Edvard Munch (1863-1944)
Biografia
Pittore nato il 12 Dicembre 1863 a Loten e morto a Oslo, allora chiamata Christiania, nel 1944; secondogenito di Christian Munch, medico dell’esercito appartenente ad una delle più note famiglie norvegesi, e Laura Catherine Bjolstad, bella donna, minata già a 22 anni dalla tubercolosi. Nel 1864 la famiglia si trasferisce a Oslo dove, in pochi anni, nascono ben cinque figli: ma l’ultimo nato sarà fatale alla madre che, nella settimana di Natale del 1868, muore lasciando dietro di sé un grandissimo dolore e un vuoto incolmabile. Sempre, Edvard serberà nel cuore la tragedia che visse in quel momento, anche se sarà proprio la zia materna, Karen, ad occuparsi della famiglia, rinunciando persino ad avere una vita propria. Il primo approccio di Edvard con l’arte avviene a sette anni, quando riproduce con grande realismo i movimenti incerti e goffi di alcune persone cieche, che ha visto per strada. Il padre appoggia subito l’inclinazione artistica dimostrata dal ragazzo, preoccupandosi, come sempre, di sviluppare gli interessi e la preparazione culturale dei figli. Purtroppo però i Munch non vivono nell’agiatezza e lui non riesce a frequentare assiduamente la scuola anche per motivi di salute. |
Quando ha 15 anni muore di tubercolosi l’amata sorella Sophie, un anno più grande di lui, e per egli è un altro grande dolore, da aggiungere ai lutti che costelleranno tutta la sua vita come le immagini ricorrenti delle morte e dell’angoscia che lo perseguiteranno sempre. Già a questa età si convince di essere un predestinato ad una vita di angoscia. La situazione familiare va peggiorando ed egli si sente felice solo quando dipinge e già nelle opere del 1878 si vede il piglio sicuro del grande artista tanto che egli scrive nell’80 "Sono adesso deciso a diventare pittore". Frequenta le lezioni di Krohg, il maggiore naturalista norvegese. Munch partecipa ad una mostra di giovani artisti nel 1884 con l’opera "Il Mattino" che viene definita però da un giornale "banale e di cattivo gusto". Nel frattempo frequenta la bohème cittadina (giovani progressisti intellettuali) dove svolge un ruolo di rilievo; nel 1885 va a Parigi e, seppur deluso, rimane influenzato dalla pittura impressionista.
Le sue opere del 1880-1885 vertono sul tema della caratterizzazione psicologica e sull’emozione che l’artista prova di fronte al mondo, e tutte in fondo risentono del naturalismo francese essendo anche definite dalla critica "eccessi dell’Impressionismo". Nel 1885-‘86 vi è la svolta: nell’opera "La Fanciulla Malata" esprime tutto il dramma vissuto da fanciullo, di fronte alla morte: l’angoscia, la desolazione, la quieta Disperazione di un giovane davanti al dissolversi della propria vita vengono messe in risalto da una tecnica pittorica velata, tremolante, sfumata nei contorni, quasi in dissoluzione, come la stessa vita. Neanche quest’opera viene capita, anzi, esposta, suscita proteste e sarcastici commenti ed egli viene definito ironicamente "Venditore di fumo". Egli reagirà dicendo: "La mia prima rottura con l’Impressionismo fu "La Fanciulla Malata": io cercavo l’espressione". |
Continua a dipingere e ad esporre i suoi quadri, divenendo dal 1886 il pittore norvegese più contestato mentre la critica continua a insultare le sue opere. Egli invece insiste, organizzandosi una personale ad Oslo che provoca scalpore e gli procura una certa notorietà tanto che poi ottiene una borsa di studio con la quale si reca a Parigi per iscriversi alla scuola di Leon Bonnat anche se in realtà desiderava scoprire gli ambienti artistici parigini. Nell’inverno un altro lutto: muore il padre. Lo shock e il senso di solitudine e di malinconia si esasperano ed egli scrive "E io vivo con i miei morti, mia madre, mia sorella, mio nonno, mio padre soprattutto…". Divenuto capofamiglia deve badare anche ai familiari adesso, e un incendio, che gli distrugge 5 quadri, è quasi una fortuna grazie al premio dell’assicurazione che lo aiuta economicamente.
Con una terza borsa di studio può studiare le tele di Gaugin, che certamente lo influenzano sulla creazione di un nuovo linguaggio simbolista e sintetista. Nel 1891 va a Nizza e tra il ’91 e il ’92 elabora molti dei temi de Il Fregio della Vita. Sono opere improntate a concezioni filosofiche e simboliche dell’esistenza, e in esse vuole rappresentare il destino dell’uomo e sublimare l’esistenza individuale in un più ampio disegno: esse sono il tentativo di Munch di dare risposte esistenziali a domande esistenziali sulla vita, l’amore, la morte. Munch ci disse: "La mia pittura è, in realtà, un esame di coscienza e un tentativo di comprendere i miei rapporti con l’esistenza. E’, dunque, una forma di egoismo, ma spero di riuscire grazie a lei, ad aiutare gli altri a vedere chiaro". Ancora: "Si può così esprimere tutto ciò che è talmente sottile da essere appena un’intuizione, un pensiero, una ricerca. Il Simbolismo dice di essere l’immagine della propria emozione".
n "Disperazione" egli elabora il tema principale della sua produzione che raggiungerà l’apice nel suo capolavoro "Il Grido"; così descrive l’esperienza che sta alla base del famoso quadro: "Camminavo sulla strada con due amici, il sole tramontava, sentii come una vampata di malinconia, il cielo divenne improvvisamente rosso sangue. Mi arrestai. Mi appoggiai al parapetto, stanco da morire…rimasi là, tremando d’angoscia e sentivo come un grande interminabile grido che attraversava la natura". Altre opere del 1892 sono "Sera sul viale Karl-Johan" e "Ritratto della sorella Inger". Sempre nel 1892 torna in Norvegia e organizza un’altra personale che suscita l’interesse di pittori giovani neoromantici, che vedono nella sua arte una rottura con la tradizione pittorica europea, sempre legata al concetto di imitazione della natura. Per essi la pittura di Munch è come una poesia, poiché, come la poesia, sa inventare una nuova realtà. |
Il 4 Ottobre 1892 esposto per la prima volta in ambito internazionale a Berlino, per le critiche ricevute, causa involontariamente la Secessione di Berlino in cui gli artisti che lo appoggiavano si staccano dall’Associazione artisti berlinesi per protestare contro la chiusura della mostra, procurandogli tra l’altro una notevole fama e la conoscenza di August Strindberg. Mentre la mostra passa a Dusseldorf e poi a Colonia, Munch firma un contratto con un mercante di quadri, riguardante non tanto la vendita delle tele, quanto la spartizione dell’incasso ricavato dalla vendita dei biglietti d’ingresso: il pubblico, infatti, accorre in massa a vedere le "opere dello scandalo". Il pittore affitta, in seguito, uno studio a Berlino, dove continua a dipingere quadri per "Il Fregio Della Vita". Nel 1893 espone, in un’altra mostra a Berlino, una serie di dipinti, 6 dei quali, forse i migliori, sono intitolati "Studio per una serie: l’amore". Di essi fanno parte alcuni dei suoi capolavori: "Il Bacio", "La Voce", "Il Vampiro", "Madonna", "Gelosia". Attraverso queste tele l’autore traccia le tappe dell’amore, dalla timidezza della pubertà fino alla maturità che porta inevitabilmente alla lotta, alla gelosia, alla separazione. |
Ma è "Il Grido" ad essere considerato il vero capolavoro di Munch, espressione della condizione angosciante dell’uomo moderno: e la figura in primo piano (lo stesso pittore) ben rappresenta l’universalità e l’essenza stessa della paura. L’angoscia e la drammaticità sono esaltate dal contrasto tra le linee trasversali della strada e quelle orizzontali del cielo rosso fuoco, che termina in una voragine di mare sulla destra. I colori, la forma, tutto suggerisce l’immagine di un’imminente catastrofe cosmica, di un annunciata apocalisse, metafora sconsolata dell’uomo moderno, solo e impotente in un universo nemico e vuoto senza più dei né sicurezze. In questo periodo dipinge anche la prima versione di "Separazione", "Sfinge", e nel 1894 si dedica anche alla litografia, mentre nel 1896 si reca di nuovo a Parigi. Approfondisce , intanto, i suoi studi, elaborando una filosofia organica dell’esistenza, in cui amore e morte diventano elementi di una eterna metamorfosi: nasce, così, l’importante, grande tela "Metabolismo". Anche se i critici continuano ad attaccarlo, definendo la sua arte violenta e brutale, ovunque il pittore suscita ormai un notevole interesse. |
Ora i suoi quadri abbandonano i temi individuali e autobiografici per esprimere le forze universali che regolano il destino degli uomini. A Oslo conosce Tulla Larsen, libera, bella, intelligente, assieme alla quale visita l’Italia, Firenze e Roma, ma il rapporto tra i due è difficile poiché Edvard si ritiene un malato a vita, un alcoolizzato psicopatico impossibilitato ad avere una vita normale con lei. Sicuramente preoccupante è ciò che scriveva in questo periodo: "Stanco, abbattuto, malato, disegnavo e cominciavo a bere sin dal mattino…"; e ancora: "..Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell’umanità: la tubercolosi e la malattia mentale. La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla".
Durante questo periodo ha dei contrasti con un amico pittore che sfociano in una scazzottata riportata dai giornali e il litigio con Tulla che segna la fine della loro relazione lasciandogli come ricordo il segno della revolverata nella mano sinistra. Si getta quindi nel lavoro e viaggia continuamente in Norvegia, Svizzera e in Germania. Nel 1906, a Weimar frequenta la sorella del filosofo Nietzsche e nei suoi quadri esprime a colori violenti la solita lotta dei sessi: la donna, potenza demoniaca e carnefice e l’uomo vittima. L’amore, del resto, è visto dall’artista solo come lotta e sofferenza, passione e gelosia, tensione e violenza. E la donna è sempre una specie di "femme fatale", una sorta di vampiro seducente tesa ad annullare l’uomo, imprigionandolo nella sua rete tentatrice.
Lo stato di continua tensione, le quotidiane ubriacature esplodono nel 1908 in una forte crisi nervosa: l’artista viene ricoverato in una clinica, dove rimane sei mesi. Nel 1910 acquista una tenuta a Hvisten, vicino a Oslo, e più tardi la tenuta Ekely dove trascorrerà i suoi ultimi giorni. Nel 1912 a Colonia gli viene dedicata un intera sala in un’importante mostra ed espone anche in America.
Nel 1922 affresca con un ciclo di dipinti la mensa della fabbrica di cioccolato Freia di Oslo. Nel 1930 il suo lavoro viene temporaneamente interrotto da una grave malattia agli occhi dalla quale si rimette successivamente ma viene contemporaneamente dichiarato artista degenerato dai nazisti e, nel 1937, 82 delle sue opere vengono sequestrate in Germania e rivendute in Norvegia. Nel suo quasi completo isolamento l’artista continua a dipingere: gli ultimi, bellissimi autoritratti gli servono per definire se stesso, mettere a fuoco finalmente la sua stessa persona, ultimo tentativo di una estenuante ricerca introspettica. Sono opere inquietanti, che ci mostrano un uomo solo, desolato, vinto, un uomo che vive come un fantasma rassegnato tra i fantasmi del passato e le ossessioni di una vita che mai è riuscito a cogliere nella sua pienezza, straniero a sé e agli altri, predestinato ad una eredità di dolore e di morte.
Munch muore il 23 Gennaio 1944 a ottant’anni. "Tutto ciò che ho da dare sono i miei quadri, senza di essi non sono nulla", scrive lasciando in testamento tutte le sue opere, una produzione di inestimabile valore, alla città di Oslo
Psicologia di Munch
Con una vita ossessionata da drammatici presentimenti di distruzione e sfacelo, Edvard Munch può oggi venire considerato il profeta di una nuova età dell'ansia che impregna ogni aspetto del vivere quotidiano. Alle figure della realtà esterna ed oggettiva, Munch oppone le immagini della sua tormentata visione interiore, sostituendo gli aspetti concreti del mondo con gli ossessionanti fantasmi che costellano la sua complessa intimità. Largamente influenzato da Nietzsche, Munch colse della sua filosofia gli elementi più stoici e fatalisti che divennero filtri della sua visione del mondo.
Cresciuto in ambiente modesto e puritano, sin dall'inizio Munch cova in sé un istinto ribelle che lo porterà nel 1885 ad osservare con distacco le novità impressioniste a Parigi. Ammirandone le alte qualità stilistiche, Munch rimane comunque chiuso nel suo mondo interiore, caratterizzato da un primitivo attaccamento alla sua naturale ruvidezza spontanea. Nonostante i colori sulla sua tavolozza vadano man mano schiarendosi, il taglio dell'immagine diventi più dinamico e le figure si slancino in primo piano, Munch continua a mantenere un gusto forte per la definizione, una grafica esplicita che racchiude e raffigura ogni cosa, sottolineandola ossessivamente per non permettere che qualcosa, il senso e il messaggio, a volte segreti e indecifrabili, nascosti nelle figure stesse, possano sfuggire o non apparire chiari e risolti.
Durante la sua residenza a Parigi, dal 1889 al 1892, il giovane Munch si avvicina a Pisarro, il più metodico tra gli impressionisti; ed è proprio in quel periodo che la tecnica dei pittori parigini, con quel accennare volante in punta di luce, quella leggerezza quasi estrema, con punte di vibralità, cominciano ad apparirgli frivoli ed elusivi, sinonimi d'insoddisfazione e di amarezza per qualcosa che va lentamente maturando nel pensiero europeo. Estremamente predisposto e affascinato dalla mitologia sentimentale, Munch sfuggì la limpida intelligenza di Cèzanne e Seurat, per trovare rifugio nell'intricato allegorismo di Gauguin.
In uno stato d'esaltata emozione, Munch comincia ad osservare il mondo e le figure che lo popolano, ed avverte che da esso, non più avvolto da luce serena, non più sereno né confidenziale, gli proviene un urto: un segnale misterioso e drammatico, quasi desolato, che riempie il pittore di sgomento e comincia a propagarsi intorno a lui come una densa cortina di fumo nero; e quel mondo, quelle figure e quegli oggetti, cominciano a riflettersi nella sua mente con una luce distorta e malata, confermando il pittore nelle sue predilezioni narrative di stati d'animo ed emozioni, di sogni visionari caratterizzati da una particolare violenza emotiva, tipica di quelle persone solitarie ed introverse che tendono a restare rifugiate nel bozzolo della loro timidezza. Immaginazioni contorte, ossessioni funebri ed erotiche, ed intricate fantasie trovano nella pittura di Munch un'espressione positiva, affidata al disegno e al colore che serrano in modo sempre più stretto il suo mondo interiore in una serie di immagini autentiche e persistenti: una volta create, divengono esse stesse matrici di ulteriori emozioni e di nuove figure sempre più contorte. L'uso costante di linee ondulate, armonicamente fluide e mobili, i colori accesi e infuocati o soffocati repentinamente da una brusca manciata di cenere, le sinuosità cromatiche, l'onnipresente spettro della violenza, ora impercettibile, ora un'esplosione violenta e diretta, quasi dolorosamente agghiacciante, sono gli elementi che Munch sfrutta per simboleggiare ed esternare il suo cedimento agli spettri dell'interiorità travolta da un senso sempre più vivo di crescente angoscia. E' dunque semplice capire come mai l'arte di Munch, simbolo evidente della sua emotività precaria e insana, sia andata oltre il mondo calmo e spirituale che stava fiorendo all'interno della maggior parte dell'arte latina, per andare invece a incidere maggiormente sulla torbida e pomposa sensibilità degli artisti tedeschi. |
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Dipinti come "La veglia funebre", o "L'urlo" con quell'uomo a bocca spalancata che con la sua angoscia sembra riempire l'universo, sono novità figurative in cui il forte contenuto psicologico si risolve in un elemento fuso e necessario dell'immagine lirica. Munch esprime con colori a volte forzati e composizioni solidamente costruite, emozioni umane come la gelosia, la paura e la solitudine; e anche quando il pittore passerà, dopo il 1920, a riportare nei suoi dipinti le impressioni ricevute dalla sua terra natale, descrivendone i paesaggi con uno schiarimento di colore e con una distensione di immagini, continuerà a farlo con struggente malinconia e tenerezza, quasi come se le impressioni stesse fossero malori incurabili e profondamente radicati in cupe dissolvenze nell'anima della natura.
Munch finirà poi, come Van Gogh, in una casa di cura; ma quel turbine eccitato che fu la sua mente, e il pessimismo innato che non lo abbandonò mai, trovarono un riscatto sul piano della poesia pittorica. Munch, umanista in senso esclusivo, escluse sempre l'inumano, il mondo oggettivo: i suoi interessi non furono mai rivolti all'oggetto fenomenico in sé, né tanto meno al mondo oggettuale. I suoi paesaggi, come "Notte bianca" e "Notte d'estate", non sono intimi come quelli di Kokoschka, ma rievocano lo stato d'animo di Munch più che qualsiasi realtà esterna.
Munch è stato il simbolo concreto della punta più estrema e drammatica dell'esperienza romantica, affondando sempre più nelle sue insistenze sentimentali e nelle sue stesse visioni, invece che tentare di estendersi per raggiungere i grandi ideali.
Proveniente dai margini più lontani del continente, egli visse durante uno dei periodo più agitati della cultura artistica e non, e insieme a Gauguin, Van Gogh ed Ensor, vi lasciò una profonda impronta indicandone la radice irritata.
Opere
L'Urlo (o il grido) Una delle opere più emblematiche e di maggior intensità espressiva di Edvard Munch è senz’altro "Il Grido". In questo intenso capolavoro l’esperienza emotiva si dilata in malessere universale e tutto concorre a manifestare questo dramma: il paesaggio del fiordo, il taglio diagonale e ascendente del ponte, la ringhiera che anziché difendere imprigiona, il tramonto insanguinato come un gorgo che risucchia il mondo, e infine la figura, strana creatura col volto da teschio, che grida e corre incontro allo spettatore. La scena ruota in maniera vorticosa attorno alla testa urlante che sta al centro, come se sprigionasse dall’angoscia e dall’emozione di quel grido, ma il volto della persona che urla è deformato caricaturalmente: gli occhi fissi e le guance scavate trasformano il volto in un teschio. Qualcosa di terribile sta avvenendo, ma non si riesce a individuarne la causa scatenante: ciò rende il quadro ancora più intrigante e allo stesso tempo sconvolgente. Ecco allora l’elemento che disorienta il pubblico: non tanto la deformazione della natura e la violenza fatta alla bellezza, ma lo scandalo che un artista “serio” abbruttisca il soggetto invece di idealizzarlo. Munch come tutti gli espressionisti sente così profondamente la sofferenza umana, la miseria, la violenza e la passione, da considerare poco onesta l’insistenza sull’armonia e la bellezza nell’arte. Affronta la cruda realtà dell’esistenza esprimendo compassione per i diseredati, trasformando l’opera in denuncia, scandalizzando e scuotendo l’atteggiamento benpensante e borghese.
Pubertà In Pubertà la nuvola scura che la ragazza proietta dietro di sé sul muro, allude sia alla perdita dell'innocenza che all'infelicità futura. Nuda in un ambiente nudo, seduta su un letto di cui non si vede inizio e fine, la ragazza guarda fisso in avanti con le braccia incrociate sul pube, e il gesto indica che il suo turbamento è legato alla scoperta della sessualità. A Munch non è necessario altro per esprimere l'associazione tra sesso e paura: un letto per dire un'esistenza che soggiace alle leggi incomprensibili dell'amore e della morte, un'ombra sul muro per indicare un conflitto psichico, una minaccia che non viene dall'esterno ma dal caotico desiderio del corpo. Si tratta per Munch di un brusco risveglio senza alcun incanto.
Madonna Riproposta dal 1893 in molte varianti come tutte le opere forti di Munch, tematizza il collegamento profondo tra piacere e dolore e tra nascita e morte. La donna è nuda e sembra fluttuare in uno spazio vago e fluido che suggerisce l'umidità dell'ambiente uterino, come anche la forma ellittica in cui essa appare racchiusa. La posa frontale, la prospettiva dal basso, il ventre inarcato in primo piano, l'espressione estatico/agonica del volto che appare fermato nel momento dell'orgasmo accentuano l'impressione che l'immagine della donna è quella colta dal punto di vista del partner sessuale, in modo che lo spettatore venga forzatamente portato a identificarsi con lui. Ecco che, mentre l'estasi amorosa evoca la morte, l'immagine della donna/amante si fonde alla donna/madre.
La Bambina Malata "Quando vidi la bambina malata per la prima volta, la testa pallida con i vividi capelli rossi contro il bianco cuscino, ebbi un'impressione che scomparve quando mi misi al lavoro. Ho ridipinto questo quadro molte volte durante l'anno, l'ho raschiato, l'ho diluito con la trementina, ho cercato parecchie volte di ritrovare la prima impressione, la pelle trasparente, pallida contro la tela, la bocca tremante, le mani tremanti. Avevo curato troppo al sedia e il bicchiere, ciò distraeva dalla testa. Guardando superficialmente il quadro vedevo soltanto il bicchiere e attorno. Dovevo levare tutto? No, serviva ad accentuare e dare profondità alla testa. Ho raschiato attorno a metà, ma ho lasciato della materia. Ho scoperto così che le mie ciglia partecipavano alla mia impressione. Le ho suggerite come delle ombre sul dipinto. In qualche modo la testa diventava il dipinto. Apparivano sottili linee orizzontali, periferie, con la testa al centro. Finalmente smisi, sfinito, avevo raggiunto la prima impressione". "Bambina malata" è il quadro decisivo, l matrice di quasi tutto quello che svilupperà in seguito. Potremmo addirittura ipotizzare che questo quadro è la ragione stessa della sua pittura, forse Munch è diventato pittore solo per dipingere l'agonia della sorella Sophie morta di tubercolosi a 15 anni. La sua memoria annoda quella morte al primo lutto, la perdita della madre quando lui aveva soltanto 5anni. Cinque versioni del dipinto: "Bambina malata" è l'opera inesausta, l'immagine-fantasma che ossessiona la memoria, e che dalla memoria stessa viene però sfaldata e resa inattingibile
Sera sul viale Karl Jhoan Bergen "Mi ritrovai sul Boulevard des Italiens, con le lampade elettriche bianche e i becchi a gas gialli, con migliaia di colti estranei che alla luce elettrica avevano l'aria di fantasmi". E più volte, come un incubo, ritorna la visione di una massa sonnambula e straniera. Adesso l'artista si identifica in quel viandante solitario che va controcorrente, mentre le sinistre finestre gialle gridano la loro minaccia e l'ombra scura dei cipressi ricorda il cuore dell'opera più famosa di Bocklin, L'Isola dei morti (1880)
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