Biografia

Salvador Dalì

Dalí, Salvador (Figueras, Catalogna 1904-1989), pittore surrealista spagnolo. Formatosi alla Scuola di belle arti di Madrid, dopo il 1929 aderì al surrealismo. I quadri degli anni Trenta rappresentano immagini oniriche e oggetti d'uso quotidiano deformati, come i famosi orologi "sciolti" della Persistenza della memoria (1931, Museum of Modern Art, New York). Dal 1940 al 1948 visse negli Stati Uniti. Le opere successive al periodo americano, spesso di soggetto religioso, mostrano uno stile più classico (Crocifissione, 1954, Metropolitan Museum of Art, New York; L'Ultima Cena, 1955, National Gallery of Art, Washington). Tratto caratterizzante dell'arte di Dalí, oltre al disegno meticoloso e ai dettagli realistici, sono i colori brillanti, che risaltano grazie alle pennellate di vernice trasparente. Dalí fu genio versatile: firmò con il regista spagnolo Luis Buñuel due film, Un chien andalou (1929) e L'Âge d'or (1931); lavorò come illustratore di libri, disegnò gioielli e realizzò scenografie e costumi teatrali. Fu autore anche di sceneggiature per balletti e scrisse La vita segreta di Salvador Dalí (1942) e Diario di un genio (1965). 
" Il fatto che neppure io, mentre dipingo, capisca il significato dei miei quadri, non vuol dire ch'essi non ne abbiano alcuno: anzi, il loro significato è così profondo, complesso, coerente, involontario da sfuggire alla semplice analisi dell'intuizione logica ".

Ragazza alla finestra 

1925. Olio su cartone. (105x74,5 cm). Madrid, Museo Spagnolo d'Arte Contemporanea

Questo ritratto ha la caratteristica comune a molti ritratti dei maestri cui Dalì ha guardato da giovane: il quadro nel quadro, la finestra nel quadro. Ciò che affascina il quadro nel quadro non è tanto il fatto di porre la figura in un paesaggio, quanto quello di creare un ambiente, uno spazio limitato da tre pareti (quelle laterali e quella di fronte) nel quale si trova lo stesso autore e nel quale conduce l'osservatore, e su una delle pareti aprire una finestra che costituisce l'occasione per un nuovo "quadro", un nuovo paesaggio, nuovi colori, nuova luminosità. E' quello che ritroviamo anche in questo quadro, quadro giocato tutto sui toni azzurri: azzurre le pareti, azzurri gli infissi e la tenda, azzurri lo specchio del mare, la lingua di terra all'orizzonte, lo sfondo del cielo: i toni caldi sono riservati soltanto alla breve striscia del pavimento e al carnicino delle gambe. Il paesaggio costituisce la base, il fondamento della pittura di Dalì, soprattutto quello di Port Lligat, sul quale aprirà le scene surrealiste come quelle mistiche, con la sua luce trasparente e irreale.

L'Angelus di Gala 

1935. Olio su legno. (32,4x26,7 cm). New York, Museum of Modern Art

Composizione tradizionale, con una figura in primo piano di spalle e di fronte Gala, le mani raccolte in grembo, sotto una riproduzione di Millet, L'Angelus, illustrante appunto la preghiera di un uomo e di una donna accanto agli arnesi da lavoro, in un campo illuminato dagli ultimi raggi del sole. L'Angelus di Millet costituisce un elemento fondamentale nella formazione e nello sviluppo dell'arte di Dalì, per questo pone sulla testa di Gala, lievemente inclinata, la riproduzione del quadro. Ma, al di là dei significati erotici-paranoici, rimane evidente la ricerca della terza dimensione, secondo i sistemi classici della pittura rinascimentale, secondo quel "contrapposto" che vede una figura ritratta di spalle e di fronte in modo da renderne per intero la spazialità.

Il grande paranoico 

1936. Olio su tela. (62x62 cm). Rotterdam, Museo Boymans-van Beuningen

Un'altra immagine a "due sensi", realizzata soltanto attraverso la composizione di figure nude che si muovono in un paesaggio deserto. Tutta la scena, vista dall'alto, è occupata dal terreno color sabbia, a sinistra in ombra (terra d'ombra e terra di siena bruciata nella zona inferiore laddove entra in contatto con la luce del sole), a destra soleggiata (ocra d'oro), qua e là interrotta da buche poco profonde, segnate dall'ombra (terra d'ombra). Al centro, secondo una composizione vagamente circolare, si agitano figure umane, variamente atteggiate, illuminate dalla luce che proviene da sinistra e che ne proietta sul terreno le lunghe ombre. Due figure in particolare sono più importanti e più grandi delle altre: in primo piano, al centro della scena, una ha il volto coperto dal braccio destro, l'altra la testa poggiata sul braccio sinistro. E' questa la "lettura" del dipinto; ma subito ce n'è una seconda. Se ci allontaniamo, se socchiudiamo gli occhi, se non concentriamo l'attenzione sulle singole figure, quanto piuttosto sull'insieme e quindisul gioco delle ombre dei loro corpi, ecco prendere forma il volto di un vecchio, il grande paranoico.

La Madonna di Port Lligat 

1949. Olio su tela. (50x37,5 cm). Milwaukee, University Art Collection

La grande tela, una delle più famose di Dalì, inizia la serie di dipinti religiosi, annunciando l'inizio del periodo crepuscolare; l'immagine della Vergine che ha le sembianze di Gala, in parte invisibili, accoglie amorevolmente nel suo grembo il Bambino Gesù, lo sguardo chinato, le mani raccolte a proteggerlo. La composizione è organizzata attorno alla figura del Bambino Gesù, al centro del vuoto che si apre nel corpo della Madonna, sospeso su un cuscino, e nel cui petto si apre una piccola finestra sul cielo azzurro; mentre la figura stessa della Vergine-Gala è al centro di una struttura architettonica, come di un tabernacolo, ad arco, spezzata in sei parti, costruita secondo una perfetta prospettiva centrale. Le figure sembrano galleggiare nello spazio, in una luce irreale e senza tempo, nella resa accurata delle forme, delle pieghe, delle ombre, dei dettagli.

Giraffe Infuocate

1936/37. Olio su tavola. (35x27 cm). Basilea, Kunstmuseum

In primo piano una figura femminile, senza volto, sorretta da stampelle, dal cui seno e dalla cui gamba sinistra fuoriesce una serie di cassetti; in secondo piano, un'altra donna con un drappo rosso nella mano sollevata; sullo sfondo di una montagna lontana, un giraffa in fiamme. Anche quest'opera fa parte di quel gruppo eseguito tra il 1935 e il 1940 che intende esprimere "il pathos della guerra civile considerata come un fenomeno di storia naturale". Ma in più c'è la figura in primo piano della donna con cassetti. E anche in questo caso ascoltiamo lo stesso autore che, fervente ammiratore di freud, ha inteso rendere in immagini concrete le teorie psicoanalitiche di Freud spiegando "che sono delle specie di allegorie destinate ad illustrare una certa compiacenza, a fiutare gli innumerevoli odori narcisistici che emanano da ognuno dei nostri cassetti... L'unica differenza tra la Grecia immortale e l'epoca contemporanea è Sigmund Freud, il quale ha scoperto che il corpo umano, puramente neoplatonico all'epoca dei greci, è oggi pieno di cassetti segreti che solo la psicoanalisi è in grado di aprire".

Sogno causato da una puntura d'api... 

1944. Olio su tavola, (51x41 cm). Lugano, Collezione Thyssen

In questo dipinto Dalì riflette soltanto un sogno: un sogno dovuto alla puntura di un'ape che vola attorno al frutto di un melograno, un attimo prima del risveglio. Sembra logico, allora, nell'illogicità e nell'incoerenza di una simile pittura, che la protagonista sia lei, Gala, la donna dei sogni di Dalì, che dorme sospesa a mezz'aria su una specie di scoglio galleggiante sul mare, con accanto la melagrana, nello splendore di una luce trasparente, che la puntura di un'ape sia come la ferita di una baionetta, che dal frutto del melograno esca un enorme pesce, e dalla bocca spalancata di questi balzino verso il corpo morbido e sinuoso della donna due tigri, dalle forme flussuose, mentre, arrampicato sulle lunghissime zampe, si staglia lontana la figura di un elefante con un obelisco. 
Le simbologie in un quadro come questo possono essere queste o cento altre legate al significato del melograno, dell'ape, della tigre, dell'elefante, del mare...; tutte, in ogni caso, percorse da un profondo e acceso senso di erotismo. La caratteristica di questa come di quasi tutte le opere di Dalì è la mancanza di unità e di totalità. Alla base della composizione vi è la frantumazione delle immagini, come se un'esplosione avesse disgregato ogni cosa, ogni forma, suggerendo invece la presenza di fantasmi, sogni, incubi in uno spazio profondo e risonante, su cieli azzurri e paesaggi rocciosi antropomorfi.

Il gioco lugubre 

1929. Olio e collage su tela, (41x31 cm). Parigi, Collezione privata

Il titolo sta ad indicare il significato del dipinto, dove la genesi dell'evirazione e le reazioni contraddittorie indotte sono rappresentate con una straordinaria ricchezza e varietà d'espressioni, in un gioco di rimandi e di riflessi. L'atto dell'evirazione è espresso dalla figura il cui corpo è lacerato. La sfida da cui nasce l'azione cruenta è espressa nella figura protagonista, attraverso segni di virilità piuttosto infantili ed ironici (la testa di uccello, le forme tondeggianti, i cappelli maschili, l'ombrello colorato). Ma in realtà la causa antica e profonda che ha causato l'intervento punitivo e cruento è la vergognosa macchia del personaggio in mutande insanguinante rappresentato in basso a destra. Il quadro è articolato su tre piani, sviluppati verticalmente. 
In primo piano sono le due figure abbracciate con l'uomo che sembra ritrovare la sua virilità; al di là dei grossi gradini si articola il secondo piano in una successione fantastica di elementi che nascono dalla figura di base nel momento dell'evirazione, simboleggiata dalla parte superiore del corpo lacerata in una serie di episodi che si concludono con il profilo della testa che bacia una cavalletta. Al di sopra di questa esplodono oggetti simbolici, con forme tondeggianti, teste femminili e maschili, ombrelli, cappelli, conchiglie, quasi una dimostrazione ironica e provocatoria della ricerca volontaria della punizione. Sul fondo, infine, sulla sinistra, una statua di marmo si copre, quasi vergognandosi, il volto e tende la grande mano personificazione contraddittoria dell'insolita soddisfazione dovuta alla violenza, concludendo il gioco lugubre.

Composizione molle con fave bollite 

1936. Olio su tela. (100x99 cm). Filadelfia, Museum of Art

Composizione dominata dallo spazio del cielo che occupa per intero la tela: sul terreno soleggiato di scorcio, drammaticamente si agita, nella geometria delle articolazioni allungate delle braccia-gambe, una assurda figura che si concludenel volto ghignante, ripreso dal basso. Un'anatomia sconvolta e sconvolgente che Dalì studia attentamente in numerosi schizzi per rendere in tutto il suo orrore la figura che simboleggia i disastri della guerra. E' facile di fronte al titolo e al tema del dipinto pensare a Goya, cui Dalì ha guardato, e che riusciamo in parte a ritrovare soprattutto nei lineamenti stravolti del viso di questa figura. Qui il maestro spagnolo opera una specie di scomposizione, di dissezione anatomica e poi di ricomposizione creando un mostro ("il sonno della ragione genera mostri"). 
Due mani, una terra, contratta nella polvere, l'altra tesa in alto a stringere disperatamente un seno: le braccia formano un angolo, e sono collegate a una sorta di bacino che poggia su un piede allungato e scheletrico; l'altro piede poggia sopra, e la gamba si allunga e si piega su uno scorcio prospettico dal quale emerge il viso ghignante del tragico personaggio. Tutto l'insieme disegna una specie di quadrangolo ritagliato su un cielo, per contrasto, dai meravigliosi colori: in basso i toni sono giallo arancio, si trascolorano nei verdi acqua e negli azzurri per concludersi nel blu cobalto del cielo e, in alto a destra, nelle nuvole rosate.

Donna addormentata, cavallo, leoni...

1930. Olio su tela. (50x60 cm). Parigi, Collezione privata

Dalì non inventa "figure ambigue": ha piuttosto il merito di applicare il meccanismo della "doppia immagine" o dell'"oggetto invisibile" a veri e propri quadri sfruttando la possibilità delle figure ambigue. Opere nelle quali un'immagine acquista diverso significato a seconda di come la si guarda o meglio a seconda della preferenza dell'osservatore per una figura o per un'altra. Per Dalì l'ambivalenza delle figure non nasce tanto dal desiderio di curiosità quanto dalla volontà di dimostrare le differenti facce della realtà, l'incertezza, la mobilità, la vertigine ottica provocata dalla visione umana. 
Così, in questo dipinto, la percezione oscilla continuamente tra la figura di una donna addormentata riversa sul pavimento, accanto a una barca, un braccio attorno alla testa, e quella di un cavallo il cui muso è suggerito proprio dal braccio della donna e la criniera dai capelli, mentre la coda del cavallo diventa a sua volta l'immagine di un leone, in una successione di sovrapposizioni e di sostituzioni di immagini. Inoltre nel dipinto di Dalì le figure sdraiate sono slittate come in successione quasi a confermare l'illusione di una visione reale o immaginaria, alternativamente interscambiabili. E' lo stesso Dalì a suggerire la lettura e la spiegazione delle immagini: "L'immagine doppia (il cui esempio può essere quello dell'immagine del solo cavallo, che è nello stesso tempo l'immagine di una donna) può prolungarsi, continuando il processo paranoico, l'esistenza di un'altra idea ossessiva essendo allora sufficiente per fare apparire una terza immagine (l'immagine di un leone, per esempio) e così via, fino a confluire di un numero di immagini limitato unicamente dal grado di capacità paranoica del pensiero".

La nascita dei desideri liquidi

1932. Olio su tela. (95x112 cm). Venezia, Fondazione Peggy Guggenheim

La composizione è organizzata come una scena teatrale: sul breve palcoscenico si staglia la sagoma di una grande roccia a forma di violino, davanti alla quale si muovono quattro figure: un'altra grossa pietra è come sospesa sul lato destro in alto con la sua massa scura, sul cielo trasparente d'azzurro. Dalì riprende, trasformandoli nelle sue fantasie erotiche e paranoiche, molti temi dei grandi maestri della pittura che ha ammirato e studiato da ragazzo. Non stupisce allora che per questo dipinto il giovane Dalì guardi alla pittura di Bosch, uno dei precursori del mondo onirico e fantastico del surrealismo. In particolare il dipinto da cui Dalì riprende molti dei suoi motivi è Il giardino delle delizie che si trova al Prado.
Sono almeno due le figure che Dalì riprende dal celebre trittico: quella dell'uomo che si china nel grosso foro della pietra gialla a immergere la mano nelle acque blu d'una grotta, dove s'intravede un globo azzurro che riprende quello che costituisce la base della fontana della vita del Paradiso terrestre di Bosch; e quella della giovane donna che, sulla destra del quadro, attraverso una specie di lingua di roccia, versa dentro un catino il contenuto di una brocca. In ambedue i casi, quello di Dalì e quello di Bosch, i personaggi femminili hanno in comune la particolarità di evitare di guardare il mondo in faccia. I desideri liquidi sono quelli che si incarnano nell'uomo chinato nel blu della grotta, nelle scene erotiche visibili all'interno e all'esterno dell'apertura della grotta, nell'acqua che zampilla dai cassetti che sovrastano la roccia nera... e tutti quelli che ognuno può cercare o inventarsi nei mille particolari della scena...

Cigni che riflettono elefanti

1937. Olio su tela. (51x77 cm). Ginevra, Collezione privata

Un paesaggio roccioso che circonda uno stagno, al centro un isolotto con i tronchi contorti di alberi spogli, sullo sfondo di un cielo trasparente; sulle rive dell'isolotto dei cigni allungano il collo elegante e muovono le bianche ali. Il dipinto non sarebbe altro che uno scorcio di paesaggio caratterizzato dal contrasto fra una natura piuttosto selvaggia e l'eleganza dei cigni che animano la scena se non intervenisse la trovata delle figure ambivalenti, qui sfruttate per il loro riflesso sullo specchio dell'acqua. Allora, ancora una volta quello che a prima vista appare un quadro risolto nell'accordo dei bruni delle rocce e degli alberi e degli azzurri del cielo e del laghetto, diventa un ulteriore esempio del metodo paranoico-critico.
Non c'è solo il riflesso dei cigni, dei lunghi colli e delle ali che, come è facile immaginare, ribaltati diventano le proboscidi e larghe orecchie degli elefanti. C'è anche il contrasto violento tra la levità volatile, l'eleganza e lo slancio del collo, la morbidezza delle ali, e la pesantezza del pachiderma, la goffaggine, il carattere dell'animale. Un contrasto che sembra accentuarsi e prolungarsi nelle forme scheletriche e contorte dei rami degli alberi, mentre come al solito una serie di simboli curiosi popolano la tela: i fuochi accesi sulla collina di destra, la nuvola dalla strana forma nel cielo in alto a sinistra, l'uomo di profilo, con le mani sui fianchi, che sembra del tutto indifferente alla scena. Come al solito, restano all'osservatore ancora molte possibilità di interpretazione, di quella che spesso più che un'opera d'arte è una occasione di trompe-l'oeil, di illusione ottica, o di semplice gioco di immagini.

Sonno

1937. Olio su tela (51x78 cm). Collezione privata

In questa interpretazione fantastica del sonno, solo la testa del sognatore è visibile, inserita su uno sfondo di immagini oniriche. Il delicato equilibrio della figura indica che, dovesse cadere anche una sola delle stampelle, il sognatore si sveglierebbe. Ciò a indicare la fragilità della condizione del sonno. La meticolosa attenzione per il particolare crea una forte atmosfera iper-reale. In armonia con le teorie del movimento surrealista, a cui Dalì apparteneva, nella sua arte trionfano i concetti di assurdo e inconscio.

L'enigma senza fine

1938. Olio su tela. (114x146 cm). Collezione privata

Una composizione a fasce orizzontali per tre quarti colline e specchi d'acqua e in primo piano una tavola con una specie di natura morta, con uno strumento musicale e una coppa. Ancora una volta una composizione che affonda il suo fascino nell'attività paranoica-critica del pittore. Ma questa volta non c'è solo una doppia immagine: nascosti e suggeriti ci sono almeno sei oggetti differenti che Dalì, in un gioco "senza fine", riesce a far apparire e scomparire, secondo il grado di attenzione e di disponibilità dell'osservatore. 
La spiegazione dell'enigma non sembra aver fine, come dice il titolo: forse proprio per questo, sulla destra, come in volo, entra nella scena il volto di Gala con un turbante in testa, e con un occhio chiaro e acuto che sembra capace di risolvere ogni enigma. Sono sei le diverse possibili letture dell'opera: 1°- una testa poggiata sul braccio piegato. 2°- un levriero sdraiato sulla tavola in primo piano. 3°- un animale mitologico su parte delle colline di sfondo e sullo strumento musicale. 4°- nella coppa trasparente il volto del grande ciclope. 5°- la natura morta con un mandolino e con una fruttiera colma di frutti. 6°- ed infine, in piccolo, una donna di spalle accanto ad una barca.