Don Mauro: un ardente testimone della
carità.
(Gn 32, 25-30; Mt 25, 31-40)
1. Era il mese di agosto 1997. Durante il
pellegrinaggio diocesano a
Lourdes don Mauro chiese di parlarmi. L'
incontro avvenne dopo la
celebrazione nella basilica di S. Pio X. Mentre
la gente sfollava
lentamente dietro le carrozzelle degli ammalati
siamo rimasti soli a
passeggiare all'interno della basilica. Don
Mauro cominciò a
manifestare la sua gioia di trovarsi in
pellegrinaggio: ne sentiva il
bisogno. In fondo dopo aver sperimentato, mi
diceva, un po' il
freddo del vento razionalistico degli anni
settanta (lui con un po'di
auto ironia si definiva un ex sessantottino)
avvertiva che gli faceva
bene la presenza di Maria nella sua vita.
Poi entrò nel discorso della sua
esperienza pastorale, della sua
comunità di Gattinara, alla quale diceva
di volere un gran bene e
confessava di sentirsi ricambiato. Non nascose
la consapevolezza di
aver raccolto una eredita difficile: quella di
un sacerdote - don
Giorgio - che era entrato profondamente nel
cuore di Gattinara. Ma
questo era per don Mauro un dono, uno stimolo a
dare tutto il
meglio di sè per la crescita della
parrocchia.
DA DOVE SIETE ARRIVATI ///
HOME
Poi mi parlò della sua vicenda
vocazionale maturata negli anni
giovanili: un'eccezione allora, quando il
seminario minore era la
strada quasi unica per l'accesso alla
teologia.
Ma soprattutto il suo discorso cadde sulla sua
lunga esperienza di
direttore Caritas. E qui don Mauro sentì
come impellente bisogno
interiore comunicare al vescovo la voce del suo
carisma, la sua
chiamata ad operare sulle frontiere delle nuove
povertà. E con
estrema lucidità disegnò la mappa
delle esigenze, dei problemi,
delle aree in cui la chiesa avrebbe dovuto
dimostrare il suo istinto
profetico. Confesso di essere rimasto sorpreso
per la chiarezza delle
idee, per una visione intelligente della
carità, da non esaurire in
qualche iniziativa assistenziale, ma da
incanalare verso la
promozione delle persone in
difficoltà.
DA DOVE SIETE ARRIVATI ///
HOME
Ho capito, allora, che sotto lo sguardo di don
Mauro stava la grande
pagina di Matteo 25. Nella sera della vita
saremo giudicati
sull'amore. Ho capito che nel cuore di don
Mauro c'era un'altra
parrocchia, senza confini, fatta di affamati,
di assetati, di forestieri,
di malati, di carcerati. Lui infatti, non solo
a Lourdes, ma altre volte
mi aveva parlato dei suoi amici: dai carcerati
alle persone affette da
alcolismo, a quelle in difficoltà; mi
aveva parlato delle iniziative di
una carità creativa: della casa di
accoglienza notturna,
dell'associazione dott. Picco per il ricupero
dei tossicodipendenti,
del gruppo di alcolisti anonimi, dei gruppi di
volontariato (Avuls,
S. Vincenzo, Volontariato vincenziano), del
telefono amico.
Ma a Lourdes, alla fine della conversazione,
molto serena, si
chiedeva onestamente se il suo servizio alla
chiesa non fosse quello
della carità a tutto campo, invece di un
ministero parrocchiale.
Io lo ascoltai con molta Attenzione e poi gli
dissi: "Io non so quale
sarà il tuo futuro. Ma ci sono altri
aspetti da tenere in conto per fare
discernimento. C'è una comunità
che da poco tempo beneficia della
tua presenza; ci sono in te altri talenti che
fanno pensare alla
possibilità di un ministero educativo,
ad esempio in seminano".
DA DOVE SIETE ARRIVATI ///
HOME
Di don Mauro infatti conoscevo la
personalità versatile e
culturalmente attrezzata sul piano filosofico,
dotata di perspicacia
psicologica; conoscevo la sua ricca
spiritualità, soda e profonda, la
sua criticità equilibrata e costruttiva,
la sua attitudine ad una
relazione serena, cordiale.
Per questo in verità, sul futuro di don
Mauro intravedevo ampie
prospettive. Egli mi ringraziò per
avergli aperto l'orizzonte e il
discorso rimase come sospeso invitandolo a
mettere in preghiera
ogni progetto.
2. Dopo qualche mese, il misterioso e
sconvolgente contropiede di
Dio. La visita medica fu infausta e i primi
referti diagnostici
preoccupanti: ed ebbe inizio il lungo calvario
di don Mauro, con
diversi ricoveri all'ospedale per interventi
chirurgici: a Novara, a
Torino, a Vercelli e a Gattinara
Dio a don Mauro stava chiedendo di servire la
chiesa non in una
parrocchia, non alla Caritas, non in seminario,
ma su un lungo e
doloroso calvario; gli voleva chiedere non le
"opere di carità", e
neppure la "carità pastorale" che ogni
prete è chiamato a
testimoniare nella propria comunità, ma
il dono stesso della vita:
come Gesù, sulla croce.
DA DOVE SIETE ARRIVATI ///
HOME
Don Mauro non volle mai mentire a se
stesso.
La prima curva difficile del suo calvario
è stata la "lotta".
Richiesto di scrivere due anni dopo, la propria
esperienza di malato
per i malati dell'OFTAL, egli da fine psicologo
non mancò di
descrivere con estrema lucidità il
proprio travaglio interiore: dal
tentativo iniziale di negare la malattia alle
domande cruciali di
fronte al mistero della morte guardata in
faccia senza veli,
all'atteggiamento verso Dio confessato pure
come dubbio circa il
Suo amore; soprattutto sino ad avvertire il
bisogno di perdonare
Dio, per riaccoglierlo docile guardando la
croce: "Se credi in Gesù,
scriveva, dai un senso alla sofferenza; passi
cioè dal patibolo che è
la sofferenza inutile, quella in cui si
è chiusi su di sè, quella in cui
si
maledice il mondo, alla croce, alla sofferenza
accettata per amore,
per condivisione, per fedeltà alla
propria missione" (Lourdes,
mensile OFTAL, 5 - 2000). Era l'ora della
lotta.
"Ti vedo meglio" gli dicevo incontrandolo i
primi mesi nel
constatare la sua sorridente e cordiale
accoglienza. E lui: "Oh, io
sono un combattente, come Giacobbe".
Si, don Mauro, come l'antico patriarca, di cui
abbiamo ascoltato la
vicenda, ha lottato nella notte con Dio. Una
lotta misteriosa quella
di Giacobbe, in cui il Signore colpisce
l'articolazione del femore ed
assegna all'antico patriarca un nome nuovo:
egli si chiamerà Israele.
DA DOVE SIETE ARRIVATI ///
HOME
Una lotta in cui Giacobbe strapperà la
benedizione di Dio.
Per tutti il dolore è sempre lotta,
soprattutto l'incombente mistero
della mone di cui non si vuole parlate per
pudore, per delicatezza,
ma è nei pensieri e nel cuore come
angoscia. Così fu per Gesù,
così
è stato per don Mauro: lotta. Lotta
della ragione che fatica ad
immaginare la fine della notte; lotta del cuore
proteso verso la vita;
lotta di tutta la persona drammaticamente sola
sull'abisso della
morte; lotta della fede protesa nella speranza
della Pasqua eterna del
Cristo vittorioso.
|
3. Ma come Giacobbe don Mauro ha vinto. Io
credo che questo
nostro carissimo confratello abbia avuto doni
singolari dello Spirito
Santo, che lo hanno trasformato in una
meravigliosa testimonianza
della speranza cristiana.
Don Mauro ha saputo amare la vita sino in fondo
ma nel contempo
è andato via via crescendo nella
capacità di dono, di distacco, di
libertà interiore.
Di qui il suo desiderio di fare, di andare, di
progettare nonostante la
compagnia dolorosa della malattia. Egli aveva
un sogno da
realizzare con il vescovo: la trasformazione
del monastero delle
Clarisse in una cittadella della carità,
nel cuore della città. Ne
abbiamo parlato più volte attorno alla
scrivania. Cosi ha goduto
quando l'ho nominato condirettore della
Caritas. Aveva idee chiare
e ardite.
Ma insieme all'amore per la vita la progressiva
disponibilità ad
ammainare le vele, e soprattutto a lasciarsi
forgiare dalla croce. Io
non ho mai visto una quercia di questo tipo
piegarsi tanto
docilmente sotto la bufera del venerdì
santo. "Ci affidiamo a Dio,
anche se non sappiamo che cosa vuole. Ma
è certamente per il
nostro bene" mi ha detto più di una
volta. Mai un lamento. Ogni
qualvolta lo incontravo sempre il sorriso sulle
labbra, sempre il suo
accogliente saluto: "Oh, padre"
E cosi ha vissuto il Giubileo in moto
sorprendente. C'era in lui un
forte desiderio di celebrarlo con i pellegrini
a Roma: Non ho mai
sperimentato il dolore come in coincidenza dei
grandi appuntamenti:
quello dei giovani, delle famiglie, delle forze
armate;
non ho mai pianto in vita mia a motivo del
dolore come in questi
momenti. Ma poi finalmente ho capito: il
Signore voleva questa
partecipazione al Giubileo"; e la sera della
giornata dei giovani ci fu
un prolungato pianto liberatorio.
Nella novena dell'Immacolata don Mauro
ricevette l'unzione degli
infermi dall'amico don Tonino e fece
testamento. Alla sera
dichiarava la sua serenità: "Mi sento
leggero, libero; mi sento in
pace. Sì" espressione ricorrente questa
sulle sue labbra.
Per questo la sua camera, durante suo il suo
calvario è diventata
una piccola chiesa domestica, un punto di
incontro: di amici di
giovani per il sacramento della riconciliazione
e per la direzione
spirituale. Vedeva volentieri la gente, i
giovani; qualche seminarista
è stato suo alunno per la filosofia. Le
sue parole andavano dritte al
cuore e alla memoria al punto da risultare
difficilmente
dimenticabili. Ho sempre visto persone attorno
al suo letto, i molti
angeli custodi sovente con le lacrime agli
occhi. "Hai tanti angeli
custodi qui attorno", gli facevo osservare
recentemente. E lui: "Ma
il vescovo è l'angelo custode di tanta
gente, di tutta la nostra chiesa;
preghiamo allora perchè non gli manchi
l'aiuto" e così invitava tutti
a pregare, per concludere con la
benedizione.
Singolare è stato l'ultimo tratto del
suo calvario, coinciso con il
tempo di Natale. Don Mauro ebbe la
possibilità di celebrare ogni
sera con le camere sempre affollate di
volontari e di amici. Il suo
capezzale da cattedra divenne altare.
Era molto emozionato di celebrare sull'altarino
da campo di don
Pollo; me lo disse più volte. Quando gli
ho promesso che lo
avremmo ricordato attorno al grande altare
della cattedrale, ne fu
gratificato; ma poi mi ricordava che attorno al
grande altare ci sono
i piccoli altari: come il suo, come quello di
tanti sofferenti nelle loro
case
E alla Messa si preparava scrupolosamente,
soprattutto per il
commento della Parola. Forse senza saperlo
andava maturando
l'atteggiamento interiore di una singolare
comunione con il Cristo
"vittima". E' facile infatti, per un prete,
essere sacerdote all'altare
su cui Cristo è vittima; è
più difficile essere vittima sacrificale
con
Cristo. Don Mauro ha raggiunto questo traguardo
certamente dotato
di una sapienza spirituale eccezionale. Dalle
sue Messe le persone
partivano con le lacrime agli occhi, con la
netta percezione di aver
vissuto un momento unico della vita, che
certamente resterà
indelebile Indimenticabile resta il commento
alla parola di Dio
nella festa di S. Giovanni (il 27 dicembre):
"Mentre da una parte
sento il Signore vicinissimo, come luce, come
presenza, come
amore, dall'altra provo il timore fortissimo
che in qualche maniera
l'indegnità dell'uomo, la sua poca
disponibilità faccia perdere ..., la
vicinanza di questo amore". Ancora lotta? Forse
sì
Ms poi la vittoria: "Posso dirvi che provo
delle percezioni
lucidissime: la percezione della luce e della
presenza dell'amore di
Dio come non mai. Non avevo mai avuto nella mia
vita questa
esperienza di immediatezza di presenza
...".
4. E così la notte per il nostro
carissimo don Mauro è finita, come
per Giacobbe, è arrivato il chiarore
dell'alba, quella del giorno
senza tramonto, soprattutto, come per
Gesù, è arrivato, oltre il
Getsemani, l'alba della risurrezione.
Quell'alba che dà senso alla
nostra vigilia piena di luci, ma anche di
tenebre.
Posso dire, dopo un'esperienza singolare anche
per il vescovo, che
don Mauro amava profondamente la vita, la
gente, la sua chiesa, le
sue speranze che metteva puntualmente in
preghiera e univa alla sua
offerta.
Aveva un sogno: poter realizzare in Vercelli
uno dei segni del
Giubileo, appunto la cittadella della
solidarietà. Ora don Mauro è
passato dal tempo dei segni alla sua eterna
sorgente: "Dio è amore
...diceva, il vangelo lo ripete in
continuazione, perchè l'uomo non
se lo dimentichi".
Pure nel dolore per questa morte, pur dentro a
tante domande che
verrebbe da porre a Dio di fronte ad un
sacerdote carissimo
chiamato alla vita eterna a 54 anni, vorrei
dire grazie al Signore per
aver donato alla nostra chiesa un prete
santo.
Nell'ultima Messa concelebrata insieme,
domenica sera, don Mauro
ha parlato di comunione e ha ricordato che il
nostro incontro deve
continuare. "Si carissimo don Mauro: il nostro
incontro continua: tu
nella luce, noi nella chiaroscurità
della fede. E siamo sicuri che
nella comunione infinita del Dio-amore tu
preghi per la tua
carissima comunità di Gattinara, per la
tua amatissima chiesa, per il
nostro seminario e per tutti noi".
|