Marchetti Gian Paolo , nasce a Ferrara il 28 Gennaio 1946.
Nel 1956 con la famiglia, si trasferisce a Rimini e qui
contemporaneamente alla scuola dell’obbligo, studia per tre anni disegno
artistico, studi che faranno nascere in lui un grande amore per l’arte.
Sempre per motivi di lavoro, nel 1962 la famiglia si sposta a Roma
dove vi rimarrà per tre anni. Pur non avendo ancora un impulso preciso a
dipingere, il giovane Gian Paolo s’interessa d’arte visitando
con una certa regolarità, mostre ed allestimenti pubblici e
privati, Roma offriva in questo senso grandi possibilità,
assorbendo e restando contaminato sia del classicismo che dell’arte moderna
.
Avrà modo di visitare, studiare le opere dei grandi maestri classici e delle
avanguardie del tempo, restandone contaminato in maniera irreversibile.
Ne nascerà un interesse tale, che le sue visite non si limiteranno
alla sola zona di Roma ma si recherà a Milano,Venezia, Firenze. Conoscerà
così le opere di Corpora, Afro, Vedova, Morlotti, Birolli, Scanavino, Burri,
Novelli, Capogrossi, Santomaso, Turcato.
Ritornato a Rimini, poi a Ferrara, completa gli studi tecnici, si sposa
ed assume un lavoro che poco ha a che fare con l’arte. Tutto ciò,
assopisce per alcuni anni la spinta artistica, fino ad arrivare alla metà
degli anni ’70 quando, l’amore per l’arte rifiorisce prepotentemente.
Per porre rimedio ai propri limiti tecnici, diventa allievo del pittore
Marcello Tassini e dello scultore Laerte Milani. Per circa un decennio
disegna, dipinge (la sua prima esposizione è del 1978, dove assume lo pseudonimo
di Marko) con uno stile che oscilla e rimbalza fra impressionismo ed espressionismo;
fino ad arrivare al 1985, anno nel quale ha inizio una vera e propria svolta,
con il ciclo che ha per tema:“ il Po “. La sua pittura, diventa sempre più
gestuale, le sciabolate di nero che, oggi caratterizzano i suoi lavori,
cominciano a fare la loro comparsa.
I colori complementari si affiancano esaltandosi a vicenda, in larghe campiture,
compaiono le sovrapposizioni di toni, i graffi ottenuti con spatolate nette
di colore. Questo suo nuovo modo di dipingere, prende maggior
vigore nel ciclo successivo ispirato all’opera di G. Leopardi.
L’aspetto figurativo è sempre meno visibile, sempre più sovrastato dal colore
padrone della scena, colore che ricerca sentimenti e passioni suggeriti
dai versi Leopardiani. Marko si rende conto della “metamorfosi” in atto
e quindi, decide d’assecondarla nella maniera più totale. Per sei
anni, dal 1995, si dedicherà a far si che il cambiamento si compia; in questo
periodo di studio e ricerca, non effettuerà alcuna esposizione.
Tutto ciò produrrà i lavori che oggi vediamo e che, lui stesso, considera
“ i lavori della maturità”.
Del figurativo non vi è più traccia, se escludiamo , quei ritratti che continuano
a chiedergli e che Lui, predilige da sempre eseguire a carboncino o a sanguigna.
“ Esercizio di disegno per mantenere una buona manualità”, così Marko definisce
questa sua attività ritrattistica.
Se vogliamo fare un riferimento stilistico, avere una collocazione storico/artistica,
una diretta discendenza guardando i lavori di Marko, viene spontaneo pensare
all’Informale Europeo degli anni ‘50/60 dello scorso secolo,
all’Espressionismo Astratto della New York School, all’Action Painting.
L’informale non si riconosceva ne in una corrente, ne in una moda ma, era
un momento di “Crisi delle scienze Europee”. Questo valeva per le più disparate
manifestazioni, sulla scia dell’Esistenzialismo e delle Teorie Fenomenologiche
; si pensi al segno/gesto alla macchia, all’elementare, al selvaggio, alla
materia che venivano messi in evidenza dall’Espressionismo Astratto, dall’Action
Painting.
Crisi delle scienze, che diedero origine a manifestazioni artistiche che
non poggiavano su linguaggi classici di “ estetica”, di “ storia dell’arte
“ ma, su una concezione trasgressiva che rifiutava ogni forma razionale
e che al contrario, poggiava e poggia ancor oggi, sulla spontaneità del
gesto, del grido irrazionale, emotivo, istintuale, in un tutt’uno fra conscio
ed inconscio, tra esistenza e coscienza, tra pensiero ed azione.
I lavori di Marko, sono il prosieguo di quelle pulsazioni,
sono il risultato d’equilibri psicologici e cromatici raggiunti,
dove l’immagine pur prendendo spunto dal vero, è pressoché astratta.
La stessa contiene raramente riferimenti “ formali “ ma al massimo, qualche
rimando fra conscio ed inconscio, piccolissimi riferimenti figurativi che
vanno ricercati all’interno delle larghe pennellate di rossi, neri, gialli,
azzurri esaltati da fondi trasparenti, chiari e luminosi.
Da alcuni anni Marko, ha abbandonato ogni altra attività per dedicarsi a
tempo pieno alla sua arte, ai suoi lavori , nella quiete del suo studio
nella campagna Vigaranese.
I Segni custodi delle pianure
di Gianni Cerioli
La scala di ferro che conduce al suo ordinatissimo
studio, diventa come un luogo di passaggio tra il mondo quotidiano e la
trasfigurata realtà dell'artista. Le opere che vi sono contenute
esaltano una dimensione dell’essere, decantata da ogni partenza
fenomenica, sempre viva e pulsante. Marko, infatti, alla sapida
presenza del mondo non ha mai rinunciato. Le modalità non figurative che
egli trasferisce nelle sue opere testimoniano la forza di una percezione
tenace e l’urgenza di una riflessione estetica sull’ambiente in cui
viviamo.
Consapevole del punto di vista con cui osservala realtà, il nostro
artista propone un suo modo di vivere ora ravvicinatissimo al soggetto
osservato ora del tutto slontanante. Micro e macro sono le polarità di
un approccio al mondo circostante. Chi guarda deve entrare nel suo
modo di vedere. Il verso con cui egli usa l’occhiale delle
visioni, deve essere colto attentamente dallo spettatore. La pittura può
sgranare totalmente le forme oppure aggregarle al centro del supporto in
una consistenza materica dura, quasi del tutto disidratata, mai
disanimata.
La pianura, che è il centro tematico ha connotazioni familiari e
stranianti al tempo stesso. Titoli come Due argini o Autunno
in pianura oppure Dall’argine di Casumaro evocano e
designano geografie pienamente rintracciabili o per nulla riconoscibili.
Tutte le didascalie che accompagnato le sue opere parlano di stagioni e
di piani diversi. Il gioco tra le linee orizzontali e quelle verticali e
il flusso tra un tempo anteriore ed uno presente costruiscono la
direzione sospesa delle sue forme, danno senso alle forme e significato
alle cromie.
Un intreccio di rami frastagliati sull’argine, attentamente osservato
durante una passeggiata solitaria lungo il Cavo Napoleonico, diventa la
ragione di un comporsi bellissimo di linee di forza, si fa trama
cromatica in cui ocra e il nero deflagrano sopra velature evanescenti
che coprono e svelano al contempo. Le sue opere diventano allora
istantanee della memoria in cui tonalismi di ascendenza veneta convivono
con le modalità di un espressionismo astratto in cui solo qualche
piccolo strappo di colore, lavorato alla prima, fa vibrare la
luce.
Sono proprio le cromie a definire gli equilibri sapienti tra vuoti e
pieni. I neri, i rossi, i gialli, i blu occupano il centro delle
visioni: sussurrano spazi o li fanno esplodere. Eppure le opere di Marko
non conoscono la terribile angoscia del dolore senza ragione, ma
propongono una ragionata meditazione di forze contrastanti. Vi è insomma
il senso di una dimensione cinetica di universi polimorfi che le nere
sciabole cercano di ricondurre ad un meditato rapporto tra l’uomo e il
cosmo.
Il nostro autore riconosce l’importanza dei maestri che gli sono stati
vicini nel momento della formazione: di Laerte Milani ricorda la
sapiente lezione dei vuoti e dei pieni mentre di Tassini resta
incancellabile l’insegnamento delle valenze del colore. Fuori
dell’ambito locale altri maestri hanno segnato una direzione importante
nella sua ricerca. I quadri di Afro, di Birolli, di Vedova, di Corpora
hanno segnato una tappa fondamentale per la creazione di una personale
cifra espressiva. I nomi di quegli artisti sono continuamente
richiamati, evocati. Il colloquio con le loro opere, iniziato in anni
giovanili non si è mai interrotto, ma sempre articolato e ripreso,
continua ancora.
L’occhio del visitatore trattiene le tracce e insegue le direzioni e le
proposte. Custodi delle pianure i suoi segni colgono allora il degrado
dell’ambiente e la dolcezza tonale del colore, l’infinito rincorrersi
dei piani e la continua metamorfosi delle nuvole tempestose.
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