LA PISCINA DI SILOE
C’è un racconto evangelico che mi commuove sempre quando lo leggo, ed è la piscina di Siloe.
"[2]V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
[3]sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
[4]Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
[5]Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
[6]Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: <<Vuoi guarire?>>.
[7]Gli rispose il malato: <<Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me>>.
[8]Gesù gli disse: <<Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina>>.
[9]E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato" (Gv. 5,2 seg.).
Gesù guarisce questo poveretto che possiamo considerare come l’ultimo di una ipotetica scala sociale. Infatti, infermo da 38 anni, non aveva mai trovato nessuno che lo aiutasse ad entrare nell’acqua della piscina di Siloe quando si formava l’onda guaritrice provocata da un angelo. I buonisti dell’epoca non si erano mai preoccupati di questo infelice, pur vedendolo da tempo ai bordi della piscina, desideroso di guarire dalla sua infermità. Se fosse stato ricco o potente sicuramente avrebbe trovato molti "volontari" disposti ad aiutarlo. Ma lui era povero! Gli uomini non si interessavano del suo stato pietoso! Ma lui non desisteva dal suo proposito e con fede perseverava ed un giorno gli si presentò direttamente Dio. E Dio, mosso a compassione, lo guarì. Il Signore non agisce come gli uomini! Non fa differenza di persone, ma è attento alla fede degli uomini. E direttamente, nella persona di Gesù, guarì il povero dalla sua infermità. Quale lezione eterna per tutta l’umanità povera e derelitta la quale non deve preoccuparsi se non gode di amicizie potenti in quanto può rivolgersi con la preghiera e con fede al Re dell'universo: un Dio d’amore che si preoccupa in eguale misura anche dei figli più poveri e trascurati.
Un altro grandissimo miracolo comprova questa verità evangelica. La gamba miracolosamente riattaccata ad un povero contadino di Calanda, grazie all’intercessione della Regina delle Grazie. Vittorio Messori, nel suo libro "Il miracolo" ha narrato con dovizia di particolari e di testimonianze la vicenda del grande miracolo, la cui lettura è consigliata ai tanti increduli che quest'epoca, figlia del demone dell'ateismo, ha sfornato e continua a sfornare nonostante gli innumerevoli prodigi di Lourdes ed i milioni di testimonianze appese nei santuari del mondo. Non dimentichiamo che Dio ci ammonisce con le seguenti parole: "Lo stolto pensa: "Dio non esiste" (Sal. 53,2)
- Tra le dieci e le dieci e trenta della sera del 29 marzo del 1640, mentre dormiva nella sua casa di Calanda, nella Bassa Aragona, a Miguel Juan Pellicer, contadino di 23 anni, fu "riattaccata" - subitamente e definitivamente - la gamba destra. Questa, spezzata dalla ruota di un carro e poi interamente incancrenita, gli era stata tagliata, quattro dita sotto il ginocchio, alla fine di ottobre del 1637 (dunque, due anni e cinque mesi prima della sconvolgente "restituzione"), all'ospedale pubblico di Saragozza. Chirurghi e infermieri avevano poi provveduto alla cauterizzazione del moncone con il ferro rovente. Dalla inchiesta e dal processo (apertosi a distanza di solo 68 giorni e durato molti mesi, presieduto dall'arcivescovo assistito da nove giudici, con decine di testimoni e con il rispetto rigoroso di tutte le norme prescritte dal diritto canonico), dal processo, dunque, risultò che la gamba di colpo reimpiantata era quella stessa che era stata tagliata e poi sepolta nel cimitero dell'ospedale di Saragozza, a più di cento chilometri da Calanda. Oltre che dal processo, la realtà dell'evento fu certificata, a soli tre giorni di distanza, e sui luoghi stessi, da un Notaio Reale (estraneo al paese e, dunque, non coinvolto dai fatti), con regolare strumento legale, garantito sotto giuramento da molti testimoni oculari, tra i quali i genitori e il parroco del miracolato. Risultò pure, dall'andamento dei fatti e dalle testimonianze del protagonista e degli altri testimoni, che il prodigio fu dovuto all'intercessione di Nostra Signora del Pilar, di cui il giovane era sempre stato particolarmente devoto, cui si era raccomandato prima e dopo l'amputazione, e nel cui santuario di Saragozza aveva chiesto l'elemosina per oltre due anni come mendicante autorizzato. Da quando aveva potuto lasciare l'ospedale con una gamba di legno e due stampelle, ogni giorno aveva unto il moncone con l'olio delle lampade accese nella Santa Cappella del Pilar e così sognava di star facendo, a Calanda, la sera del 29 marzo 1640, allorché si addormentò con una gamba sola e fu risvegliato dai genitori pochi minuti dopo, avendone nuovamente due. Sulla verità dei fatti non si levò mai alcuna voce di dubbio e di dissenso, né allora né poi: né nel villaggio, né in alcun altro luogo dove Miguel Juan era ben conosciuto prima e dopo l'incidente che l'aveva portato all'amputazione. Lo stesso re di Spagna, Filippo IV, terminato con esito positivo il processo, volle convocare il miracolato nel suo palazzo di Madrid, inginocchiandosi davanti a lui per baciare la gamba prodigiosamente "restituita" - (Dal libro "Il Miracolo", di Vittorio Messori, ed. Rizzoli, pag. 24-25)