a cura
di Roberto Sacchi, direttore di Folk Bullettin
Sette anni
di chitarre a Sarzana: passo dopo passo, un piccolo-grande evento che si
è ritagliato una dimensione internazionale di tutto rispetto. Merita
un po’ di storia: come ti è nata l’idea e con quali obiettivi sei
partito?
La
passione per la chitarra acustica mi accompagna dall’età dell’adolescenza,
negli anni irripetibili dei dischi scoperti ed ascoltati come pionieri,
quando la musica ci faceva sognare “un mondo diverso”. Anche se amavo le
band elettriche e l’energia del rock, erano le atmosfere acustiche quelle
che mi affascinavano di più. Quel suono cristallino della chitarra
acustica ben registrata in studio che si ascoltava sia in dischi concepiti
per lei, insieme magari a meravigliosi impasti vocali (west coast americana,
folk inglese, country & old blues acustico, ecc.) , sia in registrazioni
più “dure”, dove talvolta costituiva la base ritmica e l’atmosfera
di fondo su cui costruire un tessuto musicale più complesso ed energico.
Così a tredici/quattordici anni sognavo davanti alle vetrine di
pochi negozi ben forniti che esponevano meravigliose “Martin”, “Gibson”
o “Guild” che non sarei mai riuscito ad acquistare.
Negli anni
successivi è stato lo strumento che ho sempre suonato, sia per diletto
che per lavoro, ed ho continuato a seguire la sua evoluzione che, con John
Fahey, Leo Kotke e molti altri artisti nuovi, ha iniziato ad avere una
propria dimensione compositiva, superando il
ruolo di
strumento per comporre canzoni con facili armonie.
Così,
seguendo e frequentando i vari appuntamenti di concerti ed esposizioni
fuori dai nostri confini, riflettevo del perché in Italia non avessimo
ancora un appuntamento alla pari di altri grandi eventi internazionali,
perché si continuasse a vedere in varie trasmissioni della televisione
nazionale chitarre acustiche di poco pregio e oltretutto suonate male,
“zappate” per accompagnare qualche canzone nostrana, spesso bruttina!
Nel 1998,
dopo anni di concerti e sperimentazioni sofferte in un locale di nome “Armadillo”
(aperto nel 1991 a Sarzana provenendo da Roma, la mia città), tentai
l’avventura di inventare un festival interamente dedicato alla chitarra
acustica contemporanea, l’Acoustic Guitar International Meeting. Mi piaceva
l’idea del Meeting: doveva essere un’opportunità di incontro di
appassionati, di persone desiderose di ricevere dimostrazioni delle nuove
tecniche e delle nuove idee compositive, e doveva essere un incontro anche
per gli artisti, provenienti dai posti più lontani, che in questo
modo avrebbero potuto confrontare le loro ricerche e sperimentazioni sullo
strumento. Fu un grande rischio, sapete bene quanto è difficile
produrre appuntamenti di qualità nel nostro paese, ma oggi siamo
molto contenti di averlo fatto.
L’Armadillo
Club non è più un locale (venduto nel 1999), è un
organizzazione che produce questo festival, frutto di tantissimo lavoro,
soprattutto poi dal 2000 quando abbiamo aggiunto ai concerti e seminari
didattici l’esposizione di liuteria e import per chitarra acustica. Questa
è stata sicuramente una scelta vincente e oggi si viene a Sarzana
per vedere i grandi artisti ma anche per scoprire tutto quanto c’è
di nuovo nel mondo del mercato della chitarra acustica. Forse siamo riusciti
a far rispettare e ritenere importante un appuntamento italiano nel circuito
dei grandi appuntamenti internazionali di questo settore.
Dal punto
di vista organizzativo cosa ti costa di più in termini di fatica:
compilare un cast artistico di rilievo o allestire la mostra-mercato, contattando
i vari espositori?
Ambedue
sono lavori di grande impegno e bisogna cercare di sbagliare il meno possibile.
Il cast è fondamentale perché richiama il pubblico, ti permette
gli incassi dei biglietti dei concerti ed è difficile riuscire ad
avere tutti gli artisti che hai in mente, considerando poi che bisogna
rispettare un certo budget. Poi formare il cast delle serate è un
gioco ad incastri che deve tener conto di una infinità di fattori.
Bisogna ponderarli tutti e non affidare niente al caso.
L’allestimento
della mostra mercato è un gran lavoro organizzativo, devi cercare
di accontentare tutti gli espositori in modo tale che siano soddisfatti
sia da un punto di vista commerciale, offrendo loro il pubblico degli appassionati
ed degli addetti ai lavori, sia per le postazioni espositive e la permanenza
a Sarzana. Devo ringraziare tutto lo staff organizzativo della mia associazione
per questo ed inoltre la strordinario scenario della Fortezza Firmafede
di Sarzana. Un luogo così ampio e maestoso, di grande valore storico
ed architettonico, aiuta molto a rendere la permanenza quanto mai felice.
Il numero degli espositori aumenta ogni anno in presenze, questo vuol dire
che si trovano bene e soprattutto concludono buoni contatti ed affari.
Mi piacerebbe
anche parlarvi della fatica per trovare le risorse per la manifestazione:
sponsor, enti pubblici, patrocinii, convenzioni con l’Università,
accordi con le scuole per portare gli studenti ad ascoltare musica di qualità,
alberghi, ristoranti, ecc. ecc. In due parole “un anno di lavoro”.
Da appassionato,
ancora prima che da organizzatore, che valore attribuisci ai momenti didattici
inseriti nel programma dell’”Acoustic Guitar International Meeting”?
Sono,
come vi dicevo, parte fondamentale del progetto iniziale. E’ bellissimo
per gli appassionati suonatori di chitarra, giovani e non, avere davanti
agli occhi l’artista di cui hanno acquistato una trascrittura o uno studio
su una rivista specializzata. Possono entrare nel merito dell’esecuzione,
fare domande su tecniche particolari, su strumenti ed accessori usati,
togliersi insomma tutti quei dubbi che rimangono sempre quando leggi da
uno scritto e non hai contatto diretto. Poter incontrare poi questi interpreti
eccezionali per tutti i giorni della manifestazione e continuare le domande,
ricevendo molti consigli, è una grande opportunità di crescita
musicale. Credo poi che si debba dare grande valore al lavoro che facciamo
ogni anno per portare giovani studenti medi ed universitari a frequentare
i seminari. Sapete benissimo come la musica di facile ascolto, a loro propinata
continuamente, faccia dei danni incredibili, ma è bellissimo vederli
apprezzare un grande virtuoso della chitarra e sperare che così
nascano le passioni sane e la voglia di suonare musica vera!
Come sei
riuscito a conciliare il carattere spesso schivo e un po’ introverso del
chitarrista acustico con una manifestazione di massa come il “tuo” meeting
primaverile?
Il
carattere schivo del chitarrista acustico si forma spesso perché
la scelta di suonare e intraprendere una carriera sulla chitarra acustica
e le sue forme musicali è una scelta coraggiosa e difficile, oggi
poi ancora di più, una vita spesso votata alla sofferenza perché
non è molto il pubblico con una sensibilità pronta a recepire
queste note, delle volte difficili, ma che spesso parlano al cuore. Forse
non è giusto neanche dire così, molto più pubblico
sarebbe pronto, c’è anche molta sensibilità nella gente,
la verità è che è un grande problema di comunicazione.
Ci sarebbe moltissimo da dire e non credo abbiamo lo spazio di aprire un
argomento così vasto, ma questa musica non viene assolutamente comunicata
alla gente; io so però che quando giovani, meno giovani, anziani
assistono e vengono a contatto con questi grandi artisti rimangono sbalorditi
ed affascinati, ne vogliono sapere di più, comprano e ascoltano
moltissimo i loro CD. Quindi una platea vasta come il nostro Acoustic Guitar
Meeting rende l’artista acustico felice di poter far arrivare il suo messaggio
musicale a tanta gente e ricordo molto bene i loro sorrisi di soddisfazione
alla fine delle performance applaudite.
Sappiamo
che una critica ti viene mossa da alcuni: il carattere troppo “campionario”
e trasversale delle tue scelte artistiche, che accontenta un po’ tutti
ma lascia delusi gli appassionati di un genere specifico. Cosa ribatti
a questo appunto?
Anche
qui quanto spazio ci vorrebbe per dire tutto quello che avrei da dire!
Questo è proprio uno dei motivi per cui molti addetti ai lavori
del mondo della chitarra acustica hanno contribuito negli anni a far rimanere
questo universo piccolo piccolo. Ognuno a coltivare il proprio orticello
e criticare e disprezzare altri. Per fortuna in questi anni i grandi artisti
internazionali ci hanno fatto vedere che si è grandi in vari generi
musicali quando si ha tecnica, cuore, energia da vendere! La parola “accontentare”
per fortuna non mi passa mai per la testa quando lavoro per formare il
cast del Meeting, penso anzi a poter mostrare dove è arrivata la
chitarra acustica nel blues, nel jazz, nel bluegrass, nella musica contemporanea
in genere e come si suona oggi in finger-style, flat-picking, tapping o
altre tecniche esecutive.
Il nostro
festival si chiama appunto Acoustic Guitar International Meeting e non
festival del blues o folk o jazz o country acustico. Inoltre mi sembra
che il cast di ogni serata sia sempre abbastanza omogeneo da creare una
atmosfera ben delineata, amalgamata e ricca di emozioni, non un campionario
di esibizioni da circo.
Vedere 6-700
persone provenienti da tutta Italia che accorrono per assistere a concerti
con al centro dell’attenzione la chitarra acustica è un’esperienza
sicuramente irripetibile nel nostro Paese. Secondo te, quali sono i motivi
per cui questo strumento, che pure gode di molta pratica di base, stenta
a raggiungere una vera notorietà?
Per
rispondervi riprendo il concetto di cui parlavo prima, quello della comunicazione.
Questo tipo di musica vive e si tramanda nel nostro paese con canali di
comunicazione molto elementari, una specie di “door to door”: qualcuno
ascolta o vede un grande artista della chitarra acustica e lo comunica
ai suoi vicini ed amici. Vero è che questo tipo di propaganda è
sicuramente di grande efficacia, ma necessita tanto tempo per raccogliere
proseliti! Non esistono passaggi televisivi, non parliamo delle tristissime
radio nazionali, tranne Radio 3 pronta per la chiusura, non esiste distribuzione
di CD nei negozi, nessuno, se non pochi organizzatori e promoter coraggiosi
tra cui spero di essere anch’io, investe in questo campo.
E’ un vecchio
ed annoso discorso, si vendono più facilmente altri prodotti.
Bisogna
anche dire però che i chitarristi acustici forniscono spesso un
diverso approccio tra la registrazione del CD e l’esibizione dal vivo.
Voglio dire che in una performance live meglio si evidenzia la virtuosità,
l’energia, la capacità di emozionare di un chitarrista, c’è
quindi bisogno assoluto di aumentare il numero dei concerti e dei tour
di questi artisti, di conseguenza aumenteranno le vendite dei CD e il pubblico
dei fruitori. Credo però che negli ultimi anni questo mondo sia
in netta ascesa, il successo del nostro appuntamento di Sarzana ne è
un esempio, e di continuo riceviamo richieste di artisti e concerti e vediamo
nascere nuove manifestazioni.
Da qualche
anno è inserito nel vostro programma un premio per chitarristi emergenti:
ce ne illustri motivazioni e sviluppi?
Tra
i commenti sulla nostra manifestazione c’era la richiesta di far esibire
di più giovani chitarristi italiani. Era una critica molto giusta,
del resto non era facile in tre giorni riuscire a far ascoltare i grandi
e maturi interpreti di questo strumento e trovare spazi per i giovani emergenti
all’interno dei concerti. Proposi allora a Willy Davoli, coraggioso importatore
di chitarre acustiche e della maggior parte degli accessori che vediamo
nei negozi, di creare una serata particolare con premi da lui messi a disposizione,
in modo da dare la possibilità a chitarristi emergenti di avere
un palco prestigioso dove esibirsi ed un pubblico adatto ad ascoltarli.
Poi ho trovato in Giovanni Untenberger, fondatore dell’Accademia didattica
“Lizard”, ed in Andrea Carpi, direttore della rivista “Chitarre”, due persone
estremamente sensibili a questo riguardo e due partner ideali nella selezione
delle proposte.
Con loro
scegliamo nel corso dell’anno, tra le tante richieste che arrivano, i musicisti
che si esibiranno e formiamo una giuria competente per premiare i migliori
durante la serata. Non amo particolarmente l’idea di un concorso dove proclamare
vincitori, ma noto che avere in giuria i più riconosciuti addetti
ai lavori del settore nonché un grande interprete internazionale,
un liutaio e qualche altro ospite prestigioso inorgoglisca i ragazzi e
li stimoli molto. Il “New Sounds of Acoustic Music” Premio Wilder-Davoli,
questo il suo nome, sta avendo un ruolo importante nello spronare i nuovi
chitarristi ad emergere ed a dare un significato di “performance” ai loro
studi; credo sia una cosa in cui continuare a credere, il suo successo
ce lo fa capire chiaramente.
Come vedi
l’attuale situazione chitarristica italiana? Pochi mesi fa, in risposta
a una analoga domanda, Franco Morone in parte concordava con me sull’effettiva
esistenza di una fase di progressiva chiusura in se stesso dell’intero
movimento. Tu cosa ne pensi?stro
Speriamo
per esempio che il concorso di cui parlavamo prima sia un momento di nuova
apertura e speriamo che il contatto con grandi interpreti e la creazione
di nuove manifestazioni possano fornire una spinta creativa all’intero
movimento.
Va superata,
credo, la realtà di “piccole” performance per un pubblico “piccolo”,
spesso dei soliti noti. Dobbiamo far arrivare la nostra musica a platee
più vaste, i margini di crecita sono molto ampi, e per questo sconfiggere
anche quei pseudo-puristi di cui parlavamo precedentemente, che spesso
fanno danni. Certamente non a scapito della qualità artistica, ma
non c’è niente di male ad essere oltre che un virtuoso chitarrista
anche un grande performer, curare il rapporto con il pubblico e saperlo
intrattenere sia con grandi numeri sullo strumento sia con capacità
da entertainer e da dispensatore di emozioni.
Bob Brozman,
Tommy Emmanuel, Ed Gerhard, per citare qualcuno, sanno da anni che questa
è una strada vincente e con umiltà in ogni concerto imparano
una cosa nuova per migliorare le loro performance, pensate di quanta umiltà
e cura dei particolari hanno bisogno i nostri chitarristi emergenti! Certo
l’errore è cercare di emularli, succede spessissimo, e non capire
che il loro esempio deve rafforzare la propria personalità e la
propria ricerca nella composizione o nell’arrangiamento.
Per questo
proprio i nostri grandi, Franco Morone, Beppe Gambetta, Paolo Giordano,
da molti anni ci indicano strade vincenti ed efficaci, piene di personalità
creativa. Il lavoro fatto da Beppe nell’arrangiare melodie genovesi e non
della prima metà del secolo e l’ultimo CD di Franco, una chitarra
acustica che “canta” canzoni popolari e danze tradizionali, trovo siano
operazioni di grande intelligenza. Pensiamo a quanto patrimonio di musica
abbiamo in Italia e quante strade può esplorare una chitarra acustica
ben suonata; forse queste nuove ricerche, unite alle proprie capacità
compositive ed al coraggio di uscire da piccole realtà concertistiche
stagnanti, ci forniranno una via di freschezza e vitalità che credo
possa essere molto apprezzata anche fuori dai nostri confini.
Anche se
so che è difficile rispondere, ti prego di farlo. Qual è
stata, in questi anni, la sorpresa positiva fra gli artisti che hai invitato
e quale quella più deludente? Puoi anche non fare nomi, ma raccontaci
almeno le storie…
Hai
premesso che è molto difficile rispondere a questa domanda. Sono
circa 90 i chitarristi che si sono esibiti sul palco dell’Acoustic Guitar
International Meeting in questi sette anni e ognuno di loro ci ha lasciato
qualcosa di importante. Posso provare a parlavi delle emozioni rimaste
più nel profondo: ricordo la felicità e la paura della prima
edizione quando, tra alcuni “maestri stranieri”, salirono sul palco tutti
i migliori e storici chitarristi acustici italiani, ricordo, l’anno dopo,
la genialità e l’energia di Bob Brozman, la gentilezza e il carisma
di Franco Cerri con il compianto figlio Stefano e poi successivamente l’estrema
precisione di Peter Finger, l’energia ed il virtuosismo di Tommy Emmanuel,
la “storia della chitarra” scritta da John Renbourn e Duck Baker, la lezione
di stile di Alex De Grassi, il folk elegante di Harvey Reid, il preciso
finger-picking blues di Woody Mann, la curiosità di Roberto Ciotti
e di Mauro Pagani, in coppia con Giorgio Cordini, di fronte ad atmosfere
totalmente acustiche, la grande ricerca jazz di Ralph Towner e del brasiliano
Guinga, le “signore della chitarra” Muriel Anderson, Diane Ponzio, Tish
Hinojosa e tante altre piccole perle donate da artisti che mi scuso non
aver citato.
Forse il
momento che maggiormente può sintetizzare l’atmosfera che è
sempre regnata nella nostra manifestazione fu il finale del set del grande
Ed Gerhard nel maggio 2002: alla mia uscita sul palco per presentarlo di
nuovo al pubblico, il silenzio e la commozione di più di 500 persone
regnavano in tutto il teatro e molti avevano lacrime sui volti, sua moglie
ed alcuni della nostra organizzazione compresi!
Per fortuna
delusioni pochissime, forse un chitarrista arrivato da un paese esotico
e che credevamo un buon interprete etnico: si rivelò un grande bluff
ed estremamente arrogante, ho avuto con lui un bel siparietto!
Ringraziamo
di cuore tutti i chitarristi arrivati a Sarzana e, come riportato nella
scenografia del nostro palco, “Beauty will save the world”
Grazie per
la bellezza che ci avete donato negli anni.
|