L'ISTRIOTO
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Entrata nell'orbita romana, con la sconfitta di Epulo re degli Istri ad opera del console Claudio Pulcro nel 177 a.C., l'Istria non si rassegnò subito al nuovo dominatore. 

Nel 129 ci fu infatti una sollevazione soffocata duramente dai romani che, per controllare i nuovi territori, insediarono le colonie militari di Trieste e Pola. 

In seguito l'Istria che era governata dal proconsole romano della Gallia Cisalpina, e quindi dal 59 a.C. da Caio Giulio Cesare, nel periodo delle guerre civili si schierò contro il suo governatore parteggiando nelle fila dei seguaci di Pompeo. 

Nello scontro finale tra Ottaviano, figlio adottivo di Giulio Cesare, ed Antonio parteggiò a fianco di quest'ultimo. Sappiamo bene come finirono tali scontri e l'Istria ne subì le conseguenze. 

Ottaviano, sconfitti tutti i rivali, provvide a rifondare la città ribelle, chiamandola Pietas Julia, insediando nel territorio di Pola, che andava dal Canal di Leme (Limes) all'Arsa, i veterani del suo esercito vittorioso. 

E' da tale episodio che, con tutta probabilità, nascono le radici dell'Istrioto. 

Già lo storico Bernardo Benussi nel suo saggio del 1924 L'Istria nei suoi due millenni di storia, chiosando questa affermazione di Matteo Bartoli: 

L'istriano è il dialetto indigeno che si parla ancora, specialmente dal popolo, a Rovigno, Dignano, Fasana. E' un dialetto a sè, italiano.... che presenta dei punti di contatto notevolissimi con l'abbruzzese, il tarentino ecc., avanzava una precisa ipotesi: 

E non potrebbe, chiedo io, questa somiglianza dell'istriano usato in gran parte nella regione fra il Leme e l'Arsa derivare dai coloni romani che Augusto trapiantò nella colonia di Pola da lui rinnovata togliendoli dall'Italia meridionale?

A suffragare ulteriormente questa ipotesi vi è la diffusione, sempre e soltanto nella sola area dell'ex agro romano di Pola, delle tipiche costruzioni circolari in pietra edificate a secco dai contadini istriani, le casite, che hanno una forte rassomiglianza con i trulli pugliesi. 

A seguito del grande depauperamento della popolazione originaria di Pola, che alla caduta di Venezia era ridotta a meno di mille abitanti, ed al susseguente arrivo di nuove popolazioni a partire soprattutto dal 1848, anno in cui Pola divenne sede della I.R. Marina austriaca, l'istrioto incominciò ad essere soppiantato come lingua d'uso dal veneto istriano diventando sempre più un linguaggio periferico utilizzato dalle frange marginali della società polesana. 

Lo studioso Antonio Ive, il primo a dedicare all'istrioto uno studio approfondito (anche se impropriamente lo chiama ladino-veneto), ci dice che all'epoca del suo fondamentale studio intitolato "I dialetti Ladino-Veneti dell'Istria" edito a Strasburgo nel 1900, vi era nella città di Pola un'unica persona che lo parlasse schietto: un contadino settantenne, Antonio Dobrovich il quale, a causa della sordità contratta in età giovanile, aveva mantenuto pressochè integro il dialetto originario. 

 Ma forse l'Ive fu un pò troppo drastico se nel 1875 Giovanni Papanti, seguendo una moda dell'epoca, pubblicava a Livorno un grosso tomo intitolato "I parlari italiani in Certaldo" con le versioni nei più svariati dialetti italiani di una stessa novella del Boccaccio che, per la versione del dialetto di Pola, fornisce un esempio ancora abbastanza incorrotto di parlare istrioto il cui inizio suona così: "I dèigo donca che al tempo del prèimo Ri di Çèipro despuoi..." tanto da far supporre all'Ive che si tratti di una versione in rovignese anzichè nel dialetto di Pola. 

Vediamo quindi che in seguito ai forti flussi di popolazione oltre che per il prestigio linguistico prima di Venezia e poi di Trieste l'area dei parlanti l'istrioto si è andata man mano riducendo alle città di Rovigno e Dignano ed ai centri minori di Valle, Gallesano, Fasana e Sissano. 

Nonostante la sua indiscussa antichità non ci sono pervenuti testi in istrioto antecedenti al 1835, anno della pubblicazione della Parabola del figliol prodigo nella sua versione in rovignese, visto l'uso costante del latino prima e dell'italiano poi da parte dei Comuni e degli uomini di lettere istriani. Va sottolineato inoltre che dobbiamo questo primo testo in istrioto all'iniziativa promossa dall'erudita torinese Giovenale Vegezzi Ruscalla avente lo scopo di radunare in una raccolta antologica un saggio di tutti i dialetti italiani e per questo aveva chiesto ai vari letterati delle singole regioni italiane di fornire nel proprio vernacolo la traduzione di questa famosa parabola. 

Ed è grazie al rinato interesse per il mondo popolare, portato questo della nuova temperie culturale del romanticismo ed alla nascita del concetto di Folk-lore che, sul finire della prima metà del XIX secolo, incominciano ad apparire le prime opere nei vari dialetti istrioti. 

Nel 1843 un anonimo poeta rovignese, che si firmava Andria Uorgani, componeva un poemetto in ottava rima in un rovignese ancora incerto dal titolo Il mendicante d'amore pubblicato dal Kandler nel 1846 sulla rivista L'Istria quale saggio di dialetto istriano. 

Ma forse l'opera più importante per la salvaguardia del patrimonio cuturale racchiuso in questo antico linguaggio è l'antologia Canti Istriani edita nel 1877 nella collana, curata da Domenico Comparetti ed Alessandro D'Ancona, Canti e racconti del Popolo Italiano

La raccolta di canti, stornelli, indovinelli ecc. si deve all'attenta opera dell'allievo di Isaia Ascoli, Antonio Ive, che come dice il post titolo li raccolse quasi esclusivamente nella natia Rovigno. Mentre risale più o meno intorno alla metà dell'800 il primo dizionario d'istrioto rimasto manoscritto: il dizionario Dignanese-Italiano opera di Giovanni Andrea Dalla Zonca edito meritoriamente nel 1978 nella collana degli Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno. Opera che resta fondamentale ma che sconta la scarsa conoscienza scientifica dell'autore. 

Interessante per la conoscenza dell'istrioto, più che per i suoi meriti poetici, è un'opera edita a Rovigno dalla stamperia Coana, la cui prima edizione è del 1872 e la ristampa del 1890, intitolata  I lementi de Fimjta incontro Pjiro su murus. Il cui autore, Pietro Angelini, nella prefazione "dichiara averlo raffazzonato al solo scopo di tenere in evidenza termini e frasi di detto dialetto, che per lo ingentilirsi del popolo di Rovigno va da qualche anno perdendosi". Affermazione che ci attesta come in Istria già fosse operante quel fenomeno, attualmente riscontrabile in Italia, di riduzione del dialetto quale lingua d'uso nell'area dei soli ceti popolari, con forti contaminazioni da parte della lingua di prestigio, mentre qualche sparuto gruppo di intellettuali ne cerca di salvaguardare la purezza. 

Sono del 1894 dei gustosi bozzetti in vernacolo di "Vita Rovignese", Rovigno-Coana, opera del giornalista Raimondo Devescovi a cui dobbiamo anche un interessente poemetto in sestine: El Castiel de Ruvèigno scritto, come dice l'autore, per divulgare al "puopulo ruvigniz", che non ha dimestichezza con la lingua italiana, la Storia Documentata di Rovigno dello storico Bernardo Benussi edita nel 1888. 
 
 

Gianclaudio de Angelini

 
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