La pubblicità nell'arte, testo di Luciana Andreani)
L'esistenza di un rapporto molto stretto fra arte e pubblicità è a questo punto indiscutibile. Sia nel passato che nel presente ci sono stati artisti che hanno lavorato per la pubblicità e con la pubblicità nelle loro opere d'arte; oltre a ciò si assiste nel contemporaneo alla presenza di pubblicità, sia sotto forma di spot che su carta stampata, che sono entrate a far parte della sfera artistica al punto che alcune di esse, oltre ai famosi manifesti tra cui quelli di Lautrec e Depero, sono state esposte in musei tra i quali il Louvre, ad esempio, che ospita una collezione di manifesti stampati della campagna "Esselunga" prodotta dalla famosa agenzia Armando Testa.
Questi casi, assieme al fenomeno di pubblicità che diventano miti, denotano la derivazione di questa disciplina dall'arte nonostante la sua finalità sia quella di far vendere ciò che propone sia esso un prodotto od un servizio; parlare di diretta derivazione è forse un poco azzardato ma in questo caso sta a significare il fatto che la maggior parte dei creativi di un tempo sono stati artisti famosi e la pubblicità nelle sue prime espressioni si è servita dei registri propri dell'arte visiva. Osservando ad esempio i primi manifesti del periodo francese delle Affiches, noteremo subito la preponderanza delle decorazioni grafico-illustrative sulla parte tipografica e come le immagini sinuose e piacevoli, quali erano i gusti del periodo, catturino immediatamente la nostra attenzione. Questo fatto è sottolineato nel testo di Elio Grazioli, Arte e Pubblicità, con l'esempio dell'attività di Manet nel campo della pubblicità; egli, infatti, cominciò nelle sue opere d'arte a considerare il pubblico come spettatore, costruendo le immagini dal punto di vista dello spettatore.
Questo era già un grande primo passo nella considerazione dell'osservatore come utilizzatore finale dell'opera, inoltre Lautrec francese già celebre per aver dato avvio a quella che era chiamata "pittura della modernità" per i temi trattati, si misurò con i segni del cambiamento realizzando una réclame per il libro Les Chats di Champfleury.
Si trattava appunto di un'illustrazione di gusto "giapponese", com'era in voga all'epoca, in cui due gatti uno bianco ed uno nero captavano l'attenzione dell'occhio tramite il contrasto formato dai due colori e la linea continua e sinuosa che costruiva le due figure; vi è già in questo lavoro uno dei concetti base della pubblicità, e vale a dire la cattura dell'attenzione tramite espedienti grafici e cromatici esaltati dall'omogeneità dei caratteri tipografici che lasciano il posto più importante proprio all'illustrazione. Linee dinamiche ed energicamente sensuali unite a colori essenziali tra i quali predominano i rossi e i neri, distinguono il lavoro del più celebre artista - pubblicitario che quel periodo Henri Tolouse Lautrec; le sue réclame per il Moulin Rouge sono diventate ormai celebri simboli del binomio arte-pubblicità ed è importante ricordare come sia stato fruttifero per lui lo scambio d'esperienze fra le sue due attività artista da una parte e pubblicitario da un'altra. Infatti, Lautrec scoprì la tecnica della litografia proprio grazie all'attività di pubblicitario e la fece rifluire nella sua produzione artistica ampliando i metodi espressivi. Con i suoi manifesti, i quali si occupavano di pubblicizzare spettacoli che avevano come principale attrazione la donna e la sua sensualità, nasce la funzione della bellezza femminile nella pubblicità; la spiccata caratteristica del corpo femminile quale simbolo di bellezza e desiderio, ha avuto da secoli a questa parte un'importantissima funzione decorativa di richiamo per lo sguardo dei passanti e la porta proprio in questo periodo grazie appunto al lavoro di Lautrec e dei suoi contemporanei, ad assumere un ruolo insostituibile in pubblicità. Questo fatto assume ancora oggi una preponderanza spiazzante sul modo di fare pubblicità, in cui però denota in molti casi la mancanza d'idee e costituisce n elemento di tale ridondanza da produrre spesso la noia dell'osservatore che si vede proporre il solito messaggio stereotipato ritenuto per questo dai creatori di sicura pregnanza.
Tornando al manifesto, esso indica nel contesto storico della fase industriale, la rapidità di fruizione delle immagini; la sua veloce consumazione da parte del pubblico impone la necessità di un cambio repentino che alimenta di conseguenza il mercato della pubblicità e la richiesta di maggior lavoro da parte degli artisti che vi operano, in pratica esso stesso l'emblema della società moderna e della sua velocità nel produrre oggetti grazie alle innovazioni tecniche apportate dall'industrializzazione. Assistiamo così alla presenza sulla scena creativa pubblicitaria, di moltissimi artisti che producono, in quel periodo, una serie di messaggi in cui si profilano le basi su cui si svilupperà in futuro il rapporto tra le due discipline.
In Jules Cheret ad esempio, notiamo le similitudini fra i suoi manifesti e le opere d'arte di Seurat, il quale assieme a Lautrec ne era un grandissimo ammiratore soprattutto per la leggerezza delle forme, la gaiezza delle composizioni, la sospensione dei personaggi e l'assenza d'ombre; tutti questi elementi sono studiati dal pittore il quale va ricercando gli stessi elementi fra cui anche i contorni angolosi e il dinamismo che fa rifluire poi nelle sue opere d'arte. Seurat e Lautrec ammirano Chéret soprattutto per la sua lontananza dalle ingenuità diffuse nel suo campo dove il manifesto pubblicitario vuole spesso rappresentare figure allegre e gioiose ma composte nei costumi; questo è il punto che differenzia sia gli elaborati pubblicitari di Chéret che di Lautrec, i quali prediligono la sguaiatezza delle "chérette", com’erano chiamate le protagoniste di quei manifesti, in cui si respira la vera atmosfera da bordello dove effettivamente si svolgono gli spettacoli pubblicizzati.
Il legame con l'arte moderna e contemporanea, che cerca attraverso l'esasperazione di certi particolari propri del registro espressivo pubblicitario una via di critica alla frivolezza della mondanità moderna, è stata individuata da Grazioli nell'utilizzo dei colori stridenti e crudi della cromolitografia, la semplificazione delle forme, il cattivo gusto negli accostamenti, la caricaturizzazione dei personaggi e la frivolezza che sono assunti da alcuni artisti come componenti di un contrasto, di una discordanza e tematizzati come caratteri specifici dell'epoca moderna e dunque visivamente corrispondenti ad essa, oppure utilizzati per ottenere nuove tipologie di rese emozionali.
Il manifesto è quindi doppiamente interpretabile, come mezzo pubblicitario e immagine speculare della società del periodo in cui sono esaltate certe caratteristiche attraverso norme espressive come ad esempio l'appiattimento dei colori e delle figure in senso bidimensionale che va a scapito di una maggior descrittività, quella propria delle figure presenti nelle opere d'arte, per favorirne la comunicatività immediata. Ma Chéret si rivela comunque meno delirante rispetto a quello che comunicano i manifesti di Lautrec; vi è nell'artista francese, la presenza di elementi descrittivi che assumono una maggior forza ed immediatezza nel rappresentare la chiassosità di quegli ambienti che peraltro egli stesso frequentava da tempo in maniera abitudinaria, e quindi da testimone in prima persona, era agevolato nella descrizione più sintetica ed efficace. In queste opere grafiche, si nota come a un certo livello espressivo presente nell'immagine illustrata, la parte descrittiva propria della parola “stampata”, e quindi della tipografia, sia messa in secondo piano col solo compito di ricordare un nome, mentre il resto del messaggio è già insito nell'organizzazione del sistema della composizione. Questo è quello che accade al puro livello comunicativo del manifesto in cui la maggior attenzione è posta riguardo a quello che è il suo obiettivo primario, e quindi portare un messaggio attraverso il quale persuadere lo spettatore a partecipare all'evento descritto; di là da tale scopo, si riconosce nella composizione la sensibilità di un'artista che ama giustapporre figure e colori, creare nuove metodologie espressive utilizzando tagli prospettici e punti di vista inediti.
L'altro lato del rapporto fra arte e pubblicità, può essere visto in Tolouse Lautrec analizzando il suo iter di produzione che viene adesso ad arricchirsi dell'utilizzo di tecniche di stampa acquisite dal mondo pubblicitario e che gli permettono di moltiplicare i suoi elaborati artistici, aprendogli così la strada al mercato, in cui emblema della modernità, la diffusione delle immagini (in questo caso le sue) avviene secondo metodi commerciali e presuppone una sua capacità organizzativa e distributiva. Il concetto appena accennato, avrà ulteriori sviluppi nel periodo della pop-art e dopo in cui gli artisti si soffermeranno molto su questo tema. Dopo il periodo d'oro del manifesto, in cui artisti di calibro elevato fra i quali Pierre Bonnard, Eduard Manet, e altri famosi, avviene con l'opera di Leonetto Cappiello, illustratore italiano, consistente nel manifesto per il cioccolato Knaus, una rottura che Grazioli definisce "divorzio" fra arte e pubblicità; il manifesto in questione segna, infatti, la nascita dell'elemento della riconoscibilità, dove anche se non vi è nessuna attinenza con il prodotto, l'immagine grafica funge da suo indicatore, nasce cioè il manifesto-marchio, fulmineo e memorabile prototipo del più tardo logotipo.
Comincia allora il periodo in cui le pubblicità non hanno più l'ambizione fortemente estetica delle prime create da famosi artisti, si privilegia adesso lo stile spoglio, diretto, la semplicità delle forme ed i fondi uniti che permettono all'osservatore la massima leggibilità; la priorità data all'efficacia, alla chiarezza, alla comunicazione del prodotto ha dato alla pubblicità il suo linguaggio specifico che si sgancia dall'arte. Ormai nascono le prime agenzie strutturate, i pubblicitari si danno delle regole, vi sono i primi periodici specifici sul tema, non c'è più la dimensione intuitiva propria del processo artistico che punta più all'idea occasionale, la sua efficacia è ora misurata, la sua creazione organizzata.
Ecco che allora la pubblicità entra a far parte della rappresentazione dell'epoca contemporanea attraverso i collages e i papieres collés di Picasso e Braque espressione essi stessi del cambiamento in atto, in cui gli elementi della realtà vengono rappresentati attraverso un loro frammento che ne fa da referente. Mentre il cubismo analitico della prima fase scomponeva la figura disperdendone gli elementi strutturali in diversi piani visivi fino a rischiare la perdita di riconoscibilità del soggetto, adesso avviene una condensazione di segni non scomponibili ed immediatamente riconoscibili volta ad una volontà di rappresentazione della quotidianità com'è percepita nella vita comune, e cioè tramite spezzoni di paesaggi, di oggetti, di informazioni, tra le quali proprio i manifesti, che fluiscono davanti all'occhio di chi vive nella società moderna.
La pubblicità con le sue marche e i suoi prodotti entra in queste opere dapprima in forma dipinta e successivamente mentale quello dei cubisti che ancora oggi si ritrova in forme di espressione artistica che di volta in volta modificano i propri registri compositivi lasciando inalterato il concetto di base. La presenza della pubblicità si ritrova nelle opere di moltissimi artisti dei più grandi movimenti storici fra i quali Dadaismo, Bauhaus, Costruttivismo, Futurismo dalle cui avanguardie artistiche vengono prodotti nuovi metodi espressivi, i quali a loro volta rifluiscono nelle creazioni dei pubblicitari che ne utilizzano gli stili come basi grafiche per la creazione di manifesti.
Di volta in volta celebrativo o contrariato, il rapporto dell'arte e dei suoi movimenti nei confronti della pubblicità cambia al mutare delle condizioni sociali, in cui ad esempio nel caso del Dadaismo, vi è da parte dell'avanguardia il rifiuto del paradigma comunicativo proprio del messaggio pubblicitario e lo stravolgimento del significato dello stesso attraverso la manipolazione dei suoi stessi registri espressivi. Troviamo chiaramente quest’atteggiamento in un'esponente del movimento suddetto che, da personaggio piuttosto indecifrabile e non accomunabile interamente a nessuna corrente artistica o di pensiero, è stato comunque presente nella cerchia dei dadaisti con i quali ha collaborato nelle performance del Cabaret Voltaire, soprattutto in qualità di musicista e paroliere. Si tratta di Erik Satie, personaggio piuttosto sfuggevole quanto pienamente riconoscibile nella sua persona attraverso gesti come quello di indossare sempre il solito vestito acquistato in diversi esemplari come un attore da commedia teatrale; Satie musicista e personaggio dell'avanguardia utilizza la pubblicità in modo ironico e distruttivo, annullandone a volte gli scopi attraverso la composizione di messaggi negativi" come quelli che apparivano nelle migliaia di biglietti trovati nella sua casa dopo la morte, in cui proponeva la vendita di proprietà immobiliari ("terribile e brutale castello genere gotico in ghisa") o di centinaia di altri oggetti inesistenti, tra cui i famosi territori ignoti (“Nuova Africa, Plutonia") ed altri soggetti assurdi.
Vi è evidentemente nel caso di Satie, una volontà di beffare quello che è l'obbiettivo della pubblicità nelle sue diverse forme, ovvero un tentativo di attirare l'attenzione su oggetti e prodotti spesso decantati con lodi quali bellezza, funzionalità, ecc. che vengono virati in negativo in questo caso, sconvolgendone il significato ed ottenendo un effetto contrario a quello normalmente ricercato dalla pubblicità; nella sua attività anti-pubblicitaria, rientrano anche le celebri "lettere di scomunica" che egli spedì a diversi personaggi in vista dell'alta società parigina del periodo, scuotendo in tal modo l'opinione pubblica. Egli stesso agisce, in ogni caso, con degli atti che possono essere giudicati quali forme pubblicitarie per incrementare la sua notorietà, e fa questo anche con espedienti tra i quali la sua firma che è rappresentata spesso da una sorta di marchio o logotipo composto dalle iniziali del proprio nome elaborate in stile giapponesizzante", cosa che secondo alcuni critici deve essere vista in funzione delle sue preoccupazioni "mediatiche" (O. Volt in E. Grazioli, 2001 ) .
L'attività dei dadaisti si distingue comunque per la particolarità di questo modo d'agire in cui, anche attraverso le performances al Cabaret Voltaire, locale di attraverso trovate che spesso sfociano nella volgarità estrema e in risse chiassose (peraltro metodi di acquisizione di notorietà) in cui vi è un affronto alla società e a tutti coloro che ne seguono le linee direttrici nel comportamento. A ciò potremmo ricollegare, con un grande salto in avanti fino al contemporaneo, un'altra azione di mutamento del significato dei messaggi pubblicitari attraverso la loro manipolazione in senso negativo, quella portata avanti da militanti dell'attivismo antiglobalizzatore; uno dei maggiori esponenti di questo movimento, l'artista newyorchese Jorge Rodriguez de Gerada, lavora da anni sulla privazione dello spazio pubblico da parte dei cartelloni pubblicitari. Tramite azioni in cui strappa brandelli di manifesti egli, dice, vuole riportare in superficie ciò che c'era prima che le multinazionali cominciassero a bombardare i quartieri con le immagini di mondi impossibili per i ragazzi del ghetto che sentono l'esigenza di uscire dalla situazione in cui sono per correre all'inseguimento di quei paradisi da comprare.
Riconquistare quindi lo spazio che gli è stato sottratto e dove i pubblicitari immettono flussi d’immagini a senso unico, alle quali il cittadino non può rispondere per motivi di mancanza di denaro e che non ha chiesto di poter vedere. In effetti, come abbiamo già analizzato, gli Stati Uniti vivono una condizione di tale libertà per le aziende nel poter comunicare attraverso la pubblicità, che quasi le istituzioni vere sembrano essersi ritirate per lasciare spazio alla dominazione di quei colossi dell'industria la cui comunicazione crea cultura. Queste interferenze culturali (N. Klein, 2001) si servono degli stessi canali attraverso i quali, i proprietari delle grandi ditte produttrici che detengono il potere monetario per imporre tali messaggi, raggiungono la moltitudine del pubblico con intento persuasivo; ai livelli più alti di tali organizzazioni, non si tratta semplicemente di produrre delle parodie dei messaggi pubblicitari, bensì entrare nel sistema comunicativo delle aziende ed immettervi i propri contromessaggi. L'attacco si sviluppa quindi su diversi livelli, cioè agisce sia a livello finanziario in quanto è la ditta che ha pagato per il cartellone o messaggio pubblicitario, sia a livello del simbolo veicolato, dato che questi "hacker" (pirati) agiscono sul marchio dell'azienda modificandone il significato e distruggendo o indebolendo quindi tutti gli sforzi da questa intrapresi per attribuirgli un significato.
Il concetto di base del détournement come deviazione intesa quale estrapolazione di immagini, messaggi, oggetti dal loro contesto originario per creare un nuovo significato, ha radici oltre che nel Dadaismo anche nel Situazionismo e nel Concettualismo dove mire degli attivisti erano all'epoca, il mondo dell'arte e la passività del pubblico di fronte ad esso oltre che la società capitalista con la sua rigidità ed il suo conformismo; all'epoca le aziende non si rivelavano ancora granché interessanti quali obbiettivi da destabilizzare.
Nell'opuscolo intitolato Jamming Culture: Hacking, Slashing and Sniping in the Empire of the Sign, l'autore Mark Dery definisce l'interferenza culturale come una combinazione eclettica di teatro e attivismo, tutto ciò che combina arte, media, parodia ed atteggiamento da osservatore esterno. Le azioni di pirateria si attivano attraverso la modificazione di alcuni cartelloni pubblicitari che va dal ritocco tramite tecniche di computer grafica, cioè le stesse utilizzate dai creatori dei cartelli, in modo da far sembrare l'annuncio realmente uscito con quella composizione utilizzandone quindi la stessa estetica adottata dall'agenzia pubblicitaria che lo produce, alla modificazione di esso attraverso l'uso di colori e vernici applicati con bombolette spray al fine di apporre messaggi didascalici che ne distruggano il senso e che rivelino cosa succede in profondità, dietro la facciata di queste megaditte.
I graffiti fatti con vernici spray, sono considerati messaggi contradditori rispetto a quello che è espresso nel cartellone, mentre i manifesti manipolati graficamente, s’integrano nel proprio bersaglio e sono legittimati dall'annuncio stesso.
Esempi di queste attività ci vengono riportati da Naomi Klein (2001) la quale cita fra gli altri la campagna pubblicitaria di cartelloni della Apple Computer, i quali raffiguravano diversi personaggi famosi del presente e del passato accanto allo slogan "Think Different", che è stata modificata dagli attivisti interferentisti (in inglese culture jammers) in maniera piuttosto semplice con la sostituzione delle fotografie con quelle di altri personaggi tra cui ad esempio quella di Stalin affiancata dallo slogan alterato che recita "Think Really Different", oppure la stessa col Dalai Lama e lo slogan "Think Disillusioned". Ciò che spinge ulteriormente il diffondersi di queste culture jammers in tutto il mondo, è senz'altro la tecnologia oltre che i tradizionali mezzi di comunicazione, ad esempio, comunicano fra loro tramite riviste "underground" e siti internet, come quello forse più famoso che è Adbusters attivo già da diversi anni, sia su supporti cartacei sia appunto in rete; qui si possono trovare diversi esempi di opere già compiute e spiegazioni della filosofia dei gruppi attivisti, nonché la possibilità di scaricare immagini modificate di loghi e pubblicità direttamente sul proprio computer, in modo da poter diffondere così l'ideologia attraverso anche dei simboli come possono essere appunto le immagini modificate.
Adbusters, come accennato, lavora sulla scena dell'interferenza culturale già dal 1989 dove ha esordito con la rivista omonima; in seguito ha esteso la propria attività a quello che forse è oggi il mezzo più potente per colpire chirurgicamente i bersagli attraverso strategie fra le quali vi è addirittura la possibilità di entrare nelle banche dati e nei siti aziendali di queste multinazionali e modificarne l'interfaccia ed i contenuti, rivoltandone l'immagine e portando a galla ciò che di negativo vi sta dietro. A di là di questi movimenti antipubblicitari, che si basano perlopiù su ragioni politiche e sociali, ci sono e ci sono stati artisti che della pubblicità hanno colto il lato positivo; nel periodo pop la tendenza è stata quella di evitare di opporsi al sistema pubblicitario, ma, proprio per la sua qualità "pop" quindi popolare, ne ha copiato i metodi ed è entrata in competizione con essa. In alcuni casi vi è una semplice operazione di appropriazione di soggetti di campagne pubblicitarie, come in Roy Lichtenstein che nel suo Ragazza con la palla del 1961, si appropria della figurazione che era apparsa in una pubblicità per una stazione sciistica nel New York Times in quel periodo;
Semplice furto d'immagine in questo caso, dove successivamente l'artista appone i propri metodi di lavoro e ne modifica così la stesura dei colori, che rende piatti come quelli dei fumetti (altro campo dal quale è solito prendere spunti) e la linea del disegno che rende più semplificata. L'opera di Lichtenstein pone più risalto alla tecnica, che come nella maggior parte dei suoi elaborati si basa sulla ripetizione del puntinato tipico della stampa tipografica, ma elaborato manualmente prelevato da materiale d'uso e consumo piuttosto veloci come un giornale, unica ed irripetibile come tutte le creazioni eseguite a mano.
Vi è quindi una poetica che si discosta cedenza, Lichtenstein pone solo in evidenza ciò che ci circonda, e quindi vi è un rapporto di "uno a uno" (E. Grazioli, 2001) dove l'oggetto rappresentato non assume altre valenze oltre la propria tanto è vero che le opere portano lo stesso nome dell'oggetto in esse raffigurato.
Altro artista del quale è impossibile non citare eppure un'opera parlando di pubblicità, è Andy Warhol, del quale a proposito di tale rapporto tra le due discipline vi è talmente tanto da analizzare che è impossibile in questo caso; mi limiterò quindi ad osservare un aspetto di una delle sue opere che ne sottolinea la particolarità proprio a proposito di arte pura ed arte applicata. L'opera in questione è l'installazione con le Scatole di Brillo alla Stable Gallery di New York nell'aprile 1964; qui Warhol aveva disposto un'enorme quantità di confezioni del detersivo Brillo, da lui riprodotte in serigrafia su scatole di compensato impilate l'una sull'altra e disposte in modo che fosse difficile passarvi attraverso. Questa "indiscernibilità" dei prodotti di Warhol dagli originali delle scatole di sapone, fa emergere la questione di quale sia allora la vera opera, dove stia il motivo ultimo per cui possa essere considerata tale.
La risposta è, come sempre, in ogni opinione anche in quelle contrarie a considerarla un'opera d'arte, vi è quindi un processo d’interrogazione dell'osservatore il quale è l'unico a darsi una risposta. Importante è quindi il tema della ripetizione che qui è duplice nel senso di riproduzione della scatola da parte dell'artista e riproduzione in serie di tanti pezzi, critica questa che Warhol rivolge verso il sistema americano in cui i prodotti sono spesso tutti uguali e sempre uguali grazie al processo industriale. Ma il filosofo Arthur Danto vede in quest'operazione anche un altro tipo di rapporto fra pubblicità ed arte, quello del "trasbordo" fra arte applicata ed arte pura, dove Warhol opera questo attraversamento di frontiera fra arte alta (high) e triviale (low) utilizzando un'immagine (la grafica della scatola Brillo) che era stata progettata da un designer "artista espressionista mancato" che si era lanciato nell'arte commerciale e dove veniva pagato a ore per quello che produceva.
"Warhol fece l'arte a partire da una scatola che il suo designer aveva separato dall'arte" [A. Danto in E. Grazioli 2001], con questa definizione il filosofo gli artisti del passato, tra cui Lautrec, Bonnard e Manet, avevano effettuato in senso inverso, cioè dall'arte alla pubblicità. E' proprio in questo senso che si muovono i creativi pubblicitari del gruppo "Over Ad'Art" che significa "Arte sulla pubblicità" e di cui fanno parte personaggi del mondo artistico e pubblicitario. Partendo dai due concetti di che cos'è l'arte e cos'è la comunicazione e passando quindi dalle similitudini fra le due e gli confinamenti di una nell'altra e viceversa, il gruppo O.A.A. ha posto interrogativi a chi fa ed a chi subisce la pubblicità nel senso che la situazione contemporanea della pubblicità è piuttosto scadente, o meglio comunica attraverso metodi impacchettati e stereotipi che subiamo in continuazione ed accettiamo come facenti parte del nostro universo immaginario.
"C'è un punto debole nel sistema di comunicazioni dominante di cui l'artista produttore di immagini pubblicitarie può approfittare, è questo un meccanismo tanto evoluto e complesso quanto precario e vulnerabile per una sua fondamentale natura poiché fa leva sull'acquisizione acritica del messaggio e sulla ricerca del consenso attraverso l'impiego di simboli, sigle e forme espressive già acquisiti dal ricevente" (Over Ad' Art, Milano, 1996).
Con queste parole i creativi dell'O.A.A., sporgono una sorta di denuncia a quel modo di fare pubblicità in modo antiartistico; vi è una cattiva informazione alla base veicolata da cattivi strumenti quali sono i messaggi ingannevoli, ciò che il gruppo si propone è di sovrapporsi quali creativi e scombinare il sistema di riferimenti noti, del senso dell'iconografia dominante modificando il significato dei significati in modo da costringere i fruitori a riacquistare il proprio senso critico e obbligarli a leggere i messaggi pubblicitari senza adagiarsi sul giudizio precostituito. La sperimentazione in materia è il principio della loro poetica che riallacciano al lavoro dei Concettualisti i quali hanno lavorato principalmente appunto sulle idee.
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