Quando lo psicoanalista crea e l’artista analizza


“Per la psicoanalisi, risolvere un conflitto o dare un senso a degli avvenimenti equivale a creare”. (Brenot, 1999)

Il seguente articolo nasce da un’idea e un interessamento personale sempre nutrito nei confronti del mondo dell’arte e della personalità dell’artista. Ho avuto l’opportunità di osservare da vicino questo “particolare mondo” e, contemporaneamente occuparmi di psicologia e intraprenderne lo studio. Il pensiero è quello di approfondire la conoscenza di queste due realtà, solo apparentemente così diverse.

Il confronto che mi capita di fare quotidianamente osservando, si è trasformato in una forte curiosità di sapere e di studiare se quanto immagino può essere almeno minimamente possibile. E’ cominciata così la riflessione: nonostante l’apparente differenza tra arte come estetica e “superficialità” e, psicologia come “profondità” dell’anima, è possibile trovare qualcosa che leghi le due professioni? E ancora: alla base delle motivazioni e percorsi di vita di entrambe le personalità si possono riscontrare basi comuni?

Da dove, da cosa o da chi trae spunto quella personalità così “strana” come quella dell’analista per scegliere di vivere analizzando gli altri? Cosa o chi spinge un uomo a divenire “uomo” creativo per affascinare con la sua arte il pubblico?

 

Vignetta Psicologo Help


Attraverso lo studio di questo argomento ho cercato delle risposte, a volte riuscendoci e altre volte trovando nuovi interrogativi e curiosità sulla mia strada. Rudolf Arnheim nell’introduzione a un suo libro afferma che, psicologia ed arte non appaiono facilmente relazionabili perché il contatto tra i due campi è troppo lieve. Egli sostiene che uno psicologo difficilmente sarà anche un artista e troppi artisti continuano a guardare con sospetto gli psicologi, pensando che essi si occupino solo di scoprire i complessi personali. Solo un contatto più intimo tra le due discipline, afferma l’autore, potrà offrire utili informazioni cha potranno contribuire alla comprensione della mente umana.

Dopo Arnheim gli studi su questo argomento sono aumentati e sempre più la psicoanalisi è stata studiata anche per comprendere meglio il mondo dell’arte. Si parla molto di creazione artistica, ci si sofferma più sul prodotto, il quale risulta come un insieme di complicate attività psichiche; io vorrei spostare, invece l’attenzione più sull’uomo in quanto creatore, visto come personalità unica a prescindere dall’opera e, vorrei sottolineare la scelta così coraggiosa di voler, per il resto della vita, creare.

Ogni artista si muove da sé e per sé, per urgenze e richiami propri, per ispirazione personale. In lui agiscono forze, aspirazioni, pensieri, sentimenti che, diversi da quelli comuni, lo muovono verso l’arte. L’esterno, la storia e la vita offrono l’occasione dalla quale tanta energia è sollecitata a diventare espressione a manifestarsi. ù


Da ciò risulta chiaro che la psicologia della personalità, non può assolutamente trascurare questi apporti fondamentali. Il confronto che ho in mente racchiude, sia l’analisi della relazione esistente tra l’attività artistica e quella analitica, che la valutazione delle caratteristiche e motivazioni emerse da entrambe le personalità, rapportato tutto ad un confronto più diretto.


Antonio Di Benedetto in relazione al lavoro psicoanalitico sostiene che, la creazione artistica è in sintonia con il mondo intrapsichico ed emotivo dell’uomo. L’autore evidenzia la similitudine della fruizione dell’opera d’arte con l’ascolto del paziente per il terapeuta, nonché la comunanza dei processi creativi dell’artista e dell’analista.

Le modalità di comunicazione di entrambi sembrano affondare le loro radici in una matrice comune che è il linguaggio pre-verbale.
L’artista, in effetti, dà la possibilità di cogliere l’inaudito, il non visto e il non detto, mentre lo psicoanalista, affinando la sua recettività estetica, costruisce storie, immagini e discorsi che offrono alla mente del paziente la possibilità di ascoltare, vedere e dar voce a parti di sé non esplorate.

Un’analogia forte sembra esistere anche tra l’espressione creativa e il sogno. Se per Freud, infatti, la creazione artistica è una riconciliazione del principio di piacere con il principio di realtà, per Bion, l’arte insieme al sogno rappresentano la capacità della mente umana a crearsi, a formare se stessa nel momento in cui costruisce fantasticamente gli elementi da poter pensare. Le forme artistiche, come quelle oniriche, vengono viste, allora, come possibili organi percettivi del mondo interno.L’artista non sa tutto quello che dice con la sua opera, così come il sognatore non sa tutto quello che dice con i suoi sogni. Saranno altri a continuare il discorso iniziato da un sogno o da un’opera d’arte ed eventualmente a renderlo più esplicito.


Arte e psicoanalisi condividono, quindi, l’area del non visto e del non detto, come confine del pensiero nascente, nonché una comunanza di “strumenti” conoscitivi basati su forme oniriche, quindi pre-logiche.
I tre linguaggi principali dell’attività artistica (visivo, musicale, verbale) possono corrispondere ai tre segni privilegiati della psicoanalisi: il sogno (immagine), il pre-verbale (suono) e il discorso verbale (parola). Entrambe le professioni presentano caratteristiche costruttive e sociali, per la loro capacità di ispirare nuovi significati, nuovi “mondi possibili” e nella loro capacità di trasformare, tradurre, far evolvere emozioni, vissuti,immagini e narrazioni.
L’opera d’arte, allora sembra possedere in sé le leggi dell’inconscio e offre il piacere della sua contemplazione.
Essa porta in sé un processo organizzativo grazie al quale alcune esperienze inconsce diventano riconoscibili, pertanto toccano il punto in cui si attiva la capacità di simbolizzazione dove prendono forme fatti mentali e parole.
La stessa modalità si ritrova nell’approccio terapeutico in quanto ad un processo introspettivo consegue la creazione di sé e la generazione di nuovi pensieri ed emozioni.

Georges Braque introduce un altro aspetto: “l’arte è fatta per turbare, la scienza per rassicurare” ciò significa che, il messaggio artistico è concepito in modo da non essere assunto passivamente ma per sollecitare e guardarci dentro.
Il “perturbante estetico” in quanto non familiare, ci espone a un momento di destrutturazione emotiva e cognitiva.
Come in un quadro di Picasso, Guernica, dove “il brutto perde il suo aspetto minaccioso e ottiene il diritto d’asilo nel campo dell’estetica” per la valenza del messaggio emotivo che induce nel fruitore. L’arte deve sapere esprimere, difatti, il carico di dolore e di angoscia del mondo reale, dove il bello e il brutto sono in costante dialettica e producono cambiamenti originati da un caos primordiale ricco di potenzialità. Grazie alla forma della rappresentazione estetica, il mostruoso e l’inguardabile diventa mostrabile e degno di ammirazione come nel processo terapeutico il contattare le zone d’ombra permette di riappropriarsi delle parti “brutte” come parti integrante di noi permettendoci anche di amarle.

 

Guernica_ Pablo Picasso

 

L’opera d’arte, allora, contiene in sé un potere trasformativo che evidenzia la capacità dell’artista a stabilire una distanza rispetto alla mostruosità. Con le stesse modalità, l’immaginazione e il sogno permettono di non rimanere pietrificati dall’orrore di guardare le mostruosità interiori creando uno schermo affinché, la realtà angosciosa possa essere conosciuta e protetta. L’attenuare la paura dell’impatto con una realtà sconosciuta permette di esorcizzare il terrore del nuovo e promuovela capacità creativa del pensiero.


L’elaborato artistico è dotato di un eccezionale fascino perché riesce a trasferirci in un “altrove” immaginario, dove sembra possibile “l’appagamento allucinatorio del desiderio”.
Difatti, pur essendo sostanzialmente una finzione, un qualcosa cioè che simula il mondo esterno, si carica di un enorme potere rappresentativo, nel senso proprio di “stare al posto di” oggetti reali, di cui non si può disporre come si vorrebbe.
Ciò succede anche nell’interpretazione analitica quando questa riesce a integrare in sé la parola espressiva e, finisce per comprendere un altrove che prima non c’era.

Un altro elemento che accomuna la comunicazione artistica con il lavoro psicoanalitico è “la parola poetica, che non solo esprime il mondo di colui che parla ma che “fa” anche qualcos’altro nel mondo di colui che ascolta”. Il poeta, come l’analista, ha il compito di descrivere verbalmente qualcosa che va al di là del linguaggio.


L’obiettivo della poesia è di rigenerare il linguaggio attraverso il potere evocativo della musicalità delle parole e di invitare il fruitore ad innescare idee ed a cercare nelle risonanze emotive della propria anima. L’opera del poeta compie un viaggio da “dentro di sé a dentro l’altro” per attivare un dialogo con il fruitore e rendere percettibile qualcosa di inedito, di mai percepito e di “non-nato” psichicamente, come il lavoro del terapeuta tenta di dare luogo ad un pensiero che ancora non esiste nella mente del paziente..
L’analisi, infatti, impone uno speciale tipo di attenzione accordata al linguaggio e all’invenzione di uno nuovo; in particolare rivela una fondamentale considerazione per le parole che non giocano solo un ruolo accessorio ma, rientrano nello sfruttamento della loro potenziali risorse di esecuzione, di suggerimento e di evocazione.

La parola psicoanalitica, come quella artistica, stimola non solo le facoltà introspettive, ma innesca anche un processo produttivo nella mente di chi la riceve. Così come il simbolo artistico produce emozioni, la parola psicoanalitica produce capacità trasformative. Entrambe organizzano qualcosa di vero e di nuovo che prima non esisteva.


Per tradizione lo psicoanalista è “sradicato” rispetto ad altre figure, come il medico o lo scienziato e spesso rappresenta una presenza inquietante e/o carismatica, come quella di un mago. Gli artisti sembra debbano affrontare la stessa sorte.
Infatti: “Gli antichi consideravano i pittori un po’ stregoni, un destino condiviso dagli psicoanalisti, sballottati nei margini della medicina e accomunati con gli antenati sciamani”.
Eppure “questa emarginazione precipita e poi risale, come la magia dei colori, nei veri maestri della pittura e, seduce i sentimenti della persona. Il colore ha la forza di poter nasconde e rimarcare la maschera nei nostri contatti con l’ambiente e gli altri, fa da bersaglio sulle pulsioni, cattura, irrita, eccita in risonanza con i nostri conflitti, con le zone segrete della personalità”.
Attraverso il colore emerge così il mondo dell’inconscio.

 

Tavolozza del Segantini

 

Come gli sciamani e guaritori, gli psicoanalisti e gli artisti sono state figure “marginali” in ambito sociale fino a un po’ di tempo fa, riconosciuti come “mali” necessari e, dunque, isolati ed evitati. Ancora oggi molti, nei loro confronti, provano una combinazione di timore e rispetto, avversione e coinvolgimento, attrazione e repulsione, sono costretti a una forzata separazione dalla comunità, incapaci di partecipare pienamente alle normali attività della maggioranza e investiti del compito di soddisfare i bisogni di una minoranza sofferente. In gran parte dei casi lavorano da soli, lottando contro nemici invisibili con l’ausilio di cure e di forze che agiscono solo dall’interno. Lo sciamano vive ai “margini” del villaggio e il suo è un isolamento fisico ed emotivo; ha pochi amici e ricopre ilsuo “ruolo” ventiquattro ore su ventiquattro, per una intera vita.

In maniera del tutto simile, lo psicoanalista e l’artista, vivono un isolamento fisico e psichico che si riflette, poi sui rapporti sia professionali che personali. C’è cioè una sorta di chiusura verso il mondo esterno, il paziente diventa l’universo dell’analista, così come l’opera d’arte il punto focale dell’artista.
Idealizzati da alcuni e ingiustamente criticati da altri, ricoprono nella società un ruolo importante seppur spesso poco compreso.
Il loro lavoro si occupa del reale e dell’immaginario, del mondo visibile e di quello latente e, una sorta di eccentricità li isola dal mondo comune e quotidiano della maggioranza.

 

Sciamano guarani in preghiera (Survival)


L’arte e la psicoanalisi condividono, sicuramente, una forte esperienza emotiva.
Analizzando le varie biografie, sia di artisti che psicoanalisti, si è potuto constatare un sentimento comune nei riguardi del gruppo dei pari, soprattutto durante il periodo dell’adolescenza; un sentimento che si può definire di emarginazione. Si è notato una rilevante esposizione alla solitudine e, in molti casi non è bastato, né il consenso, né l’ascolto del pubblico per lenire da tale sofferenza. Una sorta di chiusura nei confronti del mondo esterno che potrebbe dipendere, sia da caratteristiche caratteriali quali una spiccata sensibilità e una forte tendenza all’individualismo, evidente in entrambe le personalità, che da eventi esterni particolari, come lutti, gravi abbandoni e traumi; o anche da forti sensi di inferiorità dovuti a handicap fisici.


Appaiono, dunque entrambi, degli introversi, che non giocano con gli altri bambini o con i classici giocattoli, sembrano un po’ “stralunati”, come se vivessero in un mondo parallelo, al di fuori della realtà. Non esternano quanto provano e, con il passar del tempo, ciò provoca l’apertura di un varco, per non impazzire erischiare di “scoppiare”, un varco che offre come via di salvezza: colore, musica, poesia, o ricerca di una relazione che li faccia “sprofondare” nella “profondità” della psiche.

L’alternativa alla “follia”, potrebbe allora essere creare, trasformare, interpretare, rinnovare non solo per l’artista, ma anche per lo psicoanalista.. Le sofferenze e le ferite affrontate durante il particolare periodo dell’infanzia e dell’adolescenza sembrano essere il sale e l’imput per questo tipo di professioni. Naturalmente, chi, non affronta o non ha mai affrontato delle situazioni spiacevoli, quali lutti, sofferenze e dolori? Parlando di artisti e analisti, però, si discute, in questo caso, sul diverso modo e sulle diverse strategie messe in atto da queste personalità un po’ particolari e fuori dal comune, di affrontare alcuni “ostacoli” della vita.

 

Bambina Malata - Edgar Munch

 

C’è chi, di fronte ad un evento traumatico, dimentica e preferisce “andare avanti”, c’è chi si ammala, chi cerca di comprendere, chi di rimuovere, e c’è, invece, chi “sceglie”, inconsciamente o no, un lavoro che rielabori ogni giorno un pezzettino di tale “trauma”; un lavoro che faccia rivivere di continuo la situazione originaria neltentativo di renderla più sopportabile.
L’artista sembra rivivere, infatti durante tutto il percorso di creazione di un’opera d’arte, una serie di ferite e sofferenze ancora vive dentro di sé, un percorso difficile che culmina con l’adempimento dell’opera.
Il risultato è di esprimere in questo modo l’interiorità, un’interiorità che, se anche è tormentata, è proprio quella che permette di creare. Da ciò ne deriva un rapporto simbiotico nei confronti delle proprie opere, trattandole addirittura come gli unici veri figli.

L’analista in modo simile affronta, in ogni seduta e storia diversa, la propria interiorità, costituita da quellaferita che gli permette di comprendere, andare avanti e affrontare anche i propri fantasmi. Instaura un rapporto coni propri pazienti, simile a come fa l’artista con le proprie opere. La scelta di tali professioni, allora, potrebbe avere come motivazione un forte bisogno di riparazione, di apertura e una ricerca continua di risposte. Ecco allora che inevitabilmente riaffiora un’altra caratteristica presente sia nell’artista che nell’analista e cioè il forte senso di curiosità nei confronti di tutto ciò che li circonda: osservare per poi rielaborare.

Dicendo che il mondo interiore di queste personalità sembra costituito da ferite, sofferenze e dolori, non voglio assolutamente dire che sono persone negative o masochiste, (andrei contro me stessa!), al contrario, la scelta di lavorare rivivendo la propria interiorità è sintomo di una grande vitalità e attivismo che, spesso, può sfociare in un comportamento esuberante o stravagante.
Non si può non parlare, però, anche di una certa presunzione e senso di onnipotenza, tipico di colui che crea. La “Creazione” è opera di Dio e, l’artista e lo psicoanalista, a volte sembrano emulare questo atto, innalzandosi a creatura superiore; lo psicoanalista con la sua ambizione di potere e “bisogno di influire sugli altri” e l’artista creando con le proprie mani.

Concludendo: sia gli analisti che gli artisti, sembra non riescano a chiudere, nel quotidiano, quel conto personale che hanno aperto con l’inconscio; questo può essere ridotto, solamente, attraverso quel particolare confronto con i propri “demoni” interiori che si presentano durante questi due processi lavorativi, quello analitico e quellocreativo.

 

a cura di Graziella Ceccarelli

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