'erano feriti, un totale di circa cento uomini, donne e bambini", riferì. "Era terribile. Non vidi alcun segno di profanazione, mutilazione o violenza". E' degno di nota che, in contrasto con de Reynier, il quale aveva asserito che gli arabi morti erano stati "finiti a coltellate e ognuno poteva vedere ciò", il dr. Engel, che vide i cadaveri insieme a de Reynier, non fece alcuna allusione circa la vista di persone  "finite a coltellate". Anche la stima dei cento morti fatta da Engel è vistosamente in contrasto con quella di trecentocinquanta fatta da de Reynier (66).


L'accusa dell'Haganah

Il motivo per cui un così grande numero di cadaveri era ancora visibile quando giunse de Renyer era che David Shaltiel era bloccato da una feroce disputa con gli uomini dell'IZL e del Lehi intorno al problema del posto dove mettere i corpi. Le unità IZL e Lehi, esauste per la battaglia e l'assistenza a dozzine di feriti, non erano all'altezza del compito di seppellire l'inaspettatamente alto numero di cadaveri. E neppure intendevano eseguire servizi di guarnigione. I loro comandanti informarono Shaltiel che essi erano ansiosi di tornare alle proprie basi, e gli chiesero di predisporre soldati per occupare il villaggio.  Shaltiel era furioso; egli non voleva spostare soldati da altre aree per tenere la posizione a Deir Yassin, né era disposto a lasciarsi gravare del fardello di aver a che fare con problemi di sepolture. Dopo infiammate discussioni con i capi dell'IZL e del Lehi, Shaltiel inviò infine al villaggio una piccola forza dell'Haganah, seguita da un gruppo di membri di Gadna, il gruppo giovanile paramilitare dell'Haganah, per occuparsi delle sepolture (67).

Tra i giovani addetti alla sepoltura c'era Yair Tsaban, in seguito membro della Knesset e a lungo leader dell'ala sinistra del partito Mapam. Tsaban, poiché era giunto dopo che la battaglia era terminata, non poteva essere stato testimone di come gli arabi erano stati uccisi. In un'intervista con lo scrittore Eric Silver, Tsaban non diede segno di aver avuto alcuna idea se i morti fossero stati massacrati, o uccisi inavvertitamente nel mezzo delle sparatorie e delle esplosioni. Tutto ciò che poteva fare era fare deduzioni; dal momento che egli si era imbattuto in "due o tre casi di maschi anziani travestiti con abiti da donna" tra i caduti, "La mia conclusione fu che ciò che avvenne al villaggio terrorizzò a tal punto questi vecchi da far pensare loro che l'età avanzata non li avrebbe salvati. Speravano che se fossero stati scambiati per donne avrebbero trovato la salvezza" (68). L'assunto retrospettivo di Tsaban può essere interessante, ma non c'è alcuna evidenza di prove. Una teoria analogamente plausibile teoria è che  i vecchi ebbero timore  che gli ebrei  avrebbero potuto massacrare i maschi - proprio come spesso gli arabi hanno massacrato i loro prigionieri ebrei - e che, per questa ragione, si  siano travestiti  da donna; in realtà,   se fossero stati catturati vivi, sarebbero stati uccisi. Invece, persero la vita perché furono colpiti dal fuoco incrociato o nelle case devastate dalla dinamite, e non a causa di alcun massacro. In contrasto con le affermazioni di de Reynier, Tsaban dichiarò allo scrittore Eric Silver che egli - che aveva raggiunto Deir Yassin due giorni prima di de Reynier - non vide sangue sugli abiti dei combattenti ebrei e "non vidi alcuna evidenza di uccisioni a coltellate" (69).

Un altro attivista di sinistra, Uri Avnery, affermò di aver ricavato mezze confessioni da alcuni dei partecipanti dopo la battaglia. L'obiettività di Avnery deve essere soppesata con cautela, in considerazione del suo lungo passato di attivista politico estremista, compreso lil suo impegno di editore della rivista dell'estrema sinistra Haolam Hazeh dal 1950 al 1990, e l'attività di parlamentare della Knesset per due partiti dell'estrema sinistra, Haolam Hazeh e Sheli, dal 1965 al 1981. Riguardo a Deir Yassin, Avnery scrisse nel suo libro del 1968,  Israele senza sionisti, che "tutti gli abitanti del villaggio che non erano fuggiti furono massacrati" -  superando notevolmente persino molti di quelli  che avevano sostenuto che là ci fosse stato un massacro. Avnery aggiunse: "In seguito, tentai di interrogare i soldati che avevano preso parte all'azione. Essi sostenevano che il massacro non fu premeditato, che il loro comandante perse la testa dopo che alcuni dei suoi uomini furono uccisi dai cecchini arabi". Avnery non produce informazioni sui presunti "interrogatori";  non fornisce nessuno dei nomi degli individui che egli presumibilmente ha interrogato, e nessuna autentica citazione delle loro parole, sia che fossero confessioni o altro (70).

Le discussioni di Shaltiel con l'IZL e col Lehi intorno a chi si sarebbe dovuto occupare della città dopo la battaglia e sul problema dei seppellimenti sembra abbiano acceso la sua collera. Non c'era un perduto amore tra Shaltiel e i "dissidenti"; certamente, come capo dell'intelligence dell'Haganah, egli aveva svolto un ruolo attivo nelle operazioni contro l'IZL e il Lehi (71). Ora egli avrebbe potuto dare un ultimo colpo ai suoi vecchi avversari. Shaltiel, consultandosi con i suoi superiori nell'Agenzia Ebraica, e forse motivato dal desiderio di minare l'accordo di fusione in corso tra IZL e Haganah, decise di proseguire l'offensiva. Disse ai giornalisti di non aver avuto preventiva conoscenza del piano di attacco a Deir Yassin, e che l'Haganah non aveva preso parte alla battaglia. Contemporaneamente, l'Agenzia Ebraica rilasciò una dichiarazione che esprimeva il suo "orrore e disgusto" per il "barbaro" comportamento dell'IZL e del Lehi a Deir Yassin, e inviò un cablogramma al re di Transgiordania Abdullah, con espressioni di rincrescimento e cordoglio per ciò che era accaduto (72).  Sorpresi dal voltafaccia di Shaltiel, gli uomini dell'IZL   rilasciarono immediatamente il testo della nota del 7 aprile  con l'approvazione dell'attacco. Anni dopo, il Ministero della Difesa israeliano pubblicò una storia della guerra del 1948 in cui Shaltiel  era menzionato come persona che era a conoscenza, in anticipo, dell'attacco a Deir Yassin. Benché non abbia mai ammesso la sua piena e completa partecipazione al piano di attacco, Shaltiel disse: "Non posso dire di non aver saputo dell'operazione. Un giorno prima dell'azione (giovedì, 8 aprile), Yeshurum Shiff me la comunicò" - in completa contraddizione con la sua dichiarazione, rilasciata subito dopo la battaglia, di non averne avuto conoscenza anticipatamente (73).

Dopo la guerra del 1948, quattro veterani feriti a Deir Yassin si rivolsero al Ministero della Difesa israeliano per ottenere i normali benefici previsti dalla legge del 1949 (Israel's Disabled Person Act, Benefits and Rehabilitation) per i soldati israeliani feriti. Il Ministero respinse la richiesta sulla base che la battaglia di Deir Yassin non era qualificata come "servizio militare"; infatti, il governo dava la definizione di  "servizio militare"  alle  "attività organizzate contro le bande arabe e gli eserciti di occupazione". I veterani sporsero querela, con la speranza che i principi di equità giuridica avrebbero prevalso sulla faziosità politica, specialmente dopo che le emozioni della guerra si erano attenuate.   Essi portarono il caso davanti alla corte d'appello del Ministero della Difesa, una speciale giuria formata da tre giudici. La corte, dopo aver sentito le testimonianze dei partecipanti alla battaglia, stabilì che certamente era appropriata la definizione di "servizio militare"  del Ministero (74).


I britannici "blandirono" i testimoni

I propagandisti arabi  dichiarano con siatematica regolarità che i combattenti ebrei   violentarono le donne arabe durante la battaglia di Deir Yassin, ma mancano evidenze alla  convalida dell'accusa. A  cominciare dal fatto che l'accusa di aggressione sessuale è del tutto in disaccordo col comportamento dei soldati ebrei nel corso delle guerra del 1948 e delle successive altre guerre arabo-israeliane. (Al contrario, gli arabi hanno frequentemente violentato le donne ebree durante gli attacchi arabi alle comunità ebraiche, come le sommosse del 1929 ad Hebron).

Come si è notato precedentemente, il Dr. Engels, che accompagnava Jacques de Reynier della Croce Rossa, riferì di "non aver visto alcun segno di profanazione, mutilazione o violenza" (75). Daniel Spicehandler, membro di un'unità dell'Haganah inviata a portare aiuto all'IZL, disse in seguito: "Per quanto potei vedere, non vi furono violenze o saccheggi" (76). Un arabo sopravvissuto alla battaglia di Deir Yassin, Muhammad Arif Sammour, disse enfaticamente allo scrittore Eric Silver che non c'erano state aggressioni sessuali. Silver scrisse: "Non sentii né vidi alcunché per quanto riguarda violenze o aggressioni su donne incinte. Nessuno degli altri sopravvissuti mi parlò mai di quel genere di cose. Se anche qualcuno te lo racconta, io non ci credo" (77). L'affermazione di Sammour è rinforzata dalla testimonianza dei due medici ebrei, i dottori Z. Avigdori e A. Droyan. Dietro richiesta dell'Agenzia Ebraica, lunedì 12 aprile, Avigdori e Droyan furono inviati dal Comitato Medico dell' Histadrut di Gerusalemme (il sindacato affiliato al Labor Zionist) a Deir Yassin.   Essi esaminarono i corpi e riferirono che "tutti i cadaveri erano vestiti, gli arti erano intatti, e nessun segno di mutilazione era visibile su di essi" (78).

La fonte originaria dell'accusa di violenze a Deir Yassin è un ufficiale anziano della polizia britannica. Dal momento che le autorità del Mandato Britannico erano ancora al potere al tempo della battaglia di Deir Yassin - non dovevano a lasciare la Palestina fino al 15 maggio, più di un mese dopo - la polizia britannica svolse le proprie investigazioni sui fatti, condotte da Richard C. Catling, Assistente Ispettore Generale della Divisione Investigazioni Criminali del regime mandatario e specialista in affari ebraici.

Catling non era, tuttavia, la persona più obiettiva ad investigare se l'IZL e il Lehi avessero, o no, perpetrato atrocità contro civili arabi. Per la maggior parte del decennio precedente, Catling aveva svolto un ruolo preminente nelle violente lotte del regime del Mandato con le forze combattenti ebraiche e con l'IZL e il Lehi in particolare, i quali avevano assassinato numerosi ufficiali della polizia britannica, ed avevano pubblicamente umiliato le forze inglesi con azioni di rappresaglia, pubbliche fustigazioni, incursioni in stazioni di polizia e basi fortificate considerate imprendibili, e spettacolari evasioni dal carcere. Lo stesso Catling a stento era sfuggito alla morte per mano dell'IZL in più di un'occasione. Egli era al quartier generale britannico a Gerusalemme, nel 1944, durante un attacco  dell'IZL, nel quale un suo collega venne ucciso ed uno dei sospetti catturato. Mentre Catling colpiva brutalmente la persona  sospettata, una bomba dell'IZL scosse la stazione. "John Scott era un mio buon amico" ricordò in seguito Catling, "Noi avevamo questa disgraziata persona sospetta nell'ufficio di Gile [Arthur, ispettore generale] e io lo stavo picchiando come un demonio. Lo ammetto francamente. Allora scoppiò la bomba. Fummo scaraventati per la stanza e coperti di intonaco".  Due anni dopo, a Catling capitò di trovarsi nella reception del salone principale dell'hotel King David - quartier generale del governo del Mandato Britannico - quando l'IZL lo fece saltare con la dinamite nel 1946. Al rumore della forte esplosione, Catling si buttò sotto il banco della reception salvandosi (79).

Catling visitò  il sobborgo di Silwan cinque giorni dopo la battaglia di Deir Yassin, e intervistò un certo numero di donne arabe che dicevano di essere state a Deir Yassin nella settimana precedente. "La maggior parte di quelle donne sono molto riservate e riluttanti a riferire le proprie esperienze specialmente in materia di aggressioni sessuali e necessitano di molta persuasione prima di lasciar trapelare qualunque informazione", scrisse Catling. Quando finì per "persuaderle", Catling fu in grado di concludere che "molte atrocità sessuali sono state commesse dagli attaccanti ebrei". Secondo Catling, "molte giovani studentesse furono violentate e dopo uccise", "anche le donne anziane furono molestate", "anche molti bambini furono massacrati", e "corre una storia riguardo al caso di una una ragazzina divisa letteralmente in due" (80). Catling può essere stato comprensibilmente impaziente di credere a ogni accusa fatta contro gli odiati IZL e Lehi, ma la mancanza di prove da parte di altre fonti, insieme alla presumibile inclinazione di Catling e alle sue  ammissioni di aver affrontato con "grande persuasione"  le donne arabe da lui intervistate, fa sorgere seri dubbi sulla veridicità delle sue affermazioni.


Come morirono molti arabi a Deir Yassin?

Le stime sul numero di arabi morti a Deir Yassin variano in modo pazzesco. Il soldato dell'Haganah Daniel Spicehandler disse di aver visto "forse una cinquantina di morti" (81). Shimon Monita, spia dell'Haganah nel Lehi, stimò in 60 il numero di arabi morti; Moshe Idelstein del Lehi ricordò la cifra di 61 come ricorrente all'epoca dei fatti. L'ufficiale dell'intelligence dell'Haganah Yona Feitelson, che giuse a Deir Yassin la mattina dopo la battaglia, fece una stima di 80 morti. Mordechai Gihon dell'Haganah, che era sul posto nel pomeriggio del giorno della battaglia, pensò che il numero sia stato vicino a 150 (82). Il comandante IZL Menachem Begin, al quale la battaglia venne sommariamente descritta dai suoi ufficiali, scrisse che il numero era approssimativamente 130 (83). 

E' stato Mordechai Ra'anan, comandante IZL a Deir Yassin, a fornire per primo il numero di 254. In un'intervista rilasciata negli anni successivi, a Ra'anan fu chiesto come era pervenuto a quella cifra che aveva dato alla stampa qualche ora dopo la battaglia. Rispose:
"Quel giorno non sapevo, non potevo saperlo, quanti arabi erano stati uccisi. Nessuno contò i corpi. La gente stimava che circa 100 o 150 persone fossero rimaste uccise. Dissi ai giornalisti che erano state uccise 254 persone perché fosse resa pubblica  una grande cifra, e con l'idea che agli arabi  sarebbe venuto il panico non solo a Gerusalemme ma nell'intero Paese;  lo scopo venne raggiunto. Reporter, giornalisti, ricercatori e storici si occuparono della cosa come se fosse un fatto stabilito che non richiede ulteriori investigazioni, e nessuno si preoccupò di controllare quale fosse il numero esatto." (84).

Meir Pa'il sembra sia stato uno dei primi a lasciarsi ingannare dai numeri di Ra'anan. In una delle sue relazioni sulla battaglia, Pa'il disse che il suo rapporto  a Galili descriveva "il massacro di 250 persone" (85). David Cohen, comandante di Pa'il nell'intelligence dell'Haganah, più tardi ricordò che Pa'il si era servito della cifra di 254 nel suo rapporto sulla battaglia. "Questo numero ci sembrò esagerato, e gli chiedemmo come lo aveva ottenuto", disse Cohen. "Pa'il replicò, "non potei contarli tutti, ma c'è un rapporto direttamente dalla fonte originale", riferendosi a Ra'anan. Scrivendo sul Yediot Ahronot  nel 1972, Pa'il ripeté l'affermazione che 254 persone furono uccise (86).  Il fatto che Pa'il si sia servito della cifra falsa indicata da Ra'anan, e che egli abbia apparentemente ammesso con Cohen che egli stesso non aveva contato i corpi, fa sorgere ulteriori problemi su quanto vicino alla scena sia stato Pa'il, e sull'affidabilità della sue dichiarazioni rispetto a quanto accadde.

Secondo Eric Silver, "Essi seppellivano così velocemente che nessuno si fermò a contare i cadaveri". Silver menziona Muhammad Arif Sammour quale persona che avrebbe detto che tre giorni dopo la battaglia "i rappresentanti di ognuno dei cinque clan a Deir Yassin si incontrarono a Gerusalemme negli uffici islamici accanto alla moschea di Al Aqsa e fecero una lista delle persone che non erano state ritrovate.  Noi completammo [la lista dei]  nomi. Il loro numero era di 116. Niente era capitato fin dal 1948 per farmi pensare che quella cifra fosse sbagliata". Silver aggiunse: "Ancora una volta,  Sammour ha ogni ragione per esagerare piuttosto che sminuire le perdite.   La sua posizione  è confermata da Yehoshua Arieli [comandante del gruppo dell'Haganah che seppellì i cadaveri], ora professore di storia e veterano pacifista israeliano. "La cifra di 116, dice, ha senso. Non penso  che ne abbiamo seppellito più di 120-140" (100%).


La sorprendente scoperta dei ricercatori arabi

Nel 19100%, il Centro di Ricerca e Documentazione della Bir Zeit University, un'importante università araba nel territorio ora controllato dall'Autorità Palestinese, pubblicò uno studio complessivo della storia di Deir Yassin, come parte del proprio Progetto di Documentazione dei Villaggi Palestinesi Distrutti.  I ritrovamenti del Centro concernenti Deir Yassin vennero pubblicati, ma solo in arabo, come quarto volumetto della "Serie Villaggi Arabi Distrutti".

Lo scopo del progetto, secondo il suo direttore, è di "ottenere informazioni dalle persone che vissero in quei villaggi e che erano loro parenti prossimi, e poi di confrontare questi dati e pubblicarli al fine di salvare,  a beneficio delle future generazioni, la speciale identità e le peculiari caratteristiche di ogni villaggio" (88).

Nello studio di Bir Zeit, la descrizione della battaglia di Deir Yassin iniziava con la tipica iperbole di molte relazioni dell'evento, chiamandola "un massacro del quale la storia ha raramente visto l'uguale" (89). Ma, diversamente dagli autori di ogni altro precedente studio su Deir Yassin, i ricercatori di Bir Zeit rintracciarono i testimoni oculari arabi sopravvissuti  all'attacco e intervistarono personalmente ciascuno di essi. "Per lo più, abbiamo raccolto le informazioni di questa monografia durante il periodo tra febbraio e maggio  del 1985 tra i nativi di Deir Yassin che vivono nell'area di Ramallah, e che sono stati  estremamente collaborativi", spiegavano gli autori di Bir Zeit citando per nome dodici ex-residenti di Deir Yassin che avevano intervistato a proposito della battaglia. Lo studio continua: "Le fonti [storiche] che hanno dibattuto sul massacro di Deir Yassin concordano unanimamente che il numero delle vittime si aggira tra 250 e 254; tuttavia, quando esaminammo i nomi che appaiono nelle varie fonti, divenimmo assolutamente convinti che il numero degli uccisi non sia stato superiore a 120, e che i gruppi che eseguirono il massacro esagerarono il numero allo scopo di terrorizzare i residenti palestinesi al punto da lasciare i loro villaggi e città senza opporre resistenza" (90).  Gli autori concludono: "Segue un elenco di nomi ed età degli uccisi a Deir Yassin nel massacro che ebbe luogo il 9 aprile 1948, che è stato compilato sulla base delle testimonianze dei nativi di Deir Yassin. Abbiamo fatto un grande investimento nel tentativo di controllarlo e nel dare certezze su ciascun nome, tale da poter dire senza esitazione alcuna che si tratta del più accurato elenco di questo genere mai realizzato fino ad oggi" . Segue un elenco di 107 persone uccise e 12 ferite (91).


Come si è gonfiata  la bugia del "massacro" 

Quando il comandante dell'IZL, Mordechai Ra'anan, esagerò deliberatamente l'ammontare delle perdite di Deir Yassin a scopo di propaganda, inavvertitamente alimentò  la propaganda anti-israeliana per i decenni a seguire. La cifra di Ra'anan di 254 morti fu trasmessa da un bollettino radio della BBC la sera dopo la battaglia (92). Due giorni dopo, il Dr. Hussein Khalidi, portavoce dell' Arab Higher Committee - principale agenzia arabo-palestinese - fece proprio il numero di 254, e lo ripeté ai giornalisti, asserendo che la sua informazione era basata su una visita al villaggio da parte del rappresentante della Croce Rossa, Jacques de Reynier (93). Khalidi cercò di servirsi delle funzioni della Croce rossa per dare credibilità alla notizia del massacro, attribuendolo ad un'agenzia umanitaria che presumibilmente non era schierata nel conflitto arabo-ebraico.   In realtà, tuttavia, le informazioni di Khalidi potrebbero non essergli pervenute da Jacques de Reynier. Khalidi disse ai cronisti che de Reynier ha "visto 40 o 50 corpi" e che gli era stato "detto che altri 50 circa erano sparsi altrove e 150 gettati in una cisterna" - un totale, cioè, di 240 e 250. Ma il resoconto di Reynier della sua visita a Deir Yassin riportava un ammontare di perdite di 350 (94). Soltanto Ra'anan aveva usato il  numero 254 di cui ora si serviva Khalidi.

La sera dopo la battaglia, il capo dell'ufficio di Gerusalemme del New York Times, Dana Adams Schmidt, insieme a un gruppo di altri giornalisti, partecipò ad un briefing sulla battaglia tenuto da un portavoce dell'IZL in una casa di Givat Shaul, adiacente a Deir Yassin (95). L'articolo di Schmidt sul Times, basato su quel briefing, asserì che "più di 200 arabi" furono uccisi nella battaglia, e non fa alcun riferimento alla nozione che ci sia stato un massacro (96). Fino alla mattinata successiva", Schmidt scrive successivamente nelle sue memorie, "quando andai al fronte arabo a vedere il Dr. Khalid (sic), portavoce dell'Arab Higher Committee, non avrei scoperto l'orrore di Deir Yassin" (97). Schmidt non spiega, né nel suo servizio giornalistico dell'epoca, né nelle sue memorie, perché abbia scelto di credere alla versione di Khalidi piuttosto che a quella del portavoce dell'IZL.  E i suoi servizi   giornalistici non citano neppure  alcuna testimonianza indipendente [a conferma] che abbia avuto luogo un massacro.  Nel suo servizio sulla pagina di apertura del New York Times (12 aprile), Schmidt propose le accuse di Khalidi come valide e lo citò a lungo - cinque interi paragrafi. Il dispaccio di Schmidt del 12 aprile riguardo Deir Yassin si serviva della cifra di 250 caduti (98). Dal giorno successivo, la cifra del Times crebbe ancora, questa volta fino al numero usato da Ra'anan e Khalidi: 254 (99).        
    
L'apparizione dell'accusa di massacro sul New York Times diede alla notizia dell'atrocità una significativa veste di credibilità. Senza l'imprimatur del Times, la notizia del massacro sarebbe stata poco più che l'ultima in una lunga serie di scontri tra gli ebrei e gli arabi. E' vero che la versione araba aveva la conferma ufficiale della Croce Rossa e della leadership del Labor Zionist, ma entrambe le conferme erano alterate:  de Reynier non era stato personalmente testimone del fatto, e le affermazioni dell'Agenzia Ebraica-Haganah erano fatte da un partito con forti interessi politici volti a screditare l'IZL e il Lehi. Una volta  apparsa sul Times, il "giornale della memoria", assunse l'apparenza di fatto, e non di affermazione. Ora i futuri storici e giornalisti potevano far riferimento al Times come fonte di notizie, come se il Times avesse investigato e confermano le notizie di massacro, mentre ciò non era. Certamente, taluni storici - per esempio, Ben Halpern, nel suo The Idea of the Jewish State, che è presente tra le letture sul Mandato in molti corsi dei college sul Medio Oriente - si servono delle cronache del Times del 1948 come sola fonte di informazione per la notizia del massacro (100).

I primi reportage della battaglia da parte di corrispondenti stranieri arricchirono la storia del massacro anche di ulteriori e non documentate accuse. Il New York Times, per esempio, nella sua cronaca del 13 aprile, citò un'affermazione dell'Haganah che pretendeva che gli attaccanti si fossero impegnati in "saccheggi". Non si pubblicò alcuna risposta da parte degli accusati (101). Time Magazine riferì che l'IZL e Lehi "si precipitarono dentro il villaggio di Deir Yassin e fecero saltare le capanne con cariche di esplosivo". Ai  lettori venne offerta la falsa immagine di Deir Yassin come di un assembramento di capanne dai tetti di paglia e prive di difensori, invece che della realtà di solide case in pietra, alcune fornite di porte di ferro, e piene di combattenti arabi  equipaggiati di armi pesanti (102).  Richard Graves, ufficiale anziano del Mandato Britannico per Gerusalemme, aggiunse uno stereotipo anti-ebraico: le sue memorie dell'epoca, pubblicate nel 1949, dichiaravano che "le donne (a Deir Yassin) furono denudate e perquisite in cerca di danaro" da parte degli ebrei.  Per quanto riguarda l'effettiva evidenza di un massacro, Graves scrisse che "ci fu certamente un massacro, perché le uccisioni non furono provocate da alcuna resistenza" - notizia strabiliante, considerando la massiccia, e quasi irresistibile, potenza di fuoco dei combattenti arabi (103).

A dispetto del fatto che Graves non presenta originali elementi di chiarezza, il suo libro è stato citato da un gran numero di testi di storia come fonte della notizia che gli arabi furono massacrati  a Deir Yassin.  Backdrop to Tragedy: The Struggle for Palestine di William Polk, David Stamler ed Edmund Asfour (1957) menziona Graves, così come  Christopher Sykes nel suo Crossroads to Israel (1965) (104). Il libro di Polk-Stamer-Asfour è stato da allora menzionato come  "fonte" del massacro dal polemista anti-sionista Alfred Lilienthal, mentre il libro di Sykes è stato citato come fonte del "massacro" da altri storici, compresi David McDowall (Palestin and Israel), e Desmond Stewart (The Middle East),  come pure dall'autore marxista e anti-sionista Nathan Weinstock (Zionism: False Messiah) (105). Di qui il rimarchevole e fastidioso fenomeno di storici che irresponsabilmente fanno assegnamento su fonti secondarie, che in alcuni casi sono effettivamente fonti di terza mano, poiché a loro volta fanno esse stesse assegnamento su altre fonti secondarie.

Un'altra delle prime pubblicazioni su Deir Yassin, che divenne una fonte per molti storici successivi, era Promise and Fulfilment del giornalista Arthur Koestler (1949). Senza citare alcuna fonte eccetto la denuncia dell'Agenzia Ebraica, Koestler definì l'azione dei combattenti ebrei un "bagno di sangue" e un'"atrocità". In modo interessante, Koestler insinuò anche che alcune descrizione arabe del fatto erano esagerate, rimarcando che le relazioni arabe del tempo erano "adornate di dettagli luridi frutto dell'immaginazione orientale" (106). Un gran numero di successivi testi di storia (come quelli dei polemisti anti-sionisti come Lilienthal e Weinstock) menzionarono Koestler come loro fonte della notizia del massacro,  benché non abbiano accolto l'affermazione di Koestler circa l'"immaginazione" degli arabi a proposito di alcune accuse; tra essi figura Charles D. Smith (Palestine and the Arab-Israeli Conflict,  1992), e Nicholas Bethell (The Palestine Triangle,   1979) (107). Bethell, a sua volta, venne citato come una delle fonti del "massacro"  da David McDowall (Palestine and Israel), che citava come fonte un articolo di David Gilmour del 1986 sul  Middle East International (108). Un lettore determinato che voglia andare a caccia dell'articolo di Gilmour troverà che una delle principali fonti di Gilmour per la notizia del massacro è Arthur Koestler. Così la catena di irresponsabilità compie il giro completo, a cominciare dalle asserzioni non documentate di Koestler; il racconto di Koestler puntellò quello di Bethel; quello di Bethel puntellò quello di McDowall; quello di McDowall venne anche puntellato da quello di Gilmour; e quello di Gilmour fu puntellato da Koestler.

Molti altri libri che si riferiscono a Deir Yassin citano analogamente, come proprie fonti, altri libri che non menzionano alcune fonte per la notizia del massacro. Seven Fallen Pillars di Jon Kimche non cita alcuna fonte per l'accusa di massacro, tuttavia viene menzionato in molti altri libri di storia come la fonte dell'accusa (109).

Un totale di 170 libri di storia in lingua inglese che si riferiscono alla battaglia di Deir Yassin è stato analizzato per questo studio.  Solo 8 dei 170 sollevano seri dubbi se ci sia stato un massacro, oppure no. Dei 162 libri che hanno stabilito definitivamente che un massacro è avvenuto, 94 di essi (il 58%) non hanno prodotto fonte alcuna per la loro accusa; e ulteriori  38 (il 23%) citano solo fonti secondarie per la notizia del massacro. In altre parole, un totale di 81,4% di autori che dichiararono [l'esistenza di] un massacro, lo hanno fatto senza prendere in considerazione nessuna ricerca originale per dare contenuto alle proprie affermazioni.

Nell'ardore della battaglia e delle sue immediate conseguenze, l'Agenzia Ebraica e l'Haganah controllate dai Labor Zionist avevano approfittato di una difficile situazione per mettere a segno qualche punto di vantaggio politico. Ma gli anni passarono, gli umori si raffreddarono, e dal 1960 un nuovo governo isreliano a guida Labor  iniziò a riesaminare ciò che accadde a Deir Yassin. Quell'anno, l'Ufficio di Informazione Israeliano - una divisione del Ministero degli Esteri - pubblicò un opuscolo sul conflitto arabo-israeliano che comprendeva una descrizione dell'azione di Deir Yassin molto diversa dalla versione fatta circolare dal portavoce del Labor Zionist nel 1948:
"Gruppi di dissidenti ebrei, guidati dall'Irgun Zvai Leumi, intrapresero operazioni contro il villaggio di Deir Yassin, senza la collaborazione o il consenso del corpo principale della popolazione ebraica organizzata nell'Haganah. Questo villaggio era stato a lungo un nido di cecchini arabi e di bande armate. L'azione ebbe luogo prima della istituzione dello Stato d'Israele e prima dell'effettivo controllo da parte del Governo di tutte le forze armate precedentemente impegnate nella resistenza agli attacchi arabi. L'incidente venne condannato senza riserve da tutti gli elementi ebraici responsabili".

Menachem Begin, leader dell'Irgun, successivamente asserì che l'Haganah aveva espressamente diffidato il comando dell'Irgun nei confronti dell'attacco. Egli, tuttavia, mette in rilievo che ripetuti avvertimenti col megafono in lingua araba  avevano informato i non-combattenti che sarebbero stati uccisi nel combattimento, e che   abbandonassero  perciò il villaggio dal quale partiva  il fuoco mortale contro gli irregolari dell'Irgun.

Il pamphlet menzionava quindi un sopravvissuto di Deir Yassin, Yunes Ahmed Assad, il quale aveva raccontato al giornale giordano Al Urdun il 9 aprile 1953: "Gli ebrei non avevano l'intenzione di far del male alla popolazione del villaggio, ma furono costretti a farlo dal momento in cui incontrarono gli spari della popolazione che uccisero un comandante dell'Irgun".

Se, da un lato,  la versione dell'opuscolo  dichiarava erroneamente che l'Haganah si era opposta all'attacco, e scorrettamente asseriva che lo stesso Begin lo aveva affermato  (Begin, in realtà, disse esattamente il contrario), da un altro lato,  però,  muoveva obbiezioni  anche per via diretta e minava molte delle dichiarazioni esistenti da lungo tempo che gli stessi Labor Zionist avevano contribuito a propagare: che Deir Yassin non fosse un obiettivo legittimo, dal momento che era un villaggio  pacifico; che gli abitanti del villaggio fossero disarmati e indifesi; e che ai residenti non fosse  stato fatto alcun precedente avvertimento dell'attacco. Per di più, il pamphlet, mentre prendeva nota delle condanne dell'"operazione", non faceva riferimento ad alcun massacro ivi commesso (110). Nondimeno, questi  sorprendenti capovolgimenti  di posizioni a lungo mantenute in vita furono quasi universalmente ignorati dai  successivi racconti  della battaglia.

Nel 1969, il governo laburista israeliano pubblicò una confutazione persino più ampia delle accuse del 1948. La Divisione Informazione del Ministero degli Esteri - all'epoca sotto il Ministro degli Esteri Abba Eban - pubblicò un nuovo opuscolo di 9 pagine sulla battaglia di Deir Yassin. Il pamphlet iniziava denunciando l'accusa di massacro come un "racconto favoloso" e come la "grande bugia di Deir Yassin". (111).   La battaglia per Deir Yassin, continuava l'opuscolo, "fu un integrale, inseparabile episodio nella battaglia per Gerusalemme... [Le forze arabe] cercavano di tagliare la sola importante via di comunicazione di Gerusalemme con Tel Aviv e il resto del mondo.  Avevano già tagliato la conduttura dalla quale i difensori dipendevano per l'approvvigionamento idrico. Contingenti di arabi palestinesi, rinforzati da uomini dell'esercito regolare iracheno, avevano guadagnato posizioni di vantaggio per controllare la strada di Gerusalemme e da queste sparavano sugli autocarri che cercavano di con rifornimenti e derrate alimentari la città assediata. Deir Yassin, come pure il colle strategico col villaggio di Kastel, era una di queste posizioni  decisive. Infatti, i due villaggi erano militarmente interconnessi, poiché i rinforzi si trasferirono da Deir Yassin a Kastel durante il feroce combattimento per quella collina" (112).

Il pamphlet non faceva commenti sulla questione della preventiva conoscenza dell'azione da parte dell'Haganah. Descriveva come i combattenti IZL (per qualche ragione il libretto non menziona i contingenti Lehi) avessero divulgato in lingua araba gli annunci prima dell'attacco, incalzando gli abitanti a fuggire. "Circa duecento abitanti del villaggio vennero fuori e si misero al riparo sulle falde più basse della collina su cui era appollaiato Deir Yassin", riferiva l'opuscolo, "Nessuno di essi, durante o dopo il combattimento, venne minimamente ferito o molestato, e tutti furono poi trasportati ai bordi della quinta zona araba di Gerusalemme Est e là rilasciati" (113).
        
La battaglia fu dominata da "feroci combattimenti casa per casa", notava l'opuscolo, "la maggior parte delle case di pietra furono difese con ardore e furono catturate solo dopo il lancio di granate dalle finestre. "Alcuni arabi tentarono di fuggire in abiti da donna. Quando si avvicinavano, aprivano il fuoco. Si scoprì che sotto il travestimento indossavano la divisa militare irachena". Dentro le case, i combattenti ebrei furono colti dall'orrore nel trovare che, fianco a fianco con i corpi dei combattenti palestinesi e iracheni, c'erano quelli di donne e bambini. Sia che questi sfortunati abitanti del villaggio avessero confidato nella capacità dei soldati arabi a respingere l'attacco, sia che fossero stati impediti dall'abbandonare il villaggio insieme agli altri quando tale possibilità fu loro data prima dell'inizio della  battaglia, sia che, presumibilmnete,  abbiano avuto timore ad andar via. Qualunque sia  la ragione, essi  divennero vittime innocenti  di una guerra crudele e, oggettivamente,  la responsabilità della loro morte ricade sui soldati arabi il cui dovere era - in base a ogni norma di guerra - di evacuarli fin dal momento in cui avevano trasformato Deir Yassin in una fortezza... Questo non fu un massacro della popolazione di un  disarmato e pacifico villaggio da parte di un'unità militare, come pretende la propaganda araba; l'Irgun combatté e vinse una battaglia, e non ci furono conseguenze di violenze o eccessi di brutalità (114).

Con diretto rimprovero a ciò che i leader Labor Zionist avevano dichiarato 21 anni prima, il pamphlet del Ministero degli Esteri del 1969 enfatizzava che, mentre i propagandisti arabi avevano fatto largo uso delle asserzioni espresse nel 1948 dall'Agenzia Ebraica e dall'Haganah, in realtà  "l'Agenzia e l'Haganah non erano in condizione di ammettere o contraddire alcunché (riguardo alle accuse di massacro), poiché le loro unità di difesa non avevano preso parte alla battaglia né potevano aver avuto notizie di prima mano circa le circostanze in cui le perdite civili furono causate" (115). Tuttavia questo straordinario pamphlet, con il suo completo rovesciamento delle vecchie accuse di massacro dei Labor Zionist, venne quasi universalemente ignorato dagli storici.


Ulteriori  infondate accuse

Uno degli aspetti più sconvolgenti sul come gli storici hanno manipolato l'episodio di Deir Yassin è stata la tendenza di molti di essi di arricchire l'accusa standard di massacro con luridi dettagli  senza alcuna ragionevole prova atta a   suffragarli. Che le fonti arabe si siano prodotte in siffatte esagerazioni è forse non del tutto sorprendente, tenendo conto dell'intensità delle emozioni che circondano lo scontro. Uno dei fogli d'informazione dell'intifada arabo-palestinese, per esempio, dichiarava che a Deir Yassin gli ebrei "aprirono la pancia delle donne incinte allo scopo di distruggere il seme del nostro popolo" (116).  Scrittori arabi hanno anche dichiarato, tra l'altro, che alcune delle vittime di Deir Yassin furono "sepolte vive" (117); che tutte le 250 vittime del "massacro" erano "donne e bambini" (118); che le donne arabe sopravvissute furono fatte sfilare per Gerusalemme " dopo esser state spogliate nude" (119); e che gli abitanti di   Gerusalemme tirarono "una grandinata di pietre" sugli sfortunati prigionieri e contro gli autocarri su cui erano trasportati (120).

Ciò che è, tuttavia, sorprendente, è la frequenza con cui questi e consimili "dettagli" sono apparsi in quelli che sono considerati correntemente testi di storia. Quasi nessuna di queste accuse è accompagnata dalle citazione delle fonti; e i rari casi in cui le fonti sono menzionate invariabilmente si verifica che non offrano alcuna prova a supporto delle accuse fatte.

Un testo dichiara che il massacro di Deir Yassin ebbe luogo "mentre i suoi abitanti dormivano" (121). Molti libri asseriscono che gli ebrei uccisero "l'intera popolazione" del villaggio, cosa che può significare,  in qualche caso, da 400 a 1000 vittime (122). Altri hanno accusato - senza fornire alcune fonte - che le vittime furono "spogliate e derubate" (123) e "violentate e sbudellate" (124), mentre i sopravvissuti [furono] fatti sfilare "nudi negli autocarri" per Gerusalemme (125).  Persino uno storico tenuto in larga considerazione come Howard Sachar ha fatto l'accusa - senza alcuna documentazione - che i corpi delle "più di 200" vittime erano tutti "mutilati" (126).

Un testo che dichiara che gli ebrei  "saccheggiarono e violentarono", Middle East di Dilip Hiro, richiama in nota il libro: The Modern History of Israel di Noah Lucas (128). Ma il libro di Lucas non fa tali accuse. Un'altra accusa, corredata da una nota priva d'importanza, è stata la singolare dichiarazione di Terence Prittie che gli abitanti  del villaggio alzarono la bandiera bianca della resa, che l'Irgun ignorò. "Gli apologisti dell'Irgun dichiararono successivamente che,  benché gli abitanti del villaggio avessero inalberato bandiere bianche, [gli arabi] difendevano ogni casa" asserì Prittie (129). La sua nota per l'accusa era la pagina 215 di Days of Fire dello studioso dell'Irgun Shmuel Katz. Il lettore medio non esiterebbe a presumere che Katz riconoscesse lo sventolio delle bandiere bianche. Infatti, Katz neppure menziona le bandiere bianche; egli afferma soltanto che "quasi ogni casa nel villaggio venne difesa" (130).


Le "ammissioni di Begin" che non ci furono mai

Molti storici si sono spinti così avanti al punto di servirsi di una deposizione "confidenziale" prefabbricata, attribuita al leader IZL Menachem Begin. Nella sua autobiografia, The Revolt, inizialmente pubblicata in ebraico, nel 1950, e poi in inglese nel 1951, Begin negò con forza l'accusa di massacro. Basandosi sui rapporti degli ufficiali dell'IZL che avevano preso parte alla battaglia (lo stesso Begin non era sul campo), Begin arguì che i civili arabi furono uccisi inavvertitamente durante i combattimenti casa per casa. Egli notò anche che il panico, che il racconto del massacro di Deir Yassin aveva inintenzionalmente  acceso in tutta la regione, avvantaggiò le forze ebraiche, perché spinse gli arabi ad emigrare volontariamente da aree strategicamente importanti.

L'interpretazione più creativamente fraudolenta delle memorie di Begin è apparsa su The Question of Palestine di Edward Said (1979). Senza servirsi di alcun segno di effettive citazioni, Said riferì: "In questo libro, Begin descrive il suo terrorismo - compreso il massacro in massa di donne e bambini innocenti - con onesta (e raggelante) profusione. Egli ammette di essere responsabile del massacro dell'aprile del 1948 di 250 donne e bambini nel villaggio arabo di Deir Yassin". Ovviamente, Begin non "ammette" tali cose ma, poiché il libro di Said non ha note, i lettori non possono controllare la veridicità delle sue fonti (131). Gerald Kaufmann (To Build the Promised Land) fa analoghe dichiarazioni circa una "confessione" di Begin, scrivendo che l'Irgun ha commesso un "indicibile massacro" che viene "tuttora giustificato da Begin 23 anni dopo". Il sottinteso di Kaufman è che Begin riconosce e giustifica un massacro; in realtà, Begin nega il massacro e giustifica esclusivamente l'idea di considerare Deir Yassin un obiettivo militare da occupare (132). Una variazione su questo tema è, per esempio,  la dichiarazione di Lois Aroian e Richard Mitchell: che nel suo libro "Begin giustificò il massacro sul piano militare e dichiarò che, senza di esso, lo Stato ebraico non sarebbe ancora nato". Inutile a dirsi, essi non menzionano le effettive parole di Begin che avrebbero contraddetto la loro erronea interpretazione (133). Un altro testo presume persino che Ben Gurion, invece di Begin, abbia dichiarato - ovviamente senza alcuna nota - che "senza Deir Yassin, non ci sarebbe stato alcun Israele" (134).

Una presunta citazione di  Begin venne offerta da Lawrence Joffe, il quale, nel suo contributo al volume Israel and the Palestinians del 1989, asserì che "Menachem Begin resta nel ricordo per aver detto: ^Il massacro non è giustificato, ma non ci sarebbe stato lo Stato d'Israele senza la vittoria di Deir Yassin", Alla pari di Said, Joffe non ha presentato le fonti della sua affermazione (135). Lo studio   dell'OLP di Jamal Nassar, del 1991, utilizzava la stessa citazione di Begin, dichiarando che poteva essere trovata a pagina 164 dell'edizione di The Revolt del 1951. In realtà,  quest' affermazione non si trova, né su quella, né su altre pagine (136). Lo studio degli arabi palestinesi di Punyapriya Dasgupta, del 1988, giunse a un passo dalla soluzione del mistero col fornire una nota dove si legge: "Questa frase era presente nell'edizione originale ebraica pubblicata in Israele, ma è stata soppressa nell'edizione inglese". Ma, invece di citare l'originale espressione ebraica sotto accusa, Dasgupta continua: "Vedi Sami Hadawi, Bitter Harvest" (137). A sua volta, una nota nel libro di Hadawi attribuiva la frase di Begin sotto accusa a un'oscura (ora scomparsa)  pubblicazione anti-israeliana dal nome Jewish Newsletter, che pretendeva che l'affermazione fosse apparsa su The Revolt. Hadawi contattò l'editore della pubblicazione, "il quale affermò di averla tratta dalla versione ebraica di The Revolt, pubblicata in Israele "per usi interni" (138). In realtà, la sezione su Deir Yassin nell'edizione ebraica di The Revolt è identica alla edizione inglese; non c'è, da parte di Begin,  alcun riferimento ad ammissioni o compiacimenti nei confronti di alcun massacro (139).


L'immagine degli  ebrei come nazisti

Per alcuni storici, la storia di Deir Yassin è un'irresistibile opportunità  per stravolgere la storia col ritrarre gli ebrei come l'equivalente dei nazisti, e gli arabi come l'equivalente delle vittime dei nazisti. Maxime Rodinson ed Erskine Childers lo hanno chiamato "l'Oradour israeliano" (con riferimento alla località di un massacro di francesi da parte dei nazisti), mentre Stewart Perowne ha paragonato gli arabi palestinesi emigrati dopo Deir Yassin alle "migliaia di francesi fuggiti prima dell'avanzata nazista" (140). Desmond Stewart paragonò Deir Yassin ad Auschwitz in uno dei suoi libri, e a "Lidice o Hiroshima in piccolo" in un altro (141). Kenneth Cragg lo qualificò "Lidice arabo" (142). Un editoriale nel settimanale americano Christian Century dichiarò Deir Yassin "un orrore peggiore di Lidice, perché a Lidice solo uomini e ragazzi vennero massacrati" (143).  Il più assurdo esempio di questo tenore fu quello di Andrew Sinclair in Jerusalem: the Endless Crusade (1995), che caratterizzava  Deir Yassin come "una spettrale riproposizione di ciò che i nazisti avevano fatto agli ebrei a Lidice". Evidentemente Sinclair non era a conoscenza che, a Lidice, i cechi, e non gli ebrei, furono le vittime delle atrocità naziste perpetrate come rappresaglia per l'assassinio dell'ufficiale nazista Heinrich Heydrich da parte di partigiani cechi. Sinclair era così ansioso di  ritrarre gli ebrei  come i nazisti del giorno d'oggi che ha letteralmente falsificato la storia infilando gli ebrei in un episodio della storia col quale essi non hanno alcuna relazione, così che, nella mente dei lettori, il comportamento dei sionisti  appaia simile a quello delle ben note atrocità naziste (144).


Confusione tra  fatti e fiction

Le due più dettagliate relazioni sulla battaglia di Deir Yassin sono cosi minuzione   principalmente perché hanno creativamente "reinterpretato"   l'evento sulla base di interviste, nuovi rapporti e immaginazione.

Dan Kurzman, in Genesis 1948, ha tradotto la battaglia in un dramma di intrattenimento di 11 pagine. Sebbene presenti il suo racconto come se fosse un fatto storico incontrovertibile, e non finzione, Kurzman fornisce un particolareggiato dialogo tra i combattenti e persino pretende di sapere ciò che le persone pensavano in certi momenti. Nella prefazione, egli ne descrive lo stile come qualcosa "che utilizza le tecniche del  romanziere e del biografo per rendere viva la storia". Al posto di specifiche note, Kurzman afferma semplicemente di aver "reinterpretato (reconstructed)" l'episodio di Deir Yassin "principalmente grazie a interviste con sopravvissuti arabi" - che non nomina - e con dieci israeliani, alcuni dei quali neppure erano a Deir Yassin. La sua più controversa dichiarazione è che "alcuni [degli attaccanti] ammettono che" nell'ardore della battaglia, avevano "perso ogni freno e hanno sparato a freddo su ogni arabo incontrato - uomo, donna o bambino". Significativamente, tuttavia, Kurzman non dice quali degli attaccanti abbiano "ammesso" con lui di aver portato a termine le atrocità. E mancava anche la prova di ogni  altra dichiarazione, precedente alla pubblicazione del suo libro nel 1970, che qualche combattente avesse "ammesso" di  aver massacrato arabi a Deir Yassin.

In breve, non c'è modo di sapere se la dichiarazione di Kurzman sia autentica, o sia una creativa mescolanza di investigazioni e congetture (145). A dispetto dell'ambiguità che circonda la fonte della dichiarazione di Kurzman, [la notizia] è stata successivamente ripetuta come fatto in altri libri di storia. Per esempio, J. Bowyer Bell, nel suo Terror Out Zion: Irgun Zvai Leumi, LEHI, and the Palestine Underground, 1929-1949 - che è tuttora  l'unica storia completa in lingua inglese della rivolta degli ebrei contro i britannici - asserisce: "Alcuni [degli attaccanti a Deir Yassin] ammisero privatamente che uomini, donne e bambini erano stati sparati a vista". Bell non offre alcuna nota, né alcun altro indizio circa chi abbia fatto queste "ammissioni" confidenziali, ma altre citazioni di Bell indicano che egli si ha fatto pesantemente affidamento su Kurzman e sul best-seller  O Jerusalem, dei giornalisti Larry Collins e Dominique Lapierre, apparso nel 1972 (146).  La descrizione di Bell, a sua volta, divenne la fonte del "massacro" per una quantità di altri libri, compreso lo studio del 1978 di Melvin Urofsky sulle relazioni tra Israele e gli ebrei d'America. Indubbiamente Urofsky arricchì le accuse, asserendo che "storie di altre atrocità, alcune confermate e altre no, di violenze e mutilazioni e massacri, sono circolate fino ai giorni nostri" - anche se la sola fonte citata da Urofsky, Bell, non confermava alcuna violenza, rapimento o massacro (147).

Alla pari di Kurzman, Collins e Lapierre scrissero una piacevole  leggenda  dal passo veloce, che privilegiava la leggibilità a discapito dell'accuratezza storica,   mettendo in bocca (e in testa) ai combattenti le parole che gli autori immaginarono fossero state dette, sia che fossero state effettivamente dette o no. Diversamente da Kurzman, Collins e Lapierre specificarono le fonti delle loro accuse - arabi che pretendevano di esser stati testimoni delle atrocità, e l'ufficiale britannico di polizia Richard Catling. Accettando verosimilmente senza discutere la veridicità delle accuse arabe, Collins e Lapierre ripeterono la dichiarazione di un un bambino arabo di 12 anni; vale a dire, che i combattenti ebrei  avessero fatto allineare un grande gruppo di adulti e bambini contro un muro sparandoli a morte; "ma la maggior parte di noi bambini  si salvò perché ci nascondemmo dietro gli adulti". Non sembra che Collins e Lapierre siano sorpresi perché mai, se gli ebrei avevano l'intenzione di massacrarli,  si fossero trattenuti dallo sparare ai bambini che presumibilmente erano sfuggiti alle prime raffiche di proiettili?  Collins e Lapierre raccontarono anche le pazzesche accuse degli arabi  circa le violenze dei combattenti ebrei sulle donne arabe, lo sventramento di una donna incinta al non mese, e lo squarciamento di arabi "dalla testa alle dita del piede"  con una spada. Gli ebrei "uccisero, saccheggiarono e infine usarono violenza" concludevano definitivamente Collins e Lapierre (148). (David Hirst, autore di uno studio del 1977 del conflitto arabo-israeliano, si innamorò a tal punto della frase da plagiarla, scrivendo "Gli attaccanti uccisero, saccheggiarono e infine usarono violenza" senza attribuirla a Collins e Lapierre. Per peggiorare le cose, numerosi libri successivi che dichiaravano che aveva avuto luogo un massacro, hanno fatto riferimento al libro di Hirst come loro fonte.) (149).

Le accuse di violenze contro le donne erano basate esclusivamente sul rapporto dell'investigatore britannico Catling. Collins e Lapierre riferirono che, pur avendo "intervistato nel 1969, con qualche difficoltà, una quantità di sopravvissuti del massacro", citarono uno solo di essi;   "per paura che, negli anni, i racconti dei sopravvissuti avrebbero forse potuto essere stati modificati per adeguarli a   certi eccessi della propaganda relativa al fatto". In altre parole, persino Collins e Lapierre trovarono i racconti dei sopravvissuti al di sotto della credibilità. Nelle loro note alla fine del libro - ma stranamente non sullo stesso testo - Collins e Lapierre riconobbero che gli uomini dell'Haganah Yeshurun Schiff e Yehoshua Arieli, che erano parte dell'unità inviata a seppellire i corpi, dissero che non erano evidenti segni di violenze" (150).


L'ultimo e peggiore

Due dei più significativi  e recenti studi del conflitto tra Israele e gli arabi palestinesi esprimono la maggior parte degli errori dei predecessori per quanto concerne Deir Yassin. Invece di utilizzare le recenti ricerche per rettificare i fraintendimenti del passato, come ci si aspetta che facciano gli studiosi seri, hanno accomodato e moltiplicato i vecchi errori. Baruch Kimmerling e Joel S. Migdal sono autori di Palestinians: The Making of a People, un volume di quasi 400 pagine pubblicato dalla prestigiosa Free Press nel 1993. A History of the Israeli-Palestinian Conflict di Mark Tessler, è un'opera di oltre 900 pagine, pubblicata dall'Indiana University Press nel 1994. Entrambi i libri hanno iniziato ad essere testi di studio in numerosi corsi universitari che trattano del conflitto arabo-israeliano.

Kimmerling e Migdail iniziano la loro descrizione di Deir Yassin con uno straordinario commento: "La sequenza degli eventi a Dayr Yasin è ora raramente in discussione" per poi andare avanti con la classica accusa di massacro. Presumibilmente l'intento dell'osservazione era quello di suggerire che, poiché virtualmente nessuno storico aveva messo in discussione l'accusa di massacro, conseguentemente esso dovrebbe essere vero.  Atteggiamento di per sé irresponsabile, dal momento che dovere dello storico è investigare in modo indipendente i fatti sui quali scrive, e non  contare semplicemente il numero di storici su ciascun versante di una controversia, per poi concludere che la versione più frequentata  deve logicamente essere la più veritiera. Ciò che rende il racconto di Kimmerling-Migdail persino più assurdo è, tuttavia,  il fatto che essi neppure menzionano che l'IZL e il Lehi hanno negato che ci sia stato un massacro. Al contrario, essi asseriscono in termini definitivi - ma senza citare alcuna fonte - che dopo la battaglia, "i combattenti ebrei uccisero molti dei restanti uomini, donne e bambini e" - di nuovo, senza fonti - "usarono violenza e mutilarono altri" (151).

A loro credito, Kimmerling e Migdail riconoscono l'esistenza della ricerca dell'università  Bir Zeit, benché ne riferiscano le conclusioni in modo inesatto quando scrivono: "Un recente studio di un gruppo di ricercatori della Bir Zeit University ha trovato che il numero non superò probabilmente i 120 [morti]". In realtà, come è stato ricordato prima, i ricercatori di Bir Zeit concludevano: "Restammo assolutamente convinti che il numero degli  uccisi non è superiore a 120" (152).  "Assolutamente convinti" non è lo stesso che "probabilmente". Kimmerling e Migdal aggiungono quindi: "Ma ciò non diminuisce la portata dell'atrocità o i suoi effetti a breve o a lungo termine". Certamente un massacro di 120 persone non è meno terrificante di un massacro di 254. Ma Kimmerling e Migdal hanno omesso il punto più significativo dello studio di Bir Zeit. Se coloro che hanno dichiarato che vi fu un massacro - portavoce arabi, ufficiali del Labor Zionist, rappresentanti della Croce Rossa - hanno dimostrato di essere così completamente inattendibili per quanto riguarda l'ammontare complessivo delle perdite, che dire sull'attendibilità delle altre dichiarazioni? Se gli accusatori erano disposti ad asserire consapevolmente che il numero delle vittime era quasi del 150% superiore a quello vero, come possiamo aver fiducia nelle altre dichiarazioni - di violenze, mutilazioni e dello stesso massacro? Alcuni di coloro che fecero uso di una cifra compresa tra 254 e 350 morti, sapevano che il numero era ampiamente esagerato;  altri accusatori, senza dubbio, semplicemente scopiazzavano pappagallescamente e senza accuratezza come fatti cifre che non erano in grado di verificare. Sia per mendacia che per trascuratezza, essi fecero strazio della verità;  in un'aula di tribunale,  tale comportamento avrebbe gettato discredito su tutte le loro testimonianze.

Tessler, così come Kimmerling e Migdal, ora riconosce che le persone accusate di aver perpetrato il massacro negano che ci sia stato il massacro. La versione di Teller a proposito della posizione dell'IZL è una variante sul tema "Begin ha confessato": "Menachem Begin successivamente esaltò l'aiuto fornito dal massacro ad altre operazioni militari", secondo Tessler. Ovviamente Begin non esaltò il fatto che un "massacro" abbia dato tale aiuto, ma piuttosto che le falsi dichiarazioni di un massacro abbiano avuto l'inatteso effetto di spingere gli arabi a lasciare alcune località che sarebbero altrimenti divenute oggetto  di difficili battaglie. Per di più, Tessler incluse alcune delle solite falsità del tipo: la caratterizzazione degli abitanti del villaggio come "inermi" e l'asserzione che IZL e Lehi "mutilarono molti dei corpi" - senza citare alcuna prova (153).

"Il maggiore significato di Deir Yassin" secondo Tessler, "non consiste nella controversia su ciò che realmente accadde, oppure se ci possa essere una qualche giustificazione per il massacro; sta piuttosto nell'aspro disaccordo sul problema se ci sia stata, oppure no, una sistematica e calcolata campagna terroristica sionista, programmata per trascinar via i palestinesi dall'area che divenne Stato d'Israele". Un versante del dibattito, secondo Tessler, è fatto da "oppositori d'Israele, ma anche da alcuni studiosi israeliani e scrittori filo-sionisti", i quali dicono che Deir Yassin era parte di un più ampio complotto sionista. L'altra parte è fatta da quelli che dicono che può esserci una qualche giustificazione per aver considerato Deir Yassin un obiettivo militare; ma che "deplorano il fatto che civili arabi inermi siano stati assassinati" e  "sono d'accordo con coloro che criticano chi insiste che non fa differenza se un'operazione militare legittima abbia preceduto, o no, il massacro". Dal distorto punto di vista di Tessler, non c'è neppure spazio per considerare la possibilità che non ci sia stato alcun massacro (154). 

Tessler  fa parte di quel gran numero di storici i cui libri sono stati pubblicati dopo che lo studio di  Bir Zeit era apparso ad Ha'aretz nel 1991, e che tuttavia   continua a dichiarare che più di duecento arabi vennero uccisi senza far alcun riferimento a ciò che i ricercatori di Bir Zeit avevano scoperto. Dei ventinove testi pubblicati nel 1991 e che sono stati riesaminati per questo studio, solo uno - quello di Kimmerling e Migdail-, come si è detto prima - ha menzionato le scoperte di Bir Zeit.

Allo stesso modo, una quantità di enciclopedie che trattano l'argomento del Medio Oriente ripetono pedissequamente la cifra di 254 morti. Per esempio, il Political Dictionary of the Middle East in the 20th Century,  il Congressional Quarterly's the  Middle East, l' Historical Atlas of the Jewish People, il Timetables of Jewish History, e l'Historical Encyclopedia of the Arab-Israeli Conflict, tutte dichiarano che fu un massacro di 250-254 persone, oppure di "centinaia" di civili di Deir Yassin. L' Historical Encyclopedia of de the Arab-Israeli Conflict, che ha una voce particolarmente prolissa su Deir Yassin, ha finito per ripetere ogni grosso errore precedente. Benché pubblicata nel 1996, ignora lo studio di Bir Zeit e dichiara che 254 civili furono "massacrati". (Curiosamente, un'altra voce nella stessa enciclopedia, che menziona Deir Yassin di sfuggita, asserisce che ne furono uccisi 240). La voce lascia trapelare che David Shaltiel (che erroneamente viene chiamato "Daniel") non era favorevole all'attacco, ignorando la lettera inviata prima della battaflia da Shaltiel all'I'ZL, come pure, le sue ammissioni del 1960 e le successive rivelazioni da parte di Milstein e di altri, circa la collaborazione dell'Haganah all'attacco. La voce dell'enciclopedia si interroga se ci siano stati effettivamente, oppure no, soldati iracheni o arabi nel villaggio, e cita come fonti Meir Pa'il e Jacques de Renier, senza riferimento alle contraddizioni nelle loro accuse (155). Don Peretz, che è insieme professore e attivista dell'estrema sinistra, è l'autore di almeno due voci su Deir Yassin nelle importanti enciclopedie, Encyclopedia of the Modern Middle Eeast e   Arab-Israel Dispute, installazione per biblioteche di una collana di libri edita da Facts on File. Entrambe le voci benché pubblicate cinque anni dopo l'uscita del libro di Bir Zeit, accusano l'IZL e il Lehi della strage di "200-250" civili. Una delle voci dichiara che "ci fu poca resistenza armata all'attacco"; l'altra non riconosce l'esistenza di qualsivoglia resistenza.  Una voce menziona la dichiarazione fatta dai combattenti circa la presenza di una base di soldati arabi nel villaggio, ma si affrettano ad aggiungere -scorrettamente- che la loro dichiarazione "non era confermata dall'Haganah"; un'altra voce di Peretz non fa alcun riferimento ai soldati arabi. Nessuna delle voci menziona il combattimento casa per casa (156).



Conclusioni

Si dice che una bugia può fare il giro del mondo prima che la verità venga a galla. La bugia che i combattenti ebrei abbiano massacrato i civili arabi a Deir Yassin ha fatto più volte il giro del mondo negli ultimi cinquant'anni. La  versione originale della "menzogna del massacro"  si è  arricchiti da ulteriori false accuse, e successivamente è stata rimessa in circolazione da un numero imponente di rozzi critici nei confronti d'Israele e da storici trascurati; la menzogna di Deir Yassin ha assunto vita propria, facendosi strada in testi autorevoli come le enciclopedie, dove è in procinto di passare in eredità alle generazioni future come fatto acquisito. La verità ha lottato per emergere ma, passo dopo passo, ha guadagnato terreno. Per prima cosa c'è stata in Israele la sentenza del 1952, un riconoscimento ufficiale da parte dei molti settori  che avevano dato origine all'accusa di  massacro, che la battaglia sia stata, di fatto, una legittima operazione militare contro forze nemiche armate. Poi la pubblicazione di un pamphlet, nel 1960, da parte del governo a guida Labor, che descrive Deir Yassin senza fare alcun riferimento ai presunti massacri. Successivamente nel 1969, il ribaltamento da parte del governo Labor, che ha riconosciuto gli errori commessi da ufficiali Labor nel 1948 e ha sciolto ufficialmente i combattenti ebrei dall'accusa di aver commesso atrocità. Infine, nel 19100%, lo studio della Bir Zeit University, nel quale ricercatori arabi confermano che una delle accuse principali, la strage di 254 persone, è stata una pazzesca e avventata esagerazione. Presi insieme, questi nuovi sviluppi e rivelazioni hanno palesato, una volta per tutte la bugia del "massacro" di Deir Yassin. Ci sono voluti cinquant'anni, ma la verità è finalmente venuta a galla.    

NOTE

1)  Per esempio,  Benny Morris, decano dei "nuovi storici"  della sinistra Israeliana,  ha scritto che lo studio di  Milstein "molto verosimilmente risulterà essere la storia militare definitiva della guerra del 1948... Nessun altro sembra  in grado di superare l'ampio respiro, la profondità e la portata di questo lavoro... La storia militare d'Israele  si è ora spinta su un nuovo, più alto e vigoroso livello" (Morris, "'Pre-History' vs. 'History', Jerusalem Post, 9 May 1989, p.40).
2) Sharif Kanani e Nihad Zitawi, ^Deir Yassin, Monograph No.4, Destroyed Palestinian Villages Documentation Project^, Bir Zeit, Documentation Center of Bir Zeit University, 19100%, p. 6.
3) Uri Milstein, ^The War of Independence: Out of Crisis Came Decision^ Vol. IV [in ebraico], Tel Aviv, Zmora-Bitan Publishers, 1991, p. 256.
4) Milstein, cit., p. 253 (intervista con Yehoshua Arieli, 11 Dicembre 19100%).
5) Milstein, cit. pp. 277-278.
6) Milstein, cit. p. 255 (intervista con Moshe Barzili, 9 Maggio 1982).
7 ) Ministro della Difesa d'Israele, David Shaltiel: Jerusalem 1948 (Tel Aviv: Israel Ministry of Defense, 1981), p. 139.
8) Milstein, cit. p. 260 (intervista con Shimon Monita).
9) Milstein, cit. p. 260 (intervista con Moshe Idelstein).
10) Testimonianza di Patchiah Zalivensky, Metzudat Ze'ev [Jabotinsky Archives, Tel Aviv] (di seguito citato come  MZ); Milstein, cit. p. 260 (intervista con Yehoshua Zettler).
11) Milstein,  cit. p. 260 (intervista con Moshe Barzili).
12) Milstein, cit. p. 260 (intervista con Yehoshua Zettler).
13) Milstein,  cit. p. 260,  che cita il "Report by 'Elazar' [nome in codice di Gihon  all'Haganah]," 10 Aprile 1948.
14) Milstein, cit. p. 260 (intervista con Mordechai Gihon).
15) Milstein, cit. p. 260,  che cita il "Report of the Haganah's [Anti-Dissident] Unit on the Deir Yassin Action."
16) Testimonianza di Mordechai Ra'anan, MZ; Testimonianza di Yehuda Lapidot, MZ; Testimonianza di Yehoshua Gorodenchik, MZ; Milstein, cit. p. 262 (interviste con Mordechai Ra'anan e Yehuda Lapidot).
17) Milstein, cit. pp. 255-256; Bernard Wasserstein, ^The British in Palestine: The Mandatory Government and the Arab-Jewish Conflict 1917-1929^, London, Royal Historical Society, 1978, p. 69.
18) Yitshaq Ben-Ami, ^Years of Wrath, Days of Glory ^. New York, Shengold, 1983, p. 439.
19) Milstein, cit. p. 257 (intervista con Mordechai Gihon). Milstein  trovò il rapporto in:  Israel Defense Forces Archives, War of Independence Collection 83/17, Reports of "Teneh," 9 Aprile 1948.
20)  Intervista di Milstein  con l'agente dell' Haganah  Yona Ben-Sasson, 12 Novembre 1980; vedi anche la citazione di  Milstein del  ^Ben-Nur Report^ nei David Shaltiel Archives.
21) "Shots in Jerusalem,"Davar, 4 Aprile 1948, p. 2.
22) Milstein, cit. p. 257, che cita gli  Israel Defense Forces Archives, War of Independence Collection 88/17, "From Hashmonai," 4 Aprile 1948, ore 10 del mattino.
23) Milstein, cit., p. 257,  che cita  gli Israel Defense Forces Archives, War of Independence Collection 88/17, "From Sa'ar," 4 Aprile 1948, ore 10 del mattino.
24 )Testimonianza di David Gottlieb, MZ; Milstein, cit. pp. 257-258, che cita gli Israel Defense Forces Archives, War of Independence Collection 21/17, "From Hashmonai," 4 Aprile 1948.
25) Milstein, cit. p. 258,  che cita l' "Operations Log - Arza," 4 April 1948, 17:00 hours, Broadcast #562, Israel Defense Forces Archive, War of Independence Collection, 88/17.
26) Milstein, cit. p. 258 (intervista con Mordechai Gihon).
27) Milstein, ib., che cita  Israel Defense Forces Archive, War of Independence Collection, 228/3, Operation Log, 9 April 1948, 2:40 a.m.
28) Testimonianza di Benzion Cohen, MZ; Testimonianza di Yehuda Lapidot, MZ.
29) Ilan Kafir, "Three Accounts of Deir Yassin" (in ebraico), Yediot Ahronot, 4 Aprile 1972, p. 3.
30) Ron Miberg, "They Showed Us the Photographs!" (in ebraico), Monitin, Aprile 1981, p. 37.
31) Intervista di Milstein con Harif, cit. , p. 262.
32) Milstein,  ivi p. 263 (intervista con Zalivensky).
33) La testimonianza di Yachin è citata per esteso da Lynne Reid Banks, ^A Torn Country: An Oral History of the Israeli War of Independence^, New York, Franklin Watts, 1982, pp. 58-65.
34) Milstein, cit. p.265 (intervista con Yehuda Lapidot e Yehoshua Gorodenchik).
35) Milstein,  ivi, che cita Israel Defense Forces Archive, Yitzhak Levy collection, "Report of Yaakov Weg."
36) Testimonianza di Reuven Greenberg.
37) Testimonianza di Yehoshua Gorodenchik, MZ.
38)  Banks, op. cit., p. 62.
39) Testimonianza di Yehoshua Gorodenchik, MZ.
40) Milstein, cit. pp.264-265, interviste con Ezra Yachin, Mordechai Ra'anan, Benzion Cohen e Yehuda Lapidot; Testimonianze di Mordechai Ra'anan, Benzion Cohen, e Yehuda Lapidot.
41)  Milstein,  ivi p. 263, intervista con Uri Brenner; testimonianza di Daniel Spicehandler, citato da: Ralph G. Martin, ^Golda: Golda Meir - The Romantic Years^, New York, Charles Scribner's Sons, 1988, p. 329.
42) Testimonianza di Yehoshua Gorodenchik, MZ. Benny Morris, severo critico dell' IZL e del Lehi, ha definito "confusa" la testimonianza di  Gorodenchik.   (Morris, ^The Birth of the Palestinian Refugee Problem^, New York and London, Cambridge University Press, 19100%, p. 323, n. 175.
43) Milstein, cit. p. 264, (intervista con Mordechai Gihon e "Report of Etzioni intelligence officer").
44) Milstein, p. 266.
45) Testimonianza di Mordechai (Kaufman) Ra'anan, 30 June 1952, Procotol of the Board of Appeals in Appeal 89-90-92-96/51, p.7, File kaf-10/9, MZ. 46) Milstein,  cit. p. 266 (intervista con Moshe Eren, Kalman Rosenblatt, e David Gottlieb).
47) Natan Yellin-Mor, ^Combattenti per la libertà d'Israele^ , in ebraico,   Jerusalem, Shikmona Publishers, 1974,  p. 472;  Milstein, p. 267 (interviste con  Moshe Barzili e Shimon Monita,  e Testimonianza di Yaffa Bedian).
48) Milstein, p. 255 (interviste con Meir Pa'il; interviste con  Yitzhak Levy; intervista con David Cohen, 18 luglio 19100%; intervista con  David Shaltiel; intervista con Yehoshua Arieli; Testimonianza di Meir Pa'il, 10 Maggio 1971.
49) Milstein, p. 259 (Testimonianza di Meir Pa'il; interviste con Moshe Idelstein).
50) Miberg, op. cit., p. 36.
51) Pa'il citato da  Yerach Tal, ^Non ci fu alcun massacro laggiù^  [in ebraico], Ha'aretz, 8 September 1991, pp. 2-3.
52) Milstein, p. 274 (interviste con Yehoshua Zettler, Mordechai Ra'anan, Moshe Barzili, Yehuda Lapidot, Patchia Zalivensky, Moshe Idelstein, Moshe Eren, Shlomo Havilov, Yehoshua Arieli); Testimonianze di  David Shaltiel, Zalman Meret, Zion Eldad, e Yeshurun Schiff, MZ.
53) Tal, op.cit.
54) Miberg,  cit. p. 39.
55)  Ha'aretz, 8 settembre 1991; Miberg, op.cit.
56) Milstein, p. 275.
57) Pa'il, citato da Kafir, op.cit.
58) Milstein, p. 275 (intervista con Yona Ben-Sasson).
59)  Le sezioni rilevanti del rapporto di Reynier sono tradotte in: Walid
Khalidi, ed.,  ^From Haven to Conquest: Readings in Zionism and the Palestine Problem Until 1948^, Washington: Institute for Palestine Studies, 19100%, pp. 761-766.
60)  Ibid.,  pp. 762, 763.
61)  Ibid., p.762.
62)  Ibid.,  pp.763-764.
63) Milstein, cit. p. 269.
64)  Milstein, cit. p. 269 (intervista con  Moshe Barzili).
65) Khalidi, cit.  pp. 764-765.
66) Milstein,  pp. 269-270 (intervista con Alfred Engel, 7 Dicembre 19100%).
67) Milstein,  cit. p. 260.
68)  Eric Silver,  ^Begin: The Haunted Prophet^, New York: Random House, 1984, p.93.
69) Ibid., p. 95.
70) Uri Avnery, ^Israel Without Zionists: A Plea for Peace in the Middle East ^, New York, The Macmillan Company, 1968, p. 196; (ed. ital. ^Israele senza sionisti^, Bari 1970). Avnery è anche inesatto sul  giorno della battaglia  oltre che sull'ora del giorno in cui ebbe luogo.  Egli asserisce che IZL  e  Lehi presero   Deir Yassin in una "notte di battaglia";  la battaglia  iniziò effettivamente all'alba e continuò fino a mezzogiorno. Ha asserito che il "massacro"  ebbe luogo il 10 aprile, mentre di fatto gli arabi che sono morti furono uccisi - se furono uccisi - il giorno 9 aprile .
71) Yellin-Mor, op. cit.
72) "Agency Berates Massacre," Palestine Post, 12 aprile 1948, p. 1.
73)  Israel Ministry of Defense, David Shaltiel, Jerusalem 1948 (Tel Aviv: Israel Ministry of Defense, 1981), p. 139. In quel che potrebbe essere un altro esempio di recriminazioni dopo la battaglia , ma questa volta provenienti dal fronte IZL-Lehi, il membro del Lehi Reuven Greenberg successivamente dichiarò  che, dopo la battaglia, un membro del Palmach uccise un civile arabo con una piccola carica di esplosivo. (Testimonianza di Reuven Greenberg, MZ.) Il veterano Lehi Baruch Nadel descrisse un'analogo incidente; vedi di Kati Marton, ^ A Death in Jerusalem ^, New York, Pantheon, 1994, p. 29;  tuttavia  Marton ha tradotto il riferimento di  Nadel all'autore dell'azione come  "un israeliano"  (invece che "un membro del Palmach") cosa che dà un senso idi trascuratezza dato che lo Stato d'Israele non esisteva all'epoca dell'incidente. Yisrael Segal, correspondente della rivista israeliana di sinistra  ^Koteret Raishit^,  ha esaminato la testimonianza di Greenberg concludendo che  essa "è quasi certamente il frutto principalmente dell'immaginazione". Segal nota che il racconto di  Greenberg circa l'uccisione dell'arabo "non trova conferme in altre testimonianze",   Interrogandosi sull'attendibilità di  Greenberg come testimone,  Segal lo definisce come "un uomo con un passato non omogeneo che è stato coinvolto in molte anomalie politiche e criminali nei primi anni di esistenza dello stato... Greenberg sapeva di raccontare frottole". Vedi: Segal, "The Deir Yassin File" [in ebraico], Koteret Raishit, 19 gennaio 1983, p. 8.)
74) Sentenza della Corte d'Appello in Appeal 89/51 (Aryeh Halperin v. Benefits Officer), File: kaf 4-10/2, MZ.
75) Milstein, cit. pp. 269-270 (intervista con Alfred Engel, 7 dicembre 19100%).
76) Testimonianza di Spicehandler in Martin, op.cit.
77) Silver, cit. p. 95
78) David Shaltiel, Jerusalem 1948, p. 140; Aryeh Yitzhaki, ^Deir Yassin--Not Through a Warped Mirror^,  in ^Yediot Ahronot^, 14 aprile 1972, p. 17.
79) Thurston Clarke, ^By Blood and Fire: July 22, 1946 - The Attack on Jerusalem's King David Hotel^, New York, G.P.Putnam's Sons, 1981, p. 224; Nicholas Bethell, ^The Palestine Triangle: The Struggle for the Holy Land, 1935-48^, New York,  G.P.Putnam's Sons, 1979, p. 156.
80)  Un'ampia citazione del rapporto di Catling si trova in  Collins and Lapierre, cit. , p. 276.
81) Testimonianza di Spicehandler  in Martin, op. cit.
82) Milstein, p. 274 (interviste con Shimon Monita, Moshe Idelstein, Yona Feitelson, e Mordechai Gihon).
83) Menachem Begin, ^The Revolt^, Los Angeles, Nash, 1972, p. 163.
84) Milstein, cit. pp. 268-269 (intervista con Mordechai Ra'anan).
85) Ib.,  p. 269 (Testimonianza di Meir Pa'il).
86)  Ib., p. 273 (intervista con  David Cohen, 18 luglio 19100%). Pa'il si servì di questo numero nel  ^Yediot Ahronot^ del  20 April 1972.  Ma nel 1989, scrisse nel suo rapporto a  Galili che  "il numero degli uccisi non fu affatto menzionato, dal momento che allora non lo conoscevamo". Vedi Uri Milstein, ^Le parole che non sono state pronunciate ^ [in ebraico], Ha'aretz, 10 marzo 1989, p. 15.)
100%) Silver, op.cit., pp. 95-96.
88) Kanani e Zitawi, ^Deir Yassin^ (Bir Zeit study), cit., p. 5.
89) Ibid., p. 7.
90) Ibid., pp.7-.8.
91) Ibid., p. 57.
92) Milstein, cit. p. 273 (intervista con Mordechai Ra'anan).
93) ^Arabs Charge Cruelty,^ in  Palestine Post, 12 aprile 1948, p.1; Schmidt, "Arabs Say Kastel...," op.cit.
94) Le sezioni notevoli del rapporto di Reynier sono tradotti nell'edizione di  in Walid Khalidi,  ^From Haven to Conquest: Readings in Zionism and the Palestine Problem Until 1948^, Washington, Institute for Palestine Studies, 19100%, pp. 761-766.
95) Dana Adams Schmidt, ^Armageddon in the Middle East^, New York, The John Day Company, 1974, pp. 4-5.
96) D. Adams Schmidt,  "200 Arabs Killed, Stronghold Taken," New York Times, 10 aprile 1948, p. 6.
97) Schmidt, ^Armageddon^, cit., p. 5.
98) Dana Adams Schmidt, "Arabs Say Kastel Has Been Retaken; Jews Deny Claim," New York Times, 12 aprile 1948, p. 1.
99) "A Haganah Plane Downed by British," New York Times, 13 aprile 1948, p. 7.
100) Ben Halpern, ^The Idea of the Jewish State^, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1969, p. 480, n. 60.
101) "A Haganah Plane...," op.cit.
102) "Palestine: War for the Jerusalem Road," Time, 19 aprile 1948, pp.34-35.
103) R.M. Graves, ^Experiment in Anarchy^, London, Victor Gollancz Ltd, 1949, p. 179.
104) William Polk, David Stamler, Edmund Asfour, ^Backdrop to Tragedy: The Struggle for Palestine^, Boston, Beacon Hill Press, 1957, p. 290; Christopher Sykes, ^Crossroads to Israel^, Cleveland - New York, World Publishing Company, 1965, p. 351.
105) Alfred M. Lilienthal, ^The Zionist Connection: What Price Peace?^, New York, Dodd, Mead & Co., 1978, p. 795, n.23; David McDowall, ^Palestine and Israel: The Uprising and Beyond^, Berkeley, University of California Press, 1989, p. 298, n. 44; Desmond Stewart, ^The Middle East: Temple of Janus^, Garden City, NY, Doubleday, 1971, p. 314; Nathan Weinstock, ^Zionism: False Messiah, London, Ink Links Ltd, 1979, p. 303, n. 45.
106) Arthur Koestler, ^Promise and Fulfilment: Palestine 1917-1949^, New York. The MacMillan Company, 1949, p. 160.
107) Weinstock, op. cit., p. 305, n. 23; Lilienthal, op. cit., p. 795, n. 40; Charles D. Smith, ^Palestine and the Arab-Israeli Conflict^, New York, St. Martin's Press, 1992, p. 150, n. 64; Nicholas Bethell, ^The Palestine Triangle: The Struggle for the Holy Land, 1935-48^, New York: G.P.Putnam's Sons, 1979, pp. 354-355.
108) McDowall, op.cit., p. 299, n. 44; David Gilmour, ^The 1948 Arab Exodus: 2. What Really Happened^, Middle East International No. 288 (21 novembre 1985), pp. 15-17.
109) Jon Kimche, ^Seven Fallen Pillars: The Middle East, 1915-1950^, London: Secker and Warburg, 1950, è citato, fra l'altro , da:  Sydney D. Bailey, ^Four Arab-Israeli Wars and the Peace Process^, London: Macmillan, 1990; Noam Chomsky, ^The Fateful Triangle: The United States, Israel and the Palestinians^, Boston: South End Press, 1983; e David Gilmour, ^Dispossessed: The Ordeal of the Palestinians, 1917-1980^, London: Sidgwick and Jackson, 1980. [Riprendendo la notizia anche da B. Litvinoff, ^La lunga strada per Gerusalemme^, trad. it. Milano 1968, pp. 294-295,  R. Balbi  riporta la cifra di 250 "civili arabi trucidati" in ^Hatikvà. Il ritorno degli ebrei nella terra promessa^, Bari  1983, pp. 140-141; ma, contemporaneamente ricorda la strage del convoglio sanitario ebraico dove 77 persone furono massacrate].
110) ^Israel's Struggle for Peace^ (New York: Israel Office of Information, 1960), pp. 41-42.
111)  Background Notes on Current Themes - No. 6: Dir Yassin (Jerusalem: Ministry for Foreign Affairs, Information Division, 16 marzo 1969), pp. 1-2.
112) Ibid., pp.2-3.
113) Ibid., p.4
114) Ibid., p.5-6.
115) Ibid., p.6. Tra chi ha parzialmente ignorato l'opuscolo del Ministero è anche l'italiano F. Coen:  indica l'azione di Deir Yassin come quella che "aveva meno giustificazioni tattiche"  e descrive la morte di "250 arabi fra armati e civili"  e la perdita del 40% degli  attaccanti ebrei (^Israele: quarant'anni di storia^, Casale Monferrato 1985, pp. 36-37)
116) Citato da Shaul Mishal e Reuben Aharoni, ^Speaking Stones: Communiques from the Intifada Underground^, Syracuse, NY: Syracuse University Press, 1994, p. 223.
117) Abu Iyad con Eric Rouleau, ^My Home, My Land^, New York: Times Books, 1981, p. 4.
118) Edward Said, ^The Question of Palestine^, New York, Times Books, 1979, p. 44.
119) Issa Nakhleh, a p. 570 dell'edizione di John Norton Moore, ^The Arab Israeli Conflict^,Vol. I,  Readings, Princeton, NJ, Princeton University Press, 1974.
120) Sami Hadawi e Robert John, ^Palestine Diary - Volume Two: 1945-1948^, New York, New World Press, 1972, p. 328.
121) Eugene M. Fisher e M. Cherif Bassiouni, ^Storm Over the Arab World: A People in Revolution^, Chicago. Follett, 1972, p. 44.
122) L'accusa appare, per esempio, in  William R. Polk, ^The Elusive Peace: The Middle East in the Twentieth Century^, New York, St.Martin's Press, 1979,  p. 144: John Marlowe, ^The Seat of Pilate: An Account of the Palestine Mandate^, London, The Cresset Press, 1959, p. 245; e  George Lenczowksi, ^The Middle East in World Affairs^, Ithaca, Cornell University Press, 1962, p. 400.
123) William Polk, David Stamler, ed  Edmund Asfour, ^ Backdrop to Tragedy: The Struggle for Palestine^, Boston, Beacon Hill Press, 1957, p. 291.
124) Cheryl A. Rubenberg,  nell'edizione di Roselle Tekiner, Samir Abed-Rabbo, Norton Mezvinsky:  ^Anti-Zionism: Analytical Reflections^, Brattleboro, VT,  Amana Books, 1989, p. 189.
125) Geoffrey Furlonge, ^Palestine is My Country: The Story of Musa Alami^, John Murray, London 1969), p. 155.
126) Howard M. Sachar, ^ History of Israel: From the Rise of Zionism to Our Time^,   New York, Alfred A. Knopf, 1996, p. 333.
127) New York, McGraw-Hill, 1982, p. 62.
128) New York, Praeger, 1975.
129) L.  Eshkol, ^The Man and the Nation^, New York: Pitman, 1969, p. 130.
130) Samuel Katz, ^Days of Fire^, Jerusalem, Steimatzky's, 1968, p. 215.
131) Said, op. cit., p. 44.
132) Gerald Kaufman, ^To Build the Promised Land ^, London, Weidenfeld and Nicolson, 1973, p. 139.
133) Lois A. Aroian - Richard P. Mitchell, ^The Modern Middle East and North Africa ^, New York and London: Macmillan and Collier Macmillan, 1984, p. 245.
134) Christina Jones, ^The Untempered Wind: Forty Years in Palestine^, London, Longman, 1975, p. 90.
135) Martin Wright, a cura di, ^Israel and the Palestinians^, London, Longman, 1989, p. 24).
136) Jamal R. Nassar, ^The Palestine Liberation Organization: From Armed Struggle to the Declaration of Independence^, Westport, CT, Praeger, 1991, p. 24, n. 57.
137) Punyapriya Dasgupta, ^Cheated by the World: The Palestinian Experience^, London, Sangam Books, 1988, p. 82, n. 39.
138) Sami Hadawi, ^Bitter Harvest: Palestine Between 1914-1979^, Delmar, NY,  The Caravan Books, 1979, pp. 80-81.
139) Menachem Begin, ^The Revolt: The Memoirs of the Commander of the Irgun Zvai Leumi in Eretz Yisrael^, [in ebraico], Tel Aviv, Achiasaf Publishers, 1950.
140) Maxime Rodinson, ^Israel: A Colonial-Settler State?^, New York: Monad Press, 1973, p. 114, n. 109 [N.d.T., precedentamente lo stesso autore aveva descritto l'operazione di Deir Yassin come  "piano di terrorizzare gli arabi ...spinto all'estremo dall'Irgun, un cui commando massacrò sistematicamente ... i  254 abitanti" in ^Israel et le refus arabe. 75 ans d'histoire^, Paris, 1968; trad. it. ^Israele e il rifiuto arabo^, Torino 1969, p. 46]; Erskine Childers, ^The Other Exodus,^ in " The Spectator", 12 Maggio 1961; Stewart Perowne, ^Levant Dusk: The Refugee Situation^, in Walter Z. Laqueur, a cura di, ^The Middle East in Transition^,  New York, Praeger, 1958, p. 222.
141) Desmond Stewart, ^The Middle East: Temple of Janus^, Garden City, NY, Doubleday, 1971, p. 314; Desmond Stewart, ^The Palestinians: Victims of Expediency ^,  London, Quartet Books, 1982, p. 62.
142) Kenneth Cragg, ^This Year in Jerusalem: Israel in Experience^, London, Darton, Longman & Todd, 1982, p. 56.
143) ^Israel and Judaism^, in " Christian Century", 16  marzo 1949, p. 328.
144) Andrew Sinclair, ^Jerusalem: The Endless Crusade^, New York, Crown, 1995, p. 232.
145) Dan Kurzman, ^Genesis 1948: The First Arab-Israeli War^, New York: World Publishing, 1970, pp. xi, 138-149.
146) J. Bowyer Bell, ^Terror Out of Zion: Irgun Zvai Leumi, LEHI, and the Palestine Underground, 1929-1949^, New York, St. Martin's Press, 1979, p. 296.
147) Melvin I. Urofsky, ^We Are One! American Jewry and Israel^, Garden City, NY, Anchor Press/Doubleday, 1978, p. 485. Bell è anche la sola fonte citata  per l'accusa del massacro di Deir Yassin in Stephen Green: ^Taking Sides: America's Secret Relations with a Militant Israel^, New York, William Morrow and Company, 1984, p. 260, n. 15.
148) Larry Collins - Dominique Lapierre, ^O Jerusalem^, New York, Simon and Schuster, 1972, pp. 274-276; trad. it. ^Gerusalemme! Gerusalemme^, Milano 1972-1983, pp.254-262.
149) David Hirst, ^The Gun and the Olive Branch: The Roots of Violence in the Middle East^, London - Boston, Faber and Faber, 1977. Collins e Lapierre scrivono  che "Its [Deir Yassin's] assaulters they killed, they looted, and finally they raped." (p. 275). Hirst  scrive, "The attackers killed, looted, and finally they raped." (p.125). I libri che segnalano  Hirst come fonte  comprendono: Yemima Rosenthal, ed. ^Documents on the Foreign Policy of Israel: Volume 3 - Armistice Negotiations with the Arab States December 1948-July 1949^,  Jerusalem, Government Printer, 1981; Dilip Hiro, ^Inside the Middle East^,  New York, McGraw-Hill, 1982; John W. Amos II, ^Palestinian Resistance: Organization of a Nationalist Movement^, New York, Pergamon Press, 1980;  David Gilmour, ^Dispossessed: The Ordeal of the Palestinians 1917-1980^, London, Sidgwick and Jackson, 1980.
150) Collins-Lapierre, op. cit., p. 584.
151) Kimmerling - Migdal, op. cit., p. 151.
152) Kanani and Zitawi, Deir Yassin (Bir Zeit study), p. 7.
153) Tessler, op. cit., p. 291.
154) Ibid., pp. 292-293.
155) Yaacov Shimoni - Evyatar Levine,  a cura di, ^Political Dictionary of the Middle East in the 20th Century^, New York, Quadrangle/New York Times Books, 1974, p. 36;   Congressional Quarterly, The Middle East (Washington, D.C.: Congressional Quarterly, 1991), p. 13; Eli Barnavi, a cura di, ^Historical Atlas of the Jewish People^, New York,  Alfred A. Knopf, 1992, pp. 244, 276; Judah Gribetz,  a cura di, ^Timetables of Jewish History^, New York, Simon & Schuster, 1993, p. 495; Bernard Reich, a cura di, ^Historical Encyclopedia of the Arab-Israeli Conflict^, Westport, CT, Greenwood Press, 1996, pp.128-129, 247.
156) Peretz ha servito come ufficiale in una quantità di organizzazioni dell' estrema sinistra, compreso il Jewish Committee on the Middle East (come membro dell'Advisory Committee), che chiede l'arresto di ogni aiuto U.S.A. ad Israele; il Jewish Peace Lobby (come membro del suo consiglio politico), che esercita pressioni a Washington  a favore della istituzione dello Stato palestinese; Breira (come membro del suo comitato dirigente),  il primo dei gruppi dell'ebraismo americano a  chiedere il ritiro israeliano ai confini precedenti al 1967;  e il  Committee for New Alternatives in the Middle East (come membro del suo comitato dirigente),  che esercitò pressioni contro le spedizioni  di armi U.S.A. in  Israele durante la guerra di Yom Kippur del 1973. Due voci di Peretz su Deir Yassin sono apparse nell'edizione di  Reeva S. Simon, Philip Mattar, and Richard W. Bulliet, dell' Encyclopedia of the Modern Middle East (New York, Simon & Schuster - Macmillan, 1996), pp.546-547, e in Don Peretz, Library in a Book: The Arab-Israel Dispute (New York: Facts on File, 1996), pp.39, 121.