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Lungo il muro dalla parte dell'albero  lavorava l'allieva  che fece il "leopardo" in pietra che e' stato preso come simbolo dei corsi di scultura

 

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PSYCHOMEDIA ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Arti Visive



Considerazioni sulla Scultura

di Alfonso M. Gialdini, Scultore



In occasione della lavorazione di una scultura in materiale particolarmente duro, la fatica, anche fisica, che ho sopportato mi ha permesso di puntualizzare il mio modo di vedere (anche se in parte in quanto scultore) per ciò che riguarda le arti figurative e la scultura in particolare.
Il fatto che a certe considerazioni sia arrivato proprio per le difficoltà e la "sfida" offertami dal materiale non è casuale. Pur essendo convinto che comunque la forma debba dominare sulla materia, (ovvero se il pezzo ha contenuto artistico, in linea di massima il materiale può essere qualunque), mi accorgo che il materiale è più importante dal punto di vista emotivo per l'artista che per l'osservatore. La cosa purtroppo spesso viene rovesciata: l'osservatore dà più importanza al materiale che al contenuto, in un rovesciamento di termini dovuto spesso a motivi strettamente inerenti al mercato.
Quelle che dico non sono novità, ne ha già parlato Moore e ne ha specificato precedentemente il significato Bourdelle, allievo di Rodin. Quest'ultimo, altro non ha fatto che riuscire a dire un sentimento che è parte integrante del vero scultore. Il problema si svolge attorno al concetto di "cristallizzazione" del tempo, o senso del magico o del dio come, a mio parere, sostiene Bourdelle.
Per spiegare questo concetto faccio un confronto rapido fra pittura e scultura. In generale in un quadro si può rappresentare un qualcosa di sfumato nella realtà (paesaggio, natura morta, ecc.) mentre nella stragrande maggioranza delle opere scultoree c'è uno stacco netto fra l'opera e lo spazio circostante o reale, a parte qualche eccezione (vedi interni di Martini). Non è casuale che quasi sempre il soggetto scultoreo sia un corpo o corpi umani (Moore specifica che la sua "guida" è il corpo di donna, cosa che sento e condivido anch'io).
L'effetto "magico" si ottiene "staccando" senza sfumare l'opera nella realtà circostante, cosa che succede quasi inevitabilmente con la scultura: tale effetto porta a "cristallizzare" il tempo: da ciò il dio. Io ritengo la scultura arte più primordiale della pittura: non ha bisogno della mediazione raziocinante per esprimere il concetto evoluto e complicato. Un paesaggio ha bisogno della prospettiva che a sua volta ha bisogno di studio e quindi di una più forte mediazione fra il sentimento e la sua espressione. Lo stesso gesto dello scolpire, ovvero piegare un materiale ribelle al proprio sentire, è quello che permette l'unica mediazione dello scultore, quella fra gli istinti, i sentimenti, la fantasia e la loro realizzazione nel reale e quindi la creatività. Proprio per questo lo scultore talvolta apprezza ed ama il materiale duro e ribelle perché in certi casi vuole esprimere i suoi sentimenti fortemente contrastanti (il titolo spesso non coincide con quello che ha sentito intimamente l'artista, è un'altra mediazione che fa per pudore o per comunicare un modo di vedere più "adulto" all'osservatore), per cui il materiale stesso è in qualche modo simile ai suoi sentimenti; la durevolezza nel tempo del materiale usato vuole affermare il dominio dell'artista su se stesso e dimostrarlo alla persona (o persone) che gli è più cara, ottenendo allo stesso tempo, ma in seconda istanza, l'effetto di "cristallizzazione" del tempo per l'osservatore.

 



Una nota.

Alfonso Gialdini si occupa di utilizzare la propria capacità artistica presso l'IMFI, Istituto per le materie e le Forme Inconsapevoli, presso l'ex OP di Genova Quarto. Nel lavoro di riabilitazione e cura dei pazienti cronici si è impegnato da tempo con entusiasmo e competenza. Le considerazioni che ci invia sono un sostrato importante per l'applicazione con questi pazienti. (Luca Trabucco).


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Approfondimento di" considerazioni sulla scultura".
Puntualizzazioni su una situazione mentale: la frustrazione

di Alfonso M. Gialdini, Scultore



In "considerazioni sulla scultura", ho provato, sinteticamente, a correlare una parte intima dello scultore con le sensazioni del fruitore dell'opera. Ora provo ad esprimere, dopo un rapido esempio che dovrebbe essere chiarificatore sul concetto del "dio", come può congegnarsi il meccanismo della frustrazione.
"Grande nudo femminile" di Viani, per positura e per proporzione, figura di donna a gambe esasperatamente allargate, formanti un ponte in cui il busto è talmente compresso da perdere quasi completamente ogni connotazione femminile, ricorda il "dolmen". Il dolmen è a mio parere rappresentazione del concetto del "dio": grande, che sovrasta, ma con la possibilità di accogliere. Non serve gran sforzo di fantasia od acume per ipotizzare che il "dio" altro non è che l'oggetto d'amore primario, dentro il quale siamo stati in situazione di beatitudine. Ricordo che "dei" fondamentali di epoche arcaiche erano femmine (Gea, Cerere, che agli albori aveva come idolo una pietra, la stessa pietra nera della mecca forse è derivazione di tale usanza - Maometto costruisce l'islam quasi scientificamente, onde poter coagulare e dare regole alla diaspora araba). La situazione di beatitudine stessa, del paradiso cristiano è possibile sia una simbolizzazione-speranza del ritorno alla situazione prenatale dopo morti. Il concetto di madre-oggetto d'amore primario-dio, può essere esteso, per vissuto ed esperienze individuali, al concetto di "guida "o "modello" che dir si voglia. Come già dissi in "considerazioni sulla scultura ", l'artista ha bisogno di una idea guida, ovvero "idea protettiva" che gli permetta di esprimer in modo "estetico" sentimenti molto forti, connessi al suo vissuto, talvolta travagliato.
Tale idea non può essere sconnessa da una persona (modello) esistente, che viene idealizzata nella mente e nel lavoro dell'artista seguendo le più intime esigenze, slanci affettivi, desideri, fantasie. Dato che la persona è reale il farne un "modello", ovvero renderla perfetta porta alla contraddizione nel confronto con la realtà in cui le "persone guida" non possono essere totalmente rassicuranti per quanto riguarda angoscie e paure. E' tipico dell'artista fare il passaggio alla idealizzazione, egli sotto molti punti di vista resta un bambino, il quale usa un metodo evoluto di comunicare "se stesso" con strumenti affinati dalle esperienze di adulto, ma che devono lasciare spazio alla comunicazione "forte"e "immediata" tipica del bambino, permettendo quindi all'osservatore di recepire il messaggio istintivo e "leggerlo" tramite il suo specifico vissuto e cultura. La foga nello scolpire, nel produrre, è una materializzazione dei sentimenti contrastanti, la stessa creazione artistica è una conferma della "bontà" delle proprie "guide", anche se imperfette. Finita la creazione e, preso atto della realtà, (durante la lavorazione il mondo dell'artista non è quello reale, se non per quanto riguarda l'uso degli strumenti tecnici e per alcuni canoni estetici) viene fatta mente locale. In modo assai contradditorio, più la sua opera è valida (confermando quindi intrinsecamente la bontà delle sue "guide"), meno è bastante a rappresentare la sicurezza di base che gli hanno fornito: di qui la frustrazione, quella più intima. Superata la momentanea delusione, l'artista riprenderà il lavoro in un ciclo chiuso, che come ho già fatto trapelare è quello che porta alla creatività. In questo procedere, a mio parere, il punto più difficile da superare è quello del momento di depressione dovuto alla frustrazione, momento che rischia (soprattutto se il vissuto dell'artista è travagliato) di provocare lunghe pause ed al limite la cessazione dell'attività: questo caso non è esente da implicazioni patologiche che in questo momento non è il caso di approfondire (inoltre c'è chi sa farlo meglio di me). Io sono convinto che parte delle cause che portano a discontinuità notevoli o cessazione di produzione sono dovute non tanto alla mancanza di riconoscimento palese da parte dei fruitori, bensì hanno radici in un circuito mentale chiuso, apparentemente protettivo perché esclude la fatica evolutiva (e questo vale in qualunque campo) dovuta alla frustrazione dello scontro con la realtà. Nella realtà è presente in molti autori anche un "interiore erotico" che può essere parte basilare e/o integrante delle loro opere. Esempio ne è Bacon, a mio parere, ed in certo qual modo, ma distante (e molto) da Bacon, lo stesso Michelangelo: su quest'ultimo c'è da fare un discorso a parte ed unico, vista l'immensità estetico-contenutistica della sua opera. Tale interiore "erotico" è quello che può portare al circuito chiuso apparentemente protettivo, che è esattamente il contrario del circuito chiuso creativo, pur restando fermo che hanno punti ed alcune radici comuni.



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Arteterapia e scultura

autore di questa voce di Wikipedia e' Alfonso M.Gialdini e le bozze son state corrette da Andrea Colaianni

 

 
2 figure  n° 5 diMoore
2 figure n° 5 diMoore

Dal punto di vista storico con la dizione Arteterapia in generale si indica un percorso di appoggio e/o cura di indirizzo psichico nato attorno agli anni cinquanta, che discende da esperienze di psicoterapia dinamica[1] e da pratiche dedotte dall'applicazione della Psicoanalisi

Indice

 

L'Arteterapia ieri e oggi

Per la musicoterapia e la teatroterapia vi sono origini che risalgono all'antichità. All'epoca, le suddette arti o le loro espressioni più coinvolgenti trovavano applicazione nella cosiddetta "normalità". Un esempio fra i tanti è la struttura del teatro greco che con i suoi rituali, ritmi e coro costituiva un "appoggio arteterapeutico" di massa senza esser stato studiato a tavolino per questo scopo, così come certi canti militari strutturati in determinato modo servivano a togliere, o meglio lenire, la paura dei combattenti allorquando si lanciavano contro l'avversario. Fra i metodi utilizzati, quelli seguiti tramite il travisamento dei partecipanti , presso la nazione delle 5 Tribu[2], erano correlati ad una "situazione teatralizzata". Di questi se ne parla diffusamente nella prefazione delle prime edizioni del libro Totem e Tabù di Sigmund Freud. Il saggio infatti risente dell'influenza dei lavori dell'antropologo James George Frazer, il cui studio è una delle basi su cui si basa la ricerca riportata nel libro stesso. La tecnica citata di tipo "teatrale", considerata come anticipazione della metodica psicoanalitica, permetteva, anzi, invitava il combattente a convocare un "consiglio degli uomini", nel caso fosse turbato da ansie anche "incomprensibili". Tale consiglio ascoltava timori, fantasie e quant'altro il "guerriero" potesse pensare fossero per lui causa di turbamento e di stati angosciosi che avrebbero, oltretutto, messo a rischio, a causa della sua scarsa o nulla efficienza in determinate circostanze, la vita sociale. Tutti i membri del Consiglio erano tenuti al silenzio, in caso contrario sarebbero incorsi in un perpetuo ostracismo cioè all'allontanamento dalla Comunità di colui che avesse infranto tale norma. Si tramanda che il guerriero dopo avere aperto il proprio animo al consesso, ne provasse gran giovamento.

Nei manicomi arabi sembra fossero applicate sedute di musicoterapia, mentre nel XIX secolo il dottor Philippe Pinel (1745-1826) e discepoli introdussero tale tecnica negli Istituti di cura europei per malattie psichiche. Ma è solo dal 1950 che l'Arterapia iniziò ad avere un suo peso nell'appoggio/cura di stati psichici disturbati divenendo terapia individuale per poi espandersi, laddove possibile, al gruppo, e orientandosi con maggior vigore verso metodi di espressione non verbale.

È utile ricordare che fino ad oggi l'Arterapia,in Italia, è stata utilizzata come tecnica riabilitativa e/o di sostegno con il fine di ridurre gli handicap psicofisici di miglioramento delle capacità relazionali e di inserimento di gruppo per personalità affette da patologia che va al di là della nevrosi: è stata applicata da professionisti esperti nei più diversi campi, che vanno dalla musica alla letteratura, non arrivando mai alla psicoterapia in senso stretto, per mancanza di istitizuioni che selezionassero e formassero un Arteterapeuta professionalmente, con specifiche ed istituzionalizzate nozioni di psicoterapia correlate alla loro applicazione col metodo dell'Arte. Attualmente cominciano a sorgere scuole di questo tipo[3] .

È necessario sottolineare la mancanza di una figura che sappia riunire in modo coerente una solida formazione psichiatrica-psicoanalica con spiccate ed affermate, anche se relative, si intende, qualità artistiche. In Inghilterra tali interventi sono impostati da uno psicoanalista e/o psichiatra, che oltre a possedere rilevanti attititudini artistiche, corredate con bagaglio teorico necessario alla sua cosiddetta "spersonalizzazione artistica", ha la capacità di elaborare in forma terapeutica quanto può assorbire dalla seduta di arterarapia di gruppo e/o di singolo. In tal modo si viene a riunire in un'unico soggetto sia lo psicanalista che il "maestro" artista. Va anche detto che la figura dell'Arterapeuta in Inghilterra si configura come specializzazione autonoma dopo gli studi in psichiatria e psicoanalisi. In Italia la situazione è profondamente differente.

Il luogo preposto all'applicazione della metodica Arteterapeutica è generalmente un laboratorio avente in dotazione materiali a basso costo e possibilmente di vario tipo e provenienza. In casi particolari però l'applicazione nella Scultura richiede un particolare settore del laboratorio con attrezzi e materiale ben specifici e talvolta costosi nonché misure di protezione e sicurezza. Per le espressioni corporee come gli esercizi ginnici e la danza, lo spazio a disposizone deve esser sicuro ed adeguato alla libertà di movimenti.

In ambito localistico genovese, l'azione iniziata da Claudio Costa con lo psichiatra Antonio Slavich, ex-collaboratore di Franco Basaglia,[4] coinvolse, con gli anni, un sempre maggior numero di artisti e professionisti, Miriam Cristaldi, critico d'arte, Gianfranco Vendemmiati, attuale presidente dell'associazione I.M.F.I. e l'artista, psichiatra, Marghertia Levo Rosenebrg, che, a partire dal 1990, conduce i laboratori di arte terapia, coadiuvata da altri artisti che si sono succeduti nel tempo. Tra questi Cea Boggiano, Serena Olivari [5]e Alfonso Gialdini. La terapia col mezzo pittorico ha dunque una lunga storia a Quarto mentre, col mezzo scultoreo, prese avvio solo successivamente. Dopo la morte di Costa, che a Quarto aveva soprattutto portato avanti un'azione di rottura culturale con l'istituzione stessa dell'Ospedale Psichiatrico - non aveva infatti competenze specifiche per occuparsi di arteteraoia in senso stretto - Margherita Levo Rosenberg, cui competeva già da anni la responsabilità operativa degli ateliers di arte terapia, ha assunto anche il ruolo di riferimento culturale nell'ambito dell'I.M.F.I.

Il Gruppo di lavoro

gruppo familiare di Henry Moore
gruppo familiare di Henry Moore

L'Artista

Figura centrale, anche se non indispensabile, dell'arteterapia. Può infatti bastare un buon terapeuta con competenze artistiche indirette a curare con il medium artiastico. La premessa affinché l'artista possa garantire un solido contributo in interventi di tale genere è "l'annullamento" di parte della "personalità artistica" del "maestro", o per meglio dire di quei dati caratteriali spesso legati alla cosiddetta capacità artistica che non solo possono essere di peso, ma deleteri ed invalidanti ( e in primis la tendenza egocentrica dell'artista).

Gli interventi, in tal caso potrebbero essere inutili o addirittura peggiorare la situazione psichica dei discenti (malati), quindi deve esser ben chiaro al "maestro" sia il perché vuole interagire con gruppi di persone che spesso la gente "normale" tende ad evitare, sia il modo con cui intederà impostare tale interazione.

A questo scopo sono indispensabili una serie di colloqui propedeutici prima dell'inizio del corso con uno o più professionisti, ovvero psichiatri e psicoanalisti, anche a livello personale, se possibile. Il maestro deve fare in modo che l'allievo possa autocorreggersi limitando al massimo gli interventi diretti su di lui e lasciandogli piena libertà di affrancarsi dai propri tormenti. Lo stesso discente, con l'aiuto discreto, non invadente, del maestro, dovrà col tempo trovare un suo equilibrio applicando a se stesso una forma di autodisciplina, indotta discretamente, non imposta, dal maestro.

« ..... ma nel contempo non investe il fruitore della sua opera con un fluire caotico di manifestazioni (quasi) dirette del proprio inconscio - il processo primario allo stato puro non è dato di percepirlo..... »

dice Luca Trabucco,psichiatra psicoanalista

Importante è anche il momento del consenso, da parte del fruitore, dell'opera svolta e prodotta da questo particolare tipo di rapporto fra discente e maestro. Il momento della comprensione del lavoro svolto e la gratificazione che ne deriva per il discente generano in tal modo o potenziano la sua autostima.

Trabucco prosegue:

« Tendere al contenimento del sentimento rappresenta propriamente a mio avviso il nucleo dell'esperienza del "bello", dell'esperienza estetica. Il sentimento contenuto apre alla creazione in quanto non si ha a che fare solo con l'esperienza rimossa, cioè già in qualche modo vissuta, ma con la rivelazione di aree della mente che devono essere ancora simbolizzate (v. anche Magherini, 1992, 1997), che hanno a che fare con esperienze mentali che devono trovare ancora la loro pensabilità (Tagliacozzo, 1982). »

Quindi è necessario, sotto la guida dello psichiatra-artista, che il "maestro" organizzi,(o collabori quantomeno con la sua assidua presenza), incontri e/o mostre dei lavori svolti. Compito specifico dello psichiatra-artista è fare in modo che l'autostima non sfoci nella megalomania da parte dei "discenti". Dovrà altresì prendere, nel contempo, visione per l'utilizzo terapeutico, del caos fuoriuscito dal lavoro del "discente". Compito comune fra "maestro" e psichiatra-artista è dimostare al gruppo la sussistenza, fra di loro, di rapporti di amicizia e collaborazione nella fase organizzativa degli incontri col pubblico. È questa una dimostrazione ovvia ed indispensabile che deve aver luogo durante lo svolgimento del corso scultoreo.

Uno o due incontri col futuro gruppo di discenti, presente lo psichiatra-artista, che deve osservare e aver funzione di moderatore-mediatore, sono consigliabili prima dell'articolazione della struttura operativa del corso stesso onde poter raggiungere un grado di familiarizzazione soddisfacente all'interno del gruppo. Il "maestro" deve cimentarsi senza preparazione di soggetto, anche a richiesta dei futuri possibili discenti, su un blocco di gesso o cemento che ha preparato prima, tentando di attrarre l'attenzione sul futuro lavoro scultoreo in persone che la lunga degenza nell'ospedale psichiatrico può aver reso "spente" agli stimoli. Tale situazione con i relativi "rischi" di non riuscita,(qui interverrà lo psichiatra-artista nella sua funzione di mediatore-moderatore), è molto importante per la formazione del futuro gruppo e per diffondere la credenza sulle possibiltà terapeutiche di tali metodi di intervento poggiandosi sull'ambiente della comunità. È inoltre di grande utilità che il "maestro" in prima persona si occupi della preparazione, rinvenimento, aggiustamento, recupero, revisione degli attrezzi necessari per i quali è fondamentale la messa a punto e posizione idonea per poter interagire col gruppo di discenti. È necessaria anche la presenza di pesanti e robusti "cavaletti" ovvero di banconi da lavoro. In tale azione è coinvolta la comunità presente, non solo i futuri discenti, con l'aiuto fattivo e relazionale della comunità degli ausiliari più adeguati e pazienti verso un tipo di lavoro inusuale.

La figura dello psichiatra-artista  

Il coconduttore del gruppo assieme al "maestro" scultore deve essere inevitabilmente uno psichiatra, ovvero un esperto dei rapporti che dovranno instaurarsi con i vari discenti e che ne conosca la singolare storia. Lo psichiatra si occuperà della scelta del gruppo assieme al "maestro" dopo aver vagliato le capacità del "maestro scultore" che a sua volta vaglia il rapporto empatico che ha con lo psichiatra. Non vi possono essere disaccordi di fondo sulla gestione del gruppo, e la priorità di decisione la ha lo psichiatra ovviamente.

Molto spesso si occupa di questo settore uno pschiatra con forti tendenze artistiche, se non artista lui stesso, e non è escluso un specialista assolutamente al di fuori sia delle prblematiche che degli aspetti estetici. In tal caso potrebbe però essere meno agevole il già complesso rapporto empatico fra psichiatra e "maestro" scultore perché verrebbe a mancare una linea di interesse comune al di là del lavoro sul gruppo. Anche se gli stili prediletti da psichiatra e "maestro" possono essere diversi, la loro sensibilità ed esperienza devono comunque guidarli nella scelta ritenuta migliore per i discenti.

« Lo spazio, il luogo in cui viviamo o fantastichiamo di vivere, le strade, gli alberi, i giardini coi quali conserviamo una relazione, assumono nei nostri pensieri una tonalità affettiva, legata alle esperienze ed ai ricordi che in qualche modo vi sono legati. Così come altri luoghi, anche i giardini dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, legati com'erano, nell'immaginario collettivo, alla realtà storica di emarginazione, circondati da un alone di mistificazione rispetto alla realtà del disagio psichico, vissuti come topoi [Τόποι] della follia e del degrado, abitati da gatti e scarafaggi, contaminati da malattie e malati, non hanno goduto di buona reputazione fino a pochi mesi or sono. »

da Un giardino delle sculture per il Centro Franco Basaglia di Genova: lo spazio reinventato di Margherita Levo Rosenberg coconduttrice degli inteventi con metodo scultoreo

e prosegue

« Ora, da qualche giorno, il "manicomio" è chiuso. Chiuso per sempre con le sue torri che sembravano inespugnabili, chiuse anche le ultime roccaforti della resistenza strenua di chi ha creduto, fino alla fine, nella cura della malattia come nella custodia di un segreto. »

È altresì indispensabile, durante il ciclo di incontri, tenere più o meno brevi riunioni con lo pschiatra-artista, che conduce il corso assieme al "maestro", subito prima e subito dopo ogni incontro. Subito prima, sia affinché lo/la psichiatra renda edotto il maestro delle sue deduzioni sull'incontro precedente sia per la tattica da seguire nell'imminente incontro che può variare a seconda dell'umore anche momentaneo dei "discenti" e della dinamica del gruppo. È anche utile, se non indispensabile, un corso comune fra maestro e psichiatra-artista supervisionato da un terzo psicologo, "direttore" del corso, ma non partecipante al corso. Quest'ultimo può al massimo effettuare rapide visite senza alcun intervento sul gruppo. Ovvero il tipico osservatore esterno, parafrasando il gergo usato nelle scienze fisico-matematiche. Il colloquio personale fra psichiatra-artista e maestro è necessario non solo per analizzare quanto fatto per progettare un successivo incontro ma anche per il "maestro" che se fortemente empatico, (cosa utilissima per lo svolgimento del corso a condizione che non faccia trasparire in modo disturbante le emozioni), ha bisogno del supporto della Psichiatra-artista per elaborare il dolore "assorbito" dal gruppo dei malati e dall'ambiente. Più il corso va avanti, più questa fase diventa meno pesante per motivi di adeguamento da parte del "maestro" sia al gruppo che all'ambiente.

Esperienze di questo genere sono state fatte e si fanno anche in Italia ed a livello localistico genovese presso IMFI, ma la difficoltà di reperire uno psichiatra-scultore su materiale duro, disciplina artistica ormai ben particolare, può obbligare a coinvolgere un "maestro" scultore esterno opportunamente preparato come nel caso succitato.

 

pianta del Museattivo_Claudio_Costa,le parti colorate sono i giardini che circondano l'edificio.I cerchietti piccoli son numerati e son serviti indicativa di dove i lavori .I due tondi blu indicano il tavolo delle riunioni (quello piu' grande) nella "sala Musica" , l'altro piu' in basso il portone interno di passaggio per il corridoio che portava al bar gestito dai pazienti ,e,andando avanti, alla sala mostre utilizzata sia per i degenti sia per gli artisti professionisti) posizionata sulla sinistra , dalle quale sempre sulla sinistra si usciva nel "Giardino delle Sculture".Il secondo giardino piu' piccolo in basso e' quello nel quale si tenavano i corsi di scultura mentre il "Giardino delle Sculture" con le opere permanentemete in mostra e' rappresentato dalla fascia colorata al di sopra della mappa di interno uscendo dalla sala mostre.Adesso tutto il museo e'spostato in uno degli edifici prospicenti al complesso terapeutico casa Michelini mentre il Giardino delle Sculture e' stato riposizionato nei diversi giardini di tale complesso;nell'ampio spazio dentro l'edificio fra i primi due corridoi,visualizzati in basso nella mappa, era sistemato il laboratorio arterapeutico della psichiatra_artista Margherita Levo Rosenberg

Gli Ausiliari infermieri

Nelle prime fasi la presenza di ausiliari-infermieriè dovuta a motivi di sicurezza e di intervento immediato vista la pericolosità degli attrezzi utilizzati nello specifico della scultura. L'esperienza dimostra comunque che pur con tensioni non ci son stati mai episodi che richiedessero un intervento diretto degli ausiliari, la cui presenza può essere sempre meno indispensabile e anche sparire del tutto se il corso ottiene buoni risultati. Da questo si deduce che anche il personale ausilirio dovrà avere un ottimo rapporto con i malati in questi tipi di interventi. Gli ausiliari possono "sparire" del tutto, ma la loro presenza è generalmente gradita e utile per aumentare il peso del rapporto empatico positivo di gruppo.

Le prime azioni che misero in contatto diretto i malati con strumenti utilizzabili come armi sotto il controllo di ausiliari specializzati in tale tipo di terapie di gruppo furono poste in atto da infermieri di Pratozanini (ospedale psichiatrico di Cogoleto che diedero vita con i malati a una comunità agricola. Tale intervento, pur non essendo "arteterapico" ha avuto un'importanza storica proprio perché, come si è gia accennato, si avvaleva di tecniche scultoree, ponendo i malati a contatto diretto con attrezzi usabili come armi: l'intervento ebbe pieno successo e permise alla comunità stessa di prosperare per lungo tempo.

Bisogna mettere in evidenza che tale intervento, fra i più efficaci del settore, non è stato sottolineato mediaticamente in maniera proporzionale al suo peso, forse perché(ricordando Sigmund Freud col suo detto sulla Saggezza della Balia, che dopo tanti anni di studio si rese conto quanto capisse una buona balia per istinto ed intuizione ) partì in maniera pratica , di intuito , da "subalterni", anche se successivamente fu poi supportato anche da una parte dei medici dell'ospedale psichiatrico di Cogoleto.

Il gruppo dei discenti

Il gruppo formato dai discenti non può andare oltre le cinque unità, visto che il "maestro" dovrà tendere a seguirli in modo equo (in considerazione anche della complessità e della particolarità dell'intervento nel senso tecnico della parola), ovviamnete con le dovute eccezioni per le quali è instradato dallo psichiatra-artista.

Il problema del vandalismo nel suo risvolto originale dell'aggressività

Una chiarezza su questa problematica è indispensabile sia per la scelta e la strutturazione del gruppo sia per il buon rendimento del gruppo stesso. Ciò è diretta conseguenza della metodica usata, in quanto gli attrezzi vengono impiegati per colpire ovvero "offendere" il materiale duro, che pur sicuri che non è niente di vivo, per alcuni degenti rappresenta un atto collegato ad aspetti del loro carattere che hha bisogno di esser tenuto sotto controllo in modo ferreo. Accade infatti che, per coloro che possiedono un'aggessività superiore alla media nel gruppo disente, ci siano difficolta a colpire il sasso in quanto hanno paura loro stessi della della propria potenziale aggressività e di usare gli attrezzi non solamente per lavorare il sasso.

Pietà Rondanini vista frontale

Ricapitolando, nel corso preparatorio per un intervento di tipo scultoreo, e durante il suo sviluppo, assume fondamentale importanza, il problema dell'aggressivisità.Non tanto per il banale motivo che si utilizzano attrezzi che potrebbero anche essere mezzi di offesa, ma piuttosto per il correlato psichico che invece permette di sfruttare, opportunamente guidato e controllato, il moto aggressivo. La relazione fra vandalo ed artista ha radici molto antiche nel vissuto personale, ed il vandalismo è strettamente legato all'aggressività, per cui è indispensabile aver nozioni sull'argomento inerenti aspetti psichici della scultura e nello specifico in riferimento al correlato aggressivo prima di poter intervenire mediante una tecnica scultorea come mezzo di appoggio terapeutico.

Si sono occupati di questi aspeti numerosi studiosi della mente e un buon numero di scultori. Dal relativo saggio di Simona Argentieri, studiato nella sua estensione, si traggono utilissime indicazioni, visto anche che come soggetto di studio è considerato fondamentalmante Michelangelo:

« Creatività artistica e creatività del sé .La scultura - secondo il detto leonardesco che tanto piaceva a Sigmund Freud - è un'arte "per via di togliere", nella quale è più evidente il contrappunto tra il "creare" ed il necessario parallelo "distruggere" la forma precedente della pietra: a colpi violenti di scalpello il marmo si infrange e si frantuma per lasciare emergere la nuova immagine [...] Ogni creazione (lo dice anche Giulio Carlo Argan) è un atto distruttivo.[7] »

ovvero l'opera attaccata dal vandalo o creata dall'artista, oltre ad aver basi comuni a livello di azione fisica può essere anche una sintesi fra azione di distruttività e creatività nel caso dell'artista. Simona Argentieri spiega tali concetti focalizzando l'attenzione sulla Pietà Rondanini.

Secondo la studiosa vi sono collegamenti simbolici a ricordi molto più antichi della mente, difficilmente recuperabili in modo cosciente, sia in senso distruttivo, che riparatorio, che in entrambi i sensi. Tali collegamenti, essendo indissolubilmente legati fra di loro, sono talvolta difficilmente recuperabili verbalmente anche con tecniche psicoanalitiche del profondo.

L'impulso "vandalico",quindi, è utilizzabile se guidato ed instradato verso la creatività,in senso lato non strettamente artistico,ovvero la costruzione di un oggetto che soddisfi l'autore e permetta di esser mostrato e quindi entrare in relazione col fruitore :tale elaborazione dell'impulso vandalico,ovvero aggressivo,per tornare alla sua radice, ricorda il verso:

« Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori »
(Fabrizio De André - Via del campo)

La definizione di atto distruttivo data da Giulio Carlo Argan, per indicare sinteticamente il processo creativo, è da prendere nel contesto del discorso di Argan e non nel senso letterale del termine, ovviamnete, e viene espresso con forza per sottolinearlo; Simona Argentieri analizza poi nel dettaglio le evoluzioni della pietà di Michelangelo fino alla Rondanini.

D'altro canto Sir Herbert_Read, poliedrico scrittore, critico e poeta, parla della possibilità di trasformare un impulso agressivo in maniera creativa e la sua intuizione è stata rielaborata e sviluppata in modo da poter essere utilizzata come parte del sostrato teorico per gli interventi con la tecnica scultorea su materiale duro. Secondo Herbet Read l'impulso aggressivo-distruttivo può essere trasformato in qualcosa di creativo.Un'evoluzione della sua intuizione prende atto che l'impulso di per se stesso non si può ,in generale,trasformare ma si può utilizzare in modo diverso , così come un'ascia può servire per spaccar teste come facevano i Frisoni o si può usare per far legna da ardere per cuocere i cibi.

Quando il malato psichico con tendenze aggressive spezza un blocco di materiale duro ,certo che c'è il piacere distruttivo,così come c'è nel "maestro" scultore, ma vedendo che quel gesto se instradato può fare "cose belle", nel senso anche soggettivo del termine, (ovvero sculture nello spefico in questione), il piacere distruttivo viene soppiantato, in parte, ma mai azzerato, dal piacere della riuscita dell'opera e quindi vi è come logica conseguenza una forma di controllo e finalizzazione creativa della distruttività stessa, ed in prima istanza dell'aggressività generatrice della distruttività: il piacere di spezzare il sasso, in quanto gesto distruttivo, rimane, ma è subordinato alla costruzione del lavoro scultoreo.

La comprensione,ovvero il prender atto della realta',cioe' che l'impulso aggressivo non e trasformabile interamente e/o tout court è fondamentale per il buon fine dell'intervento di appoggio terapeutico. Questa conclusione può infastidire il "maestro" stesso perché può essere vista sminuente della "purezza" e "l'importanza",soprattutto, del "risultato" dell'intervento "artistico" sui particolari discenti. Torniamo quindi alla neccessità della preparazione sul retroterra psichico,nel campo specifico della scultura, ma non solo, che deve possedere il "maestro" , d'altro canto in generale è sempre meglio prendere atto dei limiti che la realtà impone e l'intervento di appoggio terapeutico,proprio per i suoi fini,deve esser ben radicato nella realtà.

possente figura femminile di Henry Moore
possente figura femminile di Henry Moore

A prescindere dal problema dell'aggressività ,ma comunque correlato ,in quanto riguarda problemi di vissuto personale del discente specifico o dell'artista in genere, hannno altresì importanza fondamentale gli scritti di Henry Moore sulla figura guida, che, a suo dire, confermato da Sir Herbert Read, è la figura di donna, il breve scritto di Émile-Antoine_Bourdelle sul problema del rapporto fra lo scultore ed il "Dio" (o "Dei",volendo), la "confessione" di Arturo Martini inerente la fonte fondamentale della plastica della sua opera, il lavoro (sulla Sindrome di Stendhal), di Graziella Magherini Psicoanalisi e arte tra emozione e ricerca Michelangelo e il linguaggio degli affetti [8], il lavoro di Luca Trabucco [9], Edvard Munch Arte e trasformazione della sofferenza mentale. Riflessioni psicoanalitiche su un percorso artistico,per citarne solo alcuni.

Centuro morente di Émile-Antoine_Bourdelle
Centuro morente di Émile-Antoine_Bourdelle

Bibliografia

psicoanalitico, Armando, Roma 1970.

Collegamenti esterni [modifica]

Note

  1. ^ psicoterapia dinamica
  2. ^ la nazione delle 5 Tribu
  3. ^ estratto da relazione di Roberto Pasanisi
  4. ^
    « Franco Basaglia, assieme ad Antonio Slavich, avvia nell'ospedale psichiatrico di Gorizia un tentativo di rinnovamento nel trattamento dei malati di mente che porterà alla costituzione della prima "comunità terapeutica" italiana. »
    cronologia del 1900
  5. ^ sintesi biografica
  6. ^ biografia Raggio
  7. ^ Simona Argentieri,(membro dell'International Psycho-Analytical Association; analista didatta dell'Associazione Italiana di Psicoanalisi SPI, da uniBo: Simona Argentieri, Creatività, vandalismo e restauro nella dimensione intrapsichica
  8. ^ Psicoanalisi e arte tra emozione e ricerca Michelangelo e il linguaggio degli affetti
  9. ^ Edvard Munch
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Un giardino delle sculture per il Centro Basaglia di Genova: lo spazio reinventato

Margherita Levo Rosenberg



Lo spazio, il luogo in cui viviamo o fantastichiamo di vivere, le strade, gli alberi, i giardini coi quali conserviamo una relazione, assumono nei nostri pensieri una tonalità affettiva, legata alle esperienze ed ai ricordi che in qualche modo vi sono legati.

Così come altri luoghi, anche i giardini dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, legati com'erano, nell'immaginario collettivo, alla realtà storica di emarginazione, circondati da un alone di mistificazione rispetto alla realtà del disagio psichico, vissuti come topoi della follia e del degrado, abitati da gatti e scarafaggi, contaminati di malattia e di malati, non hanno goduto di buona reputazione fino a qualche mese fa.

Ora, da qualche giorno, il "manicomio" è chiuso. Chiuso per sempre con le sue torri che sembravano inespugnabili, chiuse anche le ultime roccaforti della resistenza strenua di chi ha creduto, fino alla fine, nella cura della malattia come nella custodia di un segreto.

La psicosi porta certamente con sé i suoi segreti, segreti da cui tutti siamo esclusi, ma le persone, tutte le persone conservano uno spazio da condividere che non può e non deve, per nessuna ragione, essere precluso. E' questo uno spazio che straripa dagli argini e che nessuna barriera, fortunatamente è riuscita a celare per sempre, grazie anche all'impegno di enti ed associazioni tra cui l'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli.

Basta percorrere i corridoi del Centro Basaglia, nato in luogo di una divisione manicomiale, e sbirciare alle pareti le opere pittoriche dei tanti frequentatori degli ateliers di arte-terapia, italiani ed esteri, e dei tanti artisti che hanno accettato di "esporsi" a fianco dei malati, per rendersi conto di come il "segreto" della psicosi abbia voluto depositarsi in colori e forme che respirano e respireranno ancora, oltre le inferriate ed oltre ogni barriera possibile.

L'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, nato nel 1988 come organizzazione di volontariato in convenzione con la U.S.L., ha lavorato, in tutti questi anni per far emergere e conservare, non tanto la voce della "follia", bensì la voce delle "persone", di tutte quelle persone che ancora non avevano spazio sufficiente per essere ascoltate; con la sezione Museattivo Claudio Costa - dal nome di uno dei suoi fondatori, artista precocemente scomparso nel 1995 - viene conservata una cospicua raccolta di lavori frutto dell'espressività di artisti e non artisti, che a vario titolo hanno collaborato alla demolizione delle barriere culturali che si frapponevano, nel passato più che nel presente, tra normalità e follia, tra salute e malattia, tra identità e anonimato.

Tra le conquiste sociali maggiormente apprezzabili degli ultimi anni vi è senza dubbio l'impegno ad abbattere le barriere architettoniche che, fino a pochi anni or sono, hanno impedito ai disabili pari opportunità di fruizione di spazi pubblici e privati; vi sono però altre barriere, architetture virtuali dello spazio mentale, che potrebbero rivelarsi tristemente resistenti, muri di gomma del desiderio di relazione, barricate trasparenti tra due mondi, quello dei "più" fortunati e quello dei "meno", cui la vita ha negato la serenità dell'essere "normali".

Il "manicomio", ora, è chiuso ma abbassare la guardia, ritenere di aver demolito per sempre le barriere, potrebbe rivelarsi un'illusione; il Museattivo C. Costa, attivo per definizione, vuole continuare nel suo impegno di rendere visibile coloro che possono sembrare invisibili, nella convinzione che il disagio abbia bisogno di supporto costante, di solidarietà e coinvolgimento sociale; l'arte può diventare un veicolo importante per realizzare questi obiettivi.

In occasione delle celebrazioni per la festa della Liberazione, il 25 aprile, quest'anno l'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, in collaborazione con la A.S.L. 3 Genovese, attraverso la sezione Museattivo C. Costa, ha arredato il giardino antistante il Centro di Riabilitazione Psichiatrica F. Basaglia con alcune sculture già nella collezione del Museo dal 1992 ed altre di più recente acquisizione.

Grazie alla volontà e all'impegno dello scultore Alfonso Gialdini, che si è prodigato in prima persona per allestire il giardino delle sculture, inaugurato il 23 aprile 1999, hanno trovato collocazione le prime sei opere degli artisti A. Barone, E. Boero, S. Lunini, A. Perniciaro e A. Gialdini stesso che, con il suo "busto" liberato dalle "valve" simbolicamente interpreta il concetto di "liberazione".

Di prossima collocazione opere di E. Alfieri, C. Bednarski, G. Moser Wagner, A. Bove, D.M. Raggio, F. Repetto, E. Bixio, P. Gaietto, G. Sessa, S. Parodi e G. Asfodele accanto alle quali saranno collocati anche alcuni lavori realizzati nel 1996 presso il Centro F. Basaglia, da un gruppo di ospiti dell'ex Ospedale psichiatrico, opportunamente indirizzati dal maestro Gialdini, che ha lavorato al fianco degli operatori del Centro di Riabilitazione psichiatrica nell'ambito di un progetto sperimentale di terapia dell'aggressività attraverso il mezzo scultoreo.


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