“IL FU

MATTIA PASCAL”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL FU MATTIA PASCAL”

TRAMA

 

Luigi Pirandello scrisse “Il fu Mattia Pascal” a Roma, vagliando la moglie colpita da paresi alle gambe, d’origine nervosa. Fu quello un periodo particolarmente brutto per l’autore in quanto arrivavano notizie preoccupanti da Girgenti sulla condizione economica della famiglia. Ed è proprio in questo clima, in cui Pirandello raggiunse momenti di disperazione, che nasce “Il fu Mattia Pascal”. E’ l’opera che rappresenta l’autore nella pienezza della sua dolorosa visione del mondo, in un momento in cui egli sente il bisogno di ribellarsi alla vita e alla società, e di iniziare un'esistenza diversa. Con questo romanzo si ha l’accentuazione del fondo pessimistico e doloroso dello scrittore, ma anche uno sviluppo delle sue qualità letterarie. Compaiono, infatti, numerose pagine bellissime in cui si ha la vera sensazione della scena che lo scrittore vuole descrivere. Non sono trascritti i fatti, ma i moti ed i flussi della coscienza, e i labirinti della psiche proprio perché della realtà si ha ora una visione frantumata e lacerata. Per quello che riguarda lo stile si nota nel romanzo un susseguirsi di dialoghi e monologhi nati dall’esigenza di “trovare una forma che sia mobile come mobile è la vita”, inoltre Pirandello ricorre anche a costruzioni sintattiche ed a vocaboli propri del dialetto siciliano.

<< Una delle poche cose, anzi, forse la sola ch’io sapessi di certo, era questo: che mi chiamavo Mattia Pascal>>.

Con questa frase Pirandello comincia il romanzo, è certo di chiamarsi Mattia Pascal, ma non di esserlo. Potrebbe sembrare una piccola differenza, in realtà è il nucleo della filosofia pirandelliana, per la quale “ noi siamo, nessuno, e centomila, tanti quanti sono coloro che ci conoscono” e non possiamo quindi dire di “essere” nel senso assoluto del termine. Il romanzo, quindi, verte tutto su quella profonda incapacità di coincidere con noi stessi in quanto non vi è una relazione stabile tra ciò che siamo in realtà e tra quelli che gli altri vogliono che siamo, cioè esiste una maschera attribuitaci da altri cui dobbiamo sottostare e che ci rende la vita difficile, ma se noi abbandoniamo questa maschera, vivere diviene impossibile. Questo dissidio interiore tra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere è sempre presente nei personaggi pirandelliani e si manifesta con un difetto esteriore: l’occhio strabico di Mattia Pascal.

Mattia, prigioniero della sua maschera per una << sinistra partecipazione del caso>>, Intravede la possibilità di una vita nuova, di una nuova e insperata condizione di libertà esistenziale, la possibilità di uscire finalmente dalla prigione di sempre e divenire soggetto, l’artefice delle proprie scelte. Ma il nuovo Adriano Meis deve ben presto costatare l’ineluttabilità e l’irreversibilità delle convenzioni sociali, che via via stringono la fila intorno a lui. La nuova vita non è più autentica della prima, è anch’essa un esistenza fittizia, assurda, una trappola che non gli consente alcuna realizzazione, Adriano è un morto vivo. Egli allora decide di tornare ad indossare la maschera di Mattia Pascal, come tentativo ulteriore d’estrema affermazione d’identità. Purtroppo a Miragno si dissolvono le ultime illusioni, perché Mattia avverte concretamente di non essere nessuno per gli altri, di essere definitivamente morto da quando lo hanno riconosciuto, cadavere nella gora di Stia. Il suo sogno di rinnovamento è fallito, egli ha anzi subito una perdita irreparabile: “L’identità”

 

TRAMA

 

Mattia Pascal, impiegato nella biblioteca comunale di Miragno, in Liguria, conduce una vita modesta, tormentato dai continui litigi con la suocera e con la moglie Romilda. Un giorno, irritato per un nuovo contrasto, fugge da casa, deciso ad imbarcarsi a Marsiglia per l’America. Capitato però a Montecarlo, va a tentare la fortuna al casinò e insperabilmente vince una grossa somma. Poco dopo, legge su un giornale che al suo paese è stato trovato il cadavere di un uomo annegato e che la gente, compresa la moglie e la suocera, ha creduto di riconoscere in quel corpo proprio lui, Mattia Pascal. Dunque, per gli altri era morto e Mattia ha l’idea di assecondare questa credenza, facendosi un nuova vita diversa da quella finora vissuta. Perciò elimina la barbetta che aveva sempre portato, si fa ricrescere i capelli e si fa chiamare con un altro nome, Adriano Meis. Così, con i soldi guadagnati al gioco, intraprende una lunga serie di viaggi e l’ultimo dei quali lo porta a Roma, dove troverà alloggio in una pensione. Ma la vita serena e spensierata che aveva sempre desiderato, dura ben poco, proprio a causa della sua nuova identità.

Innamoratosi della figlia del proprietario della pensione, Adriana, non può sposarla, perché gli mancano i documenti intestati ad Adriano Meis; derubato, si trova nell’impossibilità di denunciare il ladro; schiaffeggiato, non può sfidare a duello chi lo ha offeso. L’esistenza gli si fa ogni giorno più problematica e difficile e l’equivoco delle due vite incomincia a divenire insopportabile. Decide allora di ridiventare Mattia Pascal, e l’unico modo per farlo è quello di simulare il suicidio di Adriano Melis. Così , si fa ricrescere la barbetta, e raccorciare i capelli. A questo puto torna al suo paese, ma qui trova che la moglie si è risposata con il suo migliore amico d’infanzia ed ha avuto anche una bambina. Perciò lì non c’è più posto per lui, è escluso dalla vita di tutti, agli occhi della società è un morto, per l'appunto il fu Mattia Pascal.

Dopo aver deposto dei fiori su quella che sarebbe dovuta essere la sua sepoltura, si ritira a vivere con una vecchia zia, scrivendo le sue memorie e sopportando da solo ed in silenzio la pena del vivere.