Vincent van Gogh (1853-1890)
Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo 1853 da Theodorus van Gogh, pastore protestante, e da Anna Cornelia: primo di sei fratelli, dopo la morte del primogenito della famiglia, che portava il suo stesso nome, e che morì alla nascita esattamente un anno prima di lui; Vincent ricorderà sempre la tomba dietro casa, su cui trovava iscritto il suo stesso nome. Vincent ha un' infanzia turbata, anche a causa dell'apprensione dei genitori, e la sua vita è un cammino di insuccessi esistenziali e sociali. Nel 1857 nasce il fratello Theodorus, chiamato Theo, che avrà una grande importanza nella sua vita.
L'immagine del genio folle e sfortunato che avvolge una certa idea dell'arte e degli artisti, ha trovato in Van Gogh una delle incarnazioni più convincenti. La sua vita, tragica e breve, è stata trasformata in mito da una copiosa letteratura. È vero però che, figlio di un pastore protestante, con una madre portata per le lettere e le arti, cerca di realizzarsi, prima nella religione poi nella pittura, con una intensità dolorosa e violenta che arriva al parossismo. Dopo un'infanzia taciturna e sognatrice, deve mettersi a lavorare (1869) e trova un lavoro all'Aia, poi a Londra e a Parigi, presso un mercante d'arte che lo licenzia nel 1876.
Si sente chiamato a una missione più alta, ma anche più dura: si mette al servizio di un altro pastore di un quartiere popolare di Londra, poi, dopo essersi cimentato negli studi teologici, viene mandato nel Borinage come predicatore, presso una comunità di minatori. Spingendo la dedizione fino all'estremo sacrificio, raggiunge il fondo della sua crisi interiore e rinuncia all'incarico, disapprovato dalla Chiesa (1879). Rivolge allora tutte le sue energie al disegno, cercando attraverso ritratti e paesaggi di nature morte la verità sull'uomo e sulla sua condizione disperata.
Gli inizi, 1880-85 Comincia con fiducia il suo apprendistato di artista, aiutato finanziariamente e moralmente dal fratello Thèo (1857-91), con il quale intrattiene una corrispondenza eccezionale, sia per l'abbondanza sia perché rivela la sua sensibilità, i suoi pensieri, la sua esistenza e il suo modo di lavorare.
Oltre allo studio di raccolte di incisioni e di opere tecniche, copia le opere di Millet e ne riprende incessantemente i temi (il seminatore), acquisisce l'arte dei maestri fiamminghi e olandesi e le leggi della prospettiva, disegna in modo naturalistico (presso i suoi genitori, a Etten, nel 1881) paesaggi, strumenti agricoli, laboratori artigiani e ritratti. Questo ardore nel lavoro è dovuto a un crescente sconforto: dopo una crudele delusione sentimentale con sua cugina Kee, una violenta disputa con il padre (Natale 1881) e la sua partenza per L'Aia (dove un parente, il pittore Anton Mauve [1838-88], lo inizia alla pittura a olio), ha una relazione con una prostituta, da lui vista come incarnazione del declassamento che corrisponde alla sua volontà di rottura.
Passato il periodo dell'entusiasmo l'avventura termina, nel 1883, nella solitudine, nel cuore della selvaggia regione della Drenthe; poi, con l'avvicinarsi dell'inverno, a Nuenen presso i suoi genitori. Qui, riprende le sue letture, specialmente Zola, e il suo lavoro, con figure di contadini, con serie di scene con personaggi (tessitori ricurvi nella penombra sul loro telaio) e di nature morte. Le tematiche, le modalità di composizione, l'amore dei dettagli e dei volumi squadrati da luci violente indicano il suo ritrovare la lezione del realismo olandese ( Mangiatori di patate, 1885, Museo Van Gogh, Amsterdam). Ma presto, sotto l'influenza di Rembrandt, Hals, Delacroix, Chardin (che egli avvicina a Vermeer) e soprattutto di Rubens (scoperto ad Anversa nel 1885), per il giovane pittore il problema del colore diventa fondamentale: rischiara la sua tavolozza, addolcisce il suo stile e, contemporaneamente, privilegia il ritratto. A Parigi può, tuttavia, trovare, oltre alla presenza del fratello Thèo, che lo rassicura, un clima di fermento artistico che lo stimolerà in modo decisivo. Vi arriva, all'inizio del 1886, già libero dagli obblighi dall'apprendistato.
Parigi, 1886-87 Il soggiorno a Parigi, è quello delle scoperte: quando vengono pubblicati Les illuminations di Rimbaud e l'Oeuvre di Zola, gli impressionisti fanno nel 1886 la loro ultima esposizione (la Grande Jatte di Seurat è accanto alle tele di Signac, Pissarro, Redon, Degas, Gauguin, Guillaumin); l'anno seguente, l'opera di Millet è oggetto di una retrospettiva. È anche il momento degli incontri e delle amicizie fruttuose: nel laboratorio di Fernand Cormon (1845-1924), dove lavora in base a modelli viventi e a gessi, Vincent si lega a Toulouse-Lautrec, a Louis Anquetin (1861-1932) e a Emile Bernard (1868-1941). Con Pissarro impara le nuove idee sulla luce e il trattamento divisionista del colore. Tramite Thèo, conosce Gauguin, mentre tramite il pére Tanguy, la cui bottega di colori racchiude anche opere come quelle di Cézanne, si lega a Signac. In questo ambiente creativo, i mazzi di fiori ispirati da Adolphe Monticelli (1824-86) seguono presto gli studi accademici e i paesaggi passano dai marroni compatti e dai grigi vaporosi ai colori puri. Nelle vedute di Montmartre, così caratteristiche con le viuzze in pendenza, i riverberi e i mulini a vento, la vibrazione luminosa acquisita dall'impressionismo arricchisce la sensibilità grafica propria di Vincent (Montmartre, Stedelijk Museum, Amsterdam).
Con la tecnica divisionista, cerca il suo personale approccio al colore (Interno di ristorante, 1887, museo Kroller-Muller, Otterlo), e allo stesso tempo cerca nei sobborghi parigini e presso gli argini della Senna gli stessi motivi di Signac e di Emile Bernard. Abbandona a poco a poco la frammentazione impressionista e tende a semplificare la forma e il colore per concentrarsi meglio sull'unità strutturale della superficie e per mantenere la caratterizzazione espressiva degli oggetti (Natura morta con libri e gesso, 1887, Otterlo). In questa direzione, nella ricerca di uno stile veramente personale, l'influenza della stampa giapponese, tanto ammirata e copiata da Vincent, segna una tappa importante. Se ne ritrova la presenza nel ritratto del pére Tanguy (1887, Museo Rodin, Parigi), il cui sfondo è completamente tappezzato con queste stampe. Il ritratto, genere prediletto da Van Gogh, trova il suo profondo significato nei numerosi autoritratti, contemporaneamente analisi di se stesso e bilancio della sua arte (Museo nazionale Vincent van Gogh). In questo soggiorno parigino, fondato sulla fraternità senza contrasti tra Vincent e Thèo, il prossimo matrimonio di Thèo getta un'ombra di ambiguità. Vincent preferisce lasciare Parigi, trovando una scusa nell'attrazione che esercita su di lui la Provenza, già sognata attraverso le tele di Monticelli e di Cézanne, le opere di Zola e di Alphonse Daudet. Nel 1888 si stabilisce ad Arles.
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La Provenza, 1888-90 Affascinato dalla natura provenzale, Vincent ne sposa il ritmo e le stagioni nelle serie successive dei Frutteti (dipinti nel rosa e nel bianco), delle Mietiture (nei gialli aranciati) e dei Giardini (nei verdi). L'inverno scompare davanti al trionfo dell'estate: lo splendore del sole, la fascinazione violenta dei gialli costituiscono la scoperta fondamentale. In questo chiarore torrido del Mezzogiorno dove la realtà delle cose appare senza il velo atmosferico che altrove le avvolge, l'arte della stampa giapponese subisce una vera trasmutazione (Il ponte di Langlois, maggio 1888, Wallraf-Richartz Museum, Colonia e altre versioni). Gli stessi disegni, attraverso la loro eccezionale qualità pittorica arrivano con semplici elementi a trascrivere la trama della colorazione luminosa degli oggetti. La rapidità di esecuzione, che gli sembra indispensabile, richiede a Vincent una grande tensione che egli tiene alta - per «meditare il colpo» - con il caffé e l'alcool. Raggiunge presto un livello di sovraffaticamento che influirà pesantemente sulla crisi imminente. Ripone tutte le sue speranze nella «casa gialla» che ha affittato per creare l'associazione degli artisti che sogna fin dall'Olanda. Per mediazione di Thèo, invita Gauguin a stabilirsi con lui, ma la loro grande diversità, mirabilmente espressa nel contrasto tra La sedia di Van Gogh (con pipa) [Tate Gallery, Londra] e La sedia di Gauguin (con libri e candela) [Museo nazionale Vincent van Gogh] , sfocia nella notte di Natale del 1888 in un grave alterco. Sconvolto, Vincent si amputa il lobo dell'orecchio sinistro e lo offre a una prostituta che frequenta. Curato in ospedale, si ristabilisce e dipinge ancora parecchi quadri, come il suo Autoritratto del gennaio 1889, col capo bendato (1889, collezione Block, Chicago). Internato per un certo periodo in seguito a una petizione, attanagliato dall'angoscia e dalla solitudine all'annuncio del matrimonio del fratello, pensa al suicidio e preferisce farsi ospedalizzare lui stesso a Saint-Rèmy-de-Provence.
Il periodo di Arles rimase sotto la duplice influenza del blu e del giallo, cielo e terra sotto il sole dei precedenti Covoni (1885, Otterlo) o notte illuminata dalle stelle della Notte stellata sul Rodano (1888, collezione Moch, Parigi, che Vincent dipingerà con una corona di candele intorno al cappello), o ancora scene notturne dove le passioni umane si esprimono in ciò che hanno di più esasperato dallo sconforto (Caffé di notte, 1888, Yale University Art Gallery, New Haven). Il punto estremo di questa tensione e allo stesso tempo di questa ebbrezza è raggiunto nella serie dei Tornasole, trattati senza ombre né modellati, con gialli spinti al limite estremo: il pittore diviene colui che si avvicina al fuoco solare e che, in questo stesso modo, si brucia e si consuma. Come nei ritratti, dove i toni verdi creano una certa temperanza ( L'Arlesiana, Metropolitan Museum of Art, New York), il colore unito strettamente alla luce, incarna la presenza reale delle cose e il loro destino spirituale. Dopo l'arrivo di Vincent a Saint-Rèmy, nel 1889, la malattia, ma anche il carattere tormentato della Provenza delle Alpille e di Baux portano modifiche nel suo stile. Il tocco si fa più veemente e furioso e le ocre tendono a sostituire i colori di Arles, ancora presenti nella seconda bellissima versione della Notte stellata (Museum of Modern Art, New York).
Il lavoro di Van Gogh in ospedale dipende dal suo stato di salute e, a seconda che sia obbligato a rimanere in camera o autorizzato a uscire nella proprietà o anche ad andare a passeggiare, dipinge i cespugli di fiori del giardino, i campi scorti dalla finestra, gli ulivi e i cipressi della campagna circostante (Campo di grano con cipressi, National Gallery, Londra e altre versioni). Dopo la crisi che segue l'annuncio di una prossima nascita nella casa di Thèo, ricercando nel lavoro il «miglior rimedio alla malattia», esegue alcune copie in base a delle incisioni dei suoi maestri preferiti ( Pietà secondo Delacroix, Museo nazionale Vincent van Gogh). Nuovamente stroncato verso Natale, si raffigura nella Prigione (Il giro dei carcerati ) secondo Gustave Dorè (1890, Museo Puskin, Mosca). Vuole ancora sperare e credere in una ripresa quando nasce suo nipote Vincent (Rami di mandorlo in fiore, Museo nazionale Vincent van Gogh) e quando gli giungono buone notizie riguardo l'attenzione prestata alla sua opera (un articolo di Albert Aurier [1865-92] apparso nel «Mercure de France», su Vigneto rosso, la sola tela venduta quando è in vita, a Bruxelles). Ma quando i frutteti sono in fiore un altro incubo lo condanna all'inazione per due mesi.
Ritornato in sé (la Resurrezione di Lazzaro, secondo Rembrandt, dove si riconosce il suo viso livido, Museo nazionale Vincent van Gogh), chiede di lasciare l'ospizio. Su consiglio di Pissarro, Thèo pensa al suo trasferimento presso il dottor Gachet, medico e amatore d'arte stabilitosi a Auvers-sur-Oise. Saint-Rèmy, periodo di crisi acuta, resta segnato dagli ulivi e dai cipressi di cui le fiamme e le torsioni trascinano cielo, terra e astri nello stesso movimento: Van Gogh è ossessionato da «le forme convulse e contorte, [...] un universo di tumulto e di tempesta nel quale si proiettano i suoi tormenti, come se le forze motrici del suo essere, inibite dalla malattia e dall'internamento, scoppiassero bruscamente in liberazioni angosciate» (Jean Leymarie). L'intensità non si concentra più nel colore, ma nel movimento delle forme, mentre un'armonia smorzata dai grigi e dalle ocre conferisce una risonanza tragica a tele come Il parco dell'asilo Saint-Paul (Saint-Rèmy 1889, Folkwang Museum, Essen).
Auvers-sur-Oise, 1890 Dopo un breve soggiorno a Parigi per rivedere Thèo, Vincent raggiunge Auvers-sur-Oise nel maggio 1890. Alloggia nella modesta pensione del Cafè Ravoux, frequenta il dottor Gachet, che lo invita e posa per lui. Appassionato di incisioni e amico degli artisti, Paul Ferdinand Gachet (detto Paul van Rijssel, 1828-1909), ha saputo attirare artisti come Cézanne, Guillaumin e Pissarro. L'ambiente e il clima fanno dimenticare a Vincent le sue recenti crisi e ritrova piena fiducia. Riprende i suoi temi rurali, con i campi, i giardini, le stoppie, le vedute del villaggio (La chiesa d'Auvers , museo del Louvre) in toni lattiginosi, verdi, viola e blu scuro. Disponendo di nuovi modelli ridà importanza ai ritratti.
Una certa tensione si sviluppa fra Thèo e Vincent. E quando Thèo, di salute malferma, vuole condurre suo figlio convalescente e la moglie in Olanda, Vincent si sente abbandonato. L'artista esprime la sua tristezza e la sua estrema solitudine in immense distese di grano sotto dei cieli minacciosi, come Corvi sul grano (Museo nazionale Vincent van Gogh), la sua ultima tela. Domenica 27 luglio 1880, si avvia nei campi e si spara un colpo di pistola al petto, ma il colpo non lo uccide. Ritorna nella sua camera, dove viene trovato insanguinato. Sopravvive ancora due giorni, poi muore nella notte del 29 luglio, di una morte voluta in tutta coscienza. Senza entrare nelle diverse ipotesi mediche emesse sulla malattia di Van Gogh e che nascondono spesso l'essenziale, si può vedere nella sua opera l'intensa lotta condotta da un individuo contro un mondo che lo rifiuta, una società che produce, con l'industrializzazione e le sue conseguenze sociali conflittuali, l'asservimento e la distruzione dell'uomo. Chi altro poteva parlare meglio di Van Gogh, delle sue spaventose crisi di angoscia e della soffocazione umana, se non Antonin Artaud (Van Gogh , il suicida della società [ Van Gogh, le suicidè de l a sociètè ]). Distinguendosi dai freddi specialisti, Artaud ha saputo affermare che «un giorno la pittura di Van Gogh armata di calore e di buona salute ritornerà per gettare all'aria la polvere di un mondo oppresso che il suo cuore non poteva più sopportare».
Pochi mesi dopo, il 25 gennaio 1891, muore, ricoverato in clinica psichiatrica, anche il fratello Théo. Solo molti anni dopo la sua morte la famiglia si decise ad ammettere che Théo era affetto da sifilide, al cui decorso sono da ricollegarsi i deliri e le allucinazioni che perseguitarono gli ultimi anni di vita di Théo
Psicologia Vincent van Gogh (1853-1890) è considerato oggi “il pittore malato” per eccellenza.
La natura della sua malattia, che si manifestò prima dei trent’anni, è stata oggetto di numerose ricostruzioni e interpretazioni diagnostiche, fondate soprattutto sulle numerose lettere che van Gogh stesso scrisse al fratello Theo.
Ampia è la letteratura riguardante le cause delle sua malattia, le quali suscitano ancora oggi grande interesse [Arnold, 1992; 2004; Blumer, 2002; van Meekeren, 2000; Strik, 1997; Meissner, 1994; Lemke, 1993; Rahe, 1990; 1992].
Nel momento in cui le sue crisi, caratterizzate soprattutto da allucinazioni e attacchi di tipo epilettico, si manifestavano, l’artista “cadeva” in uno stato di profonda depressione, ansietà e confusione mentale, tanto da renderlo totalmente incapace di lavorare.
Dapprima si pensò che si trattasse di epilessia, ma questa ipotesi rimane solo in parte convincente in quanto non è provato che van Gogh soffrisse dei sintomi che caratterizzano il “grande male” (convulsioni di tipo motorio, tonico-cloniche), tanto meno delle manifestazioni proprie del “piccolo male”.
Questa prima ipotesi diagnostica, d’altro canto, fu probabilmente formulata non in base ai sintomi che distinguevano la sua malattia, ma da ciò che van Gogh disse di sé: “…sono un pazzo o un epilettico”.
Sulla base, soprattutto, delle allucinazioni di cui soffriva e in seguito ad un episodio di paranoia, nel quale fu tormentato dalla convinzione che i vicini lo volessero avvelenare, Jasper ipotizzò che l’artista potesse essere schizofrenico, ma anche questa supposizione pare soddisfare solo in parte i criteri che rientrano nel quadro della schizofrenia.
Un’ ulteriore trattazione è quella proposta da Arnold (1992), il quale riscontra nei sintomi dichiarati dal pittore una somiglianza con quelli propri di una rara malattia eridataria: la porfiria acuta intermittente.
Questa patologia si manifesta in età adulta con attacchi improvvisi, intervallati da periodi di benessere; disturbi gastro-intestinali gravi, neuriti periferiche, disturbi psichiatrici con allucinazioni ne caratterizzano il quadro sintomatologico, nonché quello proprio della malattia di van Gogh.
È noto inoltre che, come numerosi artisti dell’epoca (Manet, Degas, Toulouse-Lautrec), anche van Gogh facesse uso di una bevanda alcolica decisamente tossica ma assai in voga nella Francia di quel periodo: l’assenzio.
Questo liquore dal colore verde intenso, che diviene giallo se allungato con acqua, si ricava dalla pianta Artemisia absinthium e contiene, oltre all’alcol, alcuni olii essenziali molto tossici, dagli effetti dannosi sul sistema nervoso, come il tuione in grado di provocare allucinazioni visive ed attacchi epilettici.
Quindi, come sostengono numerosi studiosi [Holstege et. al., 2002; Berggren, 1997; Bonkovsky et al., 1992; Arnold, 1988] l’uso di assenzio e di altre bevande alcoliche, associato ad una cattiva o scarsa nutrizione devono aver aggravato i sintomi della sua malattia.
Il pittore Paul Signac, amico di van Gogh, raccontò un episodio che sottolinea l’ultimo periodo della vita del grande pittore:“Tutto il giorno mi aveva parlato di pittura, letteratura, socialismo. A sera era un po’ stanco. […] Voleva bere d’un colpo un litro di essenza di trementina, che si trovava sul tavolo della camera”.
Un anno prima della sua morte van Gogh, dopo una violenta discussione con il pittore amico Gauguin, si recise l’orecchio sinistro per poi regalarlo ad una prostituta. Un suo autoritratto testimonia l’episodio di automutilazione che contrassegnò la sua malattia.
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Immagini totali: 10 | Ultimo aggiornamento: 08/04/08 20.58 | Generato da JAlbum & Chameleon | Aiuto |
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