Superstizioni Rovignesi |
suparstisiòn s.f. - superstizione. Innumerevoli sono
le superstizioni a cui crede (o credeva) il popolino rovignese, molte delle
quali si osservano meccanicamente tanto sono entrate nel comportamento
innato della gente. Riporto qui un breve componimento capodistriano in
versi settenari del 1761 che fa un elenco delle cose che si riteneva portassero
male:
Molte credenze inoltre sono legate agli influssi della Luna, che hanno la capacità di influenzare tutto ciò che riguarda la crescita (in particolare della vegetazione), che deve avvenire con luna crescente. Così anche le varie fasi del vino sono influenzate da quelle lunari e neanche l'uomo sfugge alle sue proprietà, vedi i modi di dire: taià opoûr nàsi in bon da loûna, vì la loûna stuòrta... (ovvero nascere con la luna favorevole, avere la luna storta ecc.). Gli influssi potevano essere anche negativi, così si sconsigliava di dormire all'aperto nelle notte estive per evitare di diventar... lunatici, sonnambuli o peggio. Infatti si credeva che dormendo all'aperto in notti di luna piena si potesse contrarre la "malattia del lupo" ovvero diventare "lupi mannari". Il tempo che mancava al parto si contava in lune, ed anche il taglio delle unghie e dei capelli, per i più superstiziosi, doveva avvenire con la luna giusta. Vi erano inoltre giorni e numeri nefasti, ad esempio il 13, il 17 ed il 21, così come il martedì ed il venerdi non erano indicati nè per sposarsi nè per partire. L'anno bisestile era considerato infausto così come la comparsa di comete o nascite mostruose erano foriere di grandi mali. Il ragno invece non veniva ucciso perchè portava fortuna: ràgno puòrta vadàgno. Inoltre il malocchio, o strigareîa, non era una cosa sconosciuta, anzi le mamme per evitare che al loro bimbo venisse fatta una fattura, lo munivano della immancabile medaglietta di Sant'Antonio e per non sbagliare gli facevano indossare qualche indumento all'incontrario. Quando amuleti, medagliette di santi, croci ed altro ancora fallivano, allora si ricorreva al Cavalgànto o mago bianco, che magari dopo una strenua lotta con la strìga cateîva ca ga viva fato la fatoûra lo liberava del malocchio. In tutte le attività umane, ed in particolare in quelle più soggette a rischio come la caccia, il gioco, l'agricoltura, la pesca... l'uomo rovignese, magari automaticamernte, agiva secondo dei comportamenti rituali volti ad evitare la cattiva sorte. Così non bisognava mai dire di star troppo bene, salvo chiamarsi da solo sfortuna, e se lo si faceva si facevano degli scongiuri: stu ano, i ma tuco el naz, nu iè boû oûn rafradur. Oltre al toccarsi il naso altre forme di scongiuro erano tucà fièro, lìgno o tucàse i tundeîni ecc. ecc. I giocatori inoltre non volevano nessuno alle loro spalle perchè, anche se questi era una persona amica, l'influsso anche involontariamente avrebbe potuto essere negativo. Quando perdevano, facevano tre giri intorno la sedia, oppure bruciavano in tondo un fiammifero sopra le carte da gioco, si giravano la berretta ponendo la visiera verso la nuca ed altri consimili rituali sempre per allontanara la jella.. Pescatori e marinai poi non volevano assolutamente a bordo donne e animali, e neanche si doveva accennare in alcun modo a questi ultimi o dirne il nome, in particolare modo non si dovevano nominare nè gatti nè lepri. Inoltre i delfini, e specialmente quelli bianchi, erano considerati forieri di sventura. I vecchi pescatori ritenevano inoltre che nei delfini particolarmente voraci e dispettosi s'incarnessero le anime dei morti annegati e si potrebbe continuare all'infinito. Un'altra superstizione popolare era quella del faleî
o zbalgià del crièdo, cioè i neonati a cui
nell'atto del battesimo la formula del Credo veniva sbagliata si riteneva
che potessero parlare con i morti e predire il futuro: sulo
quii ca zì zbalgiadi nel criedo vido e faviala cui dafoûnti,
e sulo luro lezi li carte cun vira virità.
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