Il disegno infantile: dimensioni cognitive, emotive ed artistiche

I disegni prodotti in età infantile sono stati considerati, per secoli, una forma mancata di espressione artistica. Le prime ricerche in ambito psicologico evidenziavano soprattutto le differenze tra disegno infantile e adulto, nel tentativo di trovare delle regole generali per spiegare l’evoluzione dell’abilità grafica.

Fra i primi studi in tale materia va sicuramente ricordato quello di Luquet (1913, 1927), secondo il quale, il bambino disegna con l’intenzione di rappresentare degli oggetti reali, e si fa guidare sia dalla sua percezione dell’oggetto, sia dalla rappresentazione interna dell’oggetto. Luquet distingue tre stadi, a cui corrispondono tre tipi di realismo:

Il lavoro di Luquet influenzò il pensiero di Piaget (1948), che ipotizzò un legame tra l’evoluzione del pensiero e l'evoluzione del grafismo. Secondo Piaget, lo sviluppo intellettivo procede secondo una sequenza di stadi, dipendenti dall’età cronologica. Per questo autore, il perfezionamento delle produzioni grafiche con l’avanzare dell’età, sempre più dettagliate, realistiche, proporzionate, procede di pari passo con la crescita intellettiva del bambino. Sulla scia delle teorie stadiali dello sviluppo intellettivo, si delinea un filone di ricerca che utilizza l’espressione grafica come modo per misurare la maturità intellettiva del bambino.

Nascono molti test per valutare l’intelligenza attraverso il disegno, tra cui le prove grafiche di Binet e Simon (1916), i test di Fay (1923), di Rey (1946), il test della figura umana di Goodenough (1926). L’uso del disegno come misura dell’intelligenza non sempre è considerato affidabile, soprattutto se calcolata sulla base di più disegni prodotti dallo stesso bambino, tra i quali ci può essere una certa variabilità. A partire dagli anni ’40 il disegno è stato utilizzato come possibile rivelatore della dimensione emotiva infantile.

Prendendo spunto dalle teorie di S. Freud, l’individuo disegnerebbe spinto da meccanismi difensivi, per cui attraverso l’attività grafica egli avrebbe modo di esprimere pulsioni libidiche e aggressive, in forma simbolica e accettabile dalla propria coscienza. Partendo da questa ipotesi, sono stati ideati numerosi test proiettivi, molti dei quali hanno per oggetto la rappresentazione di sé in relazione ad altri personaggi (quali il disegno della famiglia di Corman, 1967, il disegno della famiglia cinetica K-F-D di Burns e Kaufmann, 1972), altri test prendono in esame oggetti che possono essere interpretati come proiezione del sé (quali il test dell’albero di Koch, 1952, o il test della casa di Minkowska, 1948).

Esempio di Interpretazione Disegno della famiglia di Corman (Separazione dei genitori)

Disegno di un bambino soggetto alla saeparazione dei genitori

Separazione dei genitori riuscita

Il disegno è perfettamente simmetrico tanto che il foglio sembra essere stato diviso a metà; le figure sono tutte replicate: ci sono due macchine, due case, due uccellini due fiori e due nuvolette per lato.

I personaggi, disegnati di profilo, si guardano l’un l’altro con espressioni sorridenti.

Nel complesso il disegno sembra trasmettere armonia e gioia.

 

Separazione non riuscita

Il disegno esprime la sofferenza della separazione manifestata chiaramente nella spigolosa "montagna", anch’essa spaccata, che divide i quattro personaggi.

Il colore dominante è il rosso che abbinato alla angolosità del tracciato evidenzia una forte tensione familiare.

Le figure sono diametralmente opposte, non esiste alcun contatto tanto che per realizzare una certa comunicazione tra loro il bambino si è inventato le vignette.

da psicodiagnosi.com

Il disegno in psicologia clinica ha anche assunto un certo valore terapeutico, perché consente di rappresentare i propri vissuti ma anche di cambiare aspetti della vita reale e permette di rielaborare i meccanismi di difesa. In questo modo è possibile comprendere come un bambino si colloca nell’universo dei suoi affetti, usando una forma che per i bambini è preferibile rispetto alle parole, con le quali non ha ancora quella dimestichezza che hanno gli adulti.

L’uso del disegno in terapia, nonostante la grande utilità, presenta un elevato rischio di arbitrarietà, docuto alla mancanza di indici standardizzati che possano garantire interpretazioni univoche. Sin dai primi anni del ‘900 il disegno viene considerato come manifestazione dell’espressione artistica del bambino. Egli sarebbe spinto a disegnare per la soddisfazione che questa attività comporta, il piacere sarebbe di tipo sensoriale nei primi tempi, in seguito, con il perfezionamento delle abilità artistiche, il gradimento sarebbe anche di tipo estetico. Il soggetto da disegnare verrebbe scelto dal bambino in base alle sue preferenze individuali, ma comunque egli subisce una pressione sociale che lo inviterebbe a riprodurre delle rappresentazioni realistiche (Read, 1943).

Molti studi mettono in evidenza che i bambini hanno preferenze stilistiche personali già in età precoce, mentre i canoni di giudizio estetico sarebbero influenzati dal contesto sociale, come confermano ricerche sulla valutazione della bellezza di un disegno in differenti culture.

 

Il disegno infantile: L'immaginazione e la maturazione sociale (la figura del doppio)

Uno dei traguardi inerenti il percorso evolutivo di una persona è dato dal raggiungimento di adeguate capacità sociali. Questo implica il saper comunicare in modo adeguato con gli altri, esprimendo i propri pensieri ed emozioni, il sapere dare corretto significato alle altrui reazioni, il comportarsi in modo consono in relazione al contesto. Il bambino può essere aiutato in questo complesso compito dalla sua immaginazione.

Sembra infatti che circa un terzo della popolazione infantile abbia creato un personaggio immaginario con cui intrattenere delle relazioni privilegiate, che fungono da “allenamento” per acquisire capacità relazionali e sociali (T. Giani Gallino,1993). Il Doppio, ovvero il personaggio fantastico frutto della fantasia del bambino, nascerebbe dalla scoperta della propria ombra o dal rapporto instaurato con il peluche preferito.

Tra i tre e i cinque anni i bambini iniziano a notare l’ombra, a osservarne le proprietà, a giocarci e un po’ alla volta a trattarla come essere a sé stante. La capacità di ideare un amico immaginario si colloca ad un’età più elevata, attorno ai sei, otto anni. L’inventore di tale personaggio sa fare una distinzione tra realtà e finzione, è consapevole che il suo “Doppio” è frutto della fantasia, ma nonostante ciò, egli ne trae grande conforto. L’amico immaginario, qualunque forma esso assuma, è sempre disposto ad ascoltare il suo inventore, a confortarlo, ed è sempre presente. Non si offende se il bambino lo lascia solo, perché appena il suo inventore ne ha bisogno, egli torna ad essere disponibile. Inoltre, l’amico immaginario è un compagno di giochi e di avventure, può essere eroe in situazioni rischiose.

 

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A volte, è anche più semplice giocare con l’amico inventato che non con uno reale, in quanto al primo non è necessario spiegare le regole del gioco o litigare per delle incomprensioni. L’influenza che questo compagno fantasticato ha sul bambino è tale che, non solo il suo piccolo inventore gli attribuisce delle emozioni, ma è convinto che alcuni dei suoi stati d’animo siano determinati dal personaggio stesso.

La figura del “Doppio” è rilevante per lo sviluppo sociale del bambino, non solo perché gli fa compagnia, ma anche perché è dotato di una personalità tutta sua, che non rispecchia semplicemente quella del suo inventore. Il bambino attribuisce all’amico inventato delle caratteristiche che appartengono alle persone che lo circondano, come il padre, il fratello… in questo modo, nella relazione con il doppio il bambino può ritrovare non solo l’immagine che ha di sé stesso ma anche le opinioni che gli altri manifestano di lui.

L’Altro da sé diventa il rappresentante della società, almeno per come il bambino la conosce, formata dal nucleo di persone con cui egli entra in contatto. Il Doppio facilita l’ingresso nella società perché permette di provare delle relazioni durature e continuative, allenandosi prima con il personaggio fantasticato per poi intrattenerne con persone reali.  

 

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