Marko-Marchetti Gian Paolo

 


© 2006 / 2009 Marko

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Rassegna biografica

Marchetti Gian Paolo , nasce a Ferrara  il 28 Gennaio 1946.
Nel 1956  con la famiglia,  si trasferisce a Rimini e qui  contemporaneamente alla scuola dell’obbligo, studia per tre anni disegno artistico, studi che faranno nascere in lui un grande amore per l’arte.
Sempre per motivi di lavoro,  nel 1962 la famiglia si sposta a Roma dove vi rimarrà per tre anni. Pur non avendo ancora un impulso preciso a dipingere, il giovane Gian Paolo  s’interessa d’arte visitando  con una certa regolarità,  mostre  ed allestimenti pubblici e privati, Roma  offriva in  questo  senso grandi possibilità,  assorbendo e restando contaminato sia del classicismo che dell’arte moderna .
Avrà modo di visitare, studiare le opere dei grandi maestri classici e delle avanguardie del tempo, restandone contaminato in maniera irreversibile.
Ne nascerà un interesse tale, che le sue visite  non si limiteranno  alla sola  zona di Roma ma si recherà a Milano,Venezia, Firenze. Conoscerà così le opere di Corpora, Afro, Vedova, Morlotti, Birolli, Scanavino, Burri, Novelli, Capogrossi, Santomaso, Turcato.
Ritornato a Rimini, poi a Ferrara, completa gli studi tecnici, si sposa ed assume un lavoro che poco ha a che fare con l’arte.  Tutto ciò, assopisce per alcuni anni la spinta artistica, fino ad arrivare alla metà degli anni ’70 quando,  l’amore per l’arte rifiorisce prepotentemente.
Per porre rimedio ai propri limiti tecnici, diventa allievo del pittore Marcello Tassini e dello scultore Laerte Milani.  Per circa un decennio disegna, dipinge (la sua prima esposizione è del 1978, dove assume lo pseudonimo di Marko) con uno stile che oscilla e rimbalza fra impressionismo ed espressionismo; fino ad arrivare al 1985, anno nel quale ha inizio una vera e propria svolta, con il ciclo che ha per tema:“ il Po “. La sua pittura, diventa sempre più gestuale, le sciabolate di nero che, oggi caratterizzano i suoi lavori, cominciano a fare la loro comparsa.
I colori complementari si affiancano esaltandosi a vicenda, in larghe campiture, compaiono le sovrapposizioni di toni, i graffi ottenuti con spatolate nette di colore. Questo suo nuovo modo  di dipingere,  prende maggior vigore  nel ciclo successivo ispirato all’opera di G. Leopardi.
  L’aspetto figurativo è sempre meno visibile, sempre più sovrastato dal colore padrone della  scena, colore che ricerca sentimenti e passioni suggeriti dai versi Leopardiani. Marko si rende conto della “metamorfosi” in atto e quindi, decide d’assecondarla nella maniera più totale.  Per sei anni, dal 1995, si dedicherà a far si che il cambiamento si compia; in questo  periodo di  studio e ricerca,  non effettuerà alcuna esposizione. Tutto ciò produrrà i lavori che oggi vediamo e che, lui stesso, considera “ i lavori della maturità”.
Del figurativo non vi è più traccia, se escludiamo , quei ritratti che continuano a chiedergli e che Lui, predilige da sempre eseguire a carboncino o a sanguigna. “ Esercizio di disegno per mantenere una buona manualità”, così Marko definisce questa sua attività ritrattistica.
Se vogliamo fare un riferimento stilistico, avere una collocazione storico/artistica, una diretta discendenza guardando i lavori di Marko, viene spontaneo pensare all’Informale Europeo  degli anni  ‘50/60  dello scorso secolo, all’Espressionismo Astratto  della New York School, all’Action Painting.
L’informale non si riconosceva ne in una corrente, ne in una moda ma, era un momento di “Crisi delle scienze Europee”. Questo valeva per le più disparate manifestazioni, sulla scia dell’Esistenzialismo e delle Teorie Fenomenologiche ; si pensi al segno/gesto alla macchia, all’elementare, al selvaggio, alla materia che venivano messi in evidenza dall’Espressionismo Astratto, dall’Action Painting.
Crisi delle scienze, che diedero origine a manifestazioni artistiche che non poggiavano su linguaggi classici di “ estetica”, di “ storia dell’arte “ ma, su una concezione trasgressiva che rifiutava ogni forma razionale e che al contrario, poggiava e poggia ancor oggi, sulla spontaneità del gesto, del grido irrazionale, emotivo, istintuale, in un tutt’uno fra conscio ed inconscio, tra esistenza e coscienza, tra pensiero ed azione.
I lavori di Marko,  sono il prosieguo di quelle  pulsazioni,  sono il risultato d’equilibri psicologici e cromatici  raggiunti,  dove l’immagine pur prendendo spunto dal vero,  è pressoché astratta. La stessa contiene raramente riferimenti “ formali “ ma al massimo, qualche rimando fra conscio ed inconscio, piccolissimi riferimenti figurativi che vanno ricercati all’interno delle larghe pennellate di rossi, neri, gialli, azzurri esaltati da fondi trasparenti, chiari e luminosi.
Da alcuni anni Marko, ha abbandonato ogni altra attività per dedicarsi a tempo pieno alla sua arte, ai suoi lavori , nella quiete del suo studio nella campagna Vigaranese.

 

Saggio critico

I Segni custodi delle pianure

di Gianni Cerioli

La scala di ferro che conduce al suo ordinatissimo studio, diventa come un luogo di passaggio tra il mondo quotidiano e la trasfigurata realtà dell'artista. Le opere che vi sono contenute esaltano una dimensione dell’essere, decantata da ogni partenza fenomenica, sempre viva e  pulsante. Marko, infatti, alla sapida presenza del mondo non ha mai rinunciato. Le modalità non figurative che egli trasferisce nelle sue opere testimoniano la forza di una percezione tenace e l’urgenza di una riflessione estetica sull’ambiente in cui viviamo.
Consapevole del punto di vista con cui osservala realtà, il nostro artista propone un suo modo di vivere ora ravvicinatissimo al soggetto osservato ora del tutto slontanante. Micro e macro sono le polarità di un approccio al mondo circostante. Chi guarda deve entrare nel suo modo di vedere. Il verso con cui egli usa l’occhiale delle visioni, deve essere colto attentamente dallo spettatore. La pittura può sgranare totalmente le forme oppure aggregarle al centro del supporto in una consistenza materica dura, quasi del tutto disidratata, mai disanimata.
La pianura, che è il centro tematico ha connotazioni familiari e stranianti al tempo stesso. Titoli come Due argini o Autunno in pianura oppure Dall’argine di  Casumaro evocano e designano geografie pienamente rintracciabili o per nulla riconoscibili. Tutte le didascalie che accompagnato le sue opere parlano di stagioni e di piani diversi. Il gioco tra le linee orizzontali e quelle verticali e il flusso tra un tempo anteriore ed uno presente costruiscono la direzione sospesa delle sue forme, danno senso alle forme e significato alle cromie.
Un intreccio di rami frastagliati sull’argine, attentamente osservato durante una passeggiata solitaria lungo il Cavo Napoleonico, diventa la ragione di un comporsi bellissimo di linee di forza, si fa trama cromatica in cui ocra e il nero deflagrano sopra velature evanescenti che coprono e svelano al contempo. Le sue opere diventano allora istantanee della memoria in cui tonalismi di ascendenza veneta convivono con le modalità di un espressionismo astratto in cui solo qualche piccolo strappo di colore, lavorato alla prima, fa vibrare la luce.
Sono proprio le  cromie a definire gli equilibri sapienti tra vuoti e pieni. I neri, i rossi, i gialli, i blu occupano il centro delle visioni: sussurrano spazi o li fanno esplodere. Eppure le opere di Marko non conoscono la terribile angoscia del dolore senza ragione, ma propongono una ragionata meditazione di forze contrastanti. Vi è insomma il senso di una dimensione cinetica di universi polimorfi che le nere sciabole cercano di ricondurre ad un meditato rapporto tra l’uomo e il cosmo.
Il nostro autore riconosce l’importanza dei maestri che gli sono stati vicini nel momento della formazione: di Laerte Milani ricorda la sapiente lezione dei vuoti e dei pieni mentre di Tassini resta incancellabile l’insegnamento delle valenze del colore. Fuori dell’ambito locale altri maestri hanno segnato una direzione importante nella sua ricerca. I quadri di Afro, di Birolli, di Vedova, di Corpora hanno segnato una tappa fondamentale per la creazione di una personale cifra espressiva. I nomi di quegli artisti sono continuamente richiamati, evocati. Il colloquio con le loro opere, iniziato in anni giovanili non si è mai interrotto, ma sempre articolato e ripreso, continua ancora.
L’occhio del visitatore trattiene le tracce e insegue le direzioni e le proposte. Custodi delle pianure i suoi segni colgono allora il degrado dell’ambiente e la dolcezza tonale del colore, l’infinito rincorrersi dei piani e la continua metamorfosi delle nuvole tempestose.