OMAGGIO A DON MAURO, PRIMO A SINISTRA CON LA CHITARRA, QUI RITRATTO IN CASA DI LUIGI POZZI, PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE "VITA PIU'".

PARROCO DI GATTINARA DAL 1994 AL 1998, DECEDUTO NEL GENNAIO 2001 A SOLI 54 ANNI. HA LASCIATO IL SUO INCARICACO PASTORALE PERCHE' GIA' MINATO DAL MALE TRASFERENDOSI A VERCELLI, PER CURARSI MEGLIO. VERCELLI CHE L'AVEVA GIA' VISTO VICE PARROCO A S. MARIA MADDALENA DAL 1973 AL 1978, POI CAPPELLANO DELLE CARCERI DI VERCELLI, QUINDI RESPONSABILE DELLA CASA DI S. LORENZO, DIRETTORE DELLA CARITAS PROVINCIALE DAL 1988 AL DICEMBRE 1994, INCARICHI CHE LASCIO' QUANDO ARRIVO' QUI COME PARROCO DI GATTINARA SAN PIETRO.

BUONO, RETTO, SEMPLICE, SACERDOTE ED UOMO DEI NOSTRI TEMPI, BUON ORATORE, SOSTENUTO DA UNA GRANDE FEDE, SEPPE PROMUOVERE UN'ATTIVITA' PASTORALE DI GRANDE RILIEVO. FU VERAMENTE IL PASTORE. SEPPE TOCCARE IL CUORE DI MOLTISSIME PERSONE RIPORTANDOLE ALLA FEDE DEI PADRI. SEPPE AFFRONTARE CON CORAGGIO E DETERMINAZIONE OGNI SITUAZIONE. INDIMENTICABILE.

PROMOSSE E SOSTENNE ATTIVITA' DI PRIMO PIANO, COME ANCHE L'INIZIO DEL RIFACIMENTO DELLA CUPOLA DI SAN PIETRO, SEMPRE A FAVORE DEI PIU' SFORTUNATI. A VERCELLI, PUR MALATO, ASSUNSE ALTRI IMPORTANTI INCARICHI SACERDOTALI.

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Consiglio di leggere l'Omelia, è notevole per la ricchezza di contenuto spirituale.

PAGINA IN ALLESTIMENTO:

OMELIA DEL VESCOVO DI VERCELLI

Don Mauro: un ardente testimone della carità.

(Gn 32, 25-30; Mt 25, 31-40)

 

1. Era il mese di agosto 1997. Durante il pellegrinaggio diocesano a

Lourdes don Mauro chiese di parlarmi. L' incontro avvenne dopo la

celebrazione nella basilica di S. Pio X. Mentre la gente sfollava

lentamente dietro le carrozzelle degli ammalati siamo rimasti soli a

passeggiare all'interno della basilica. Don Mauro cominciò a

manifestare la sua gioia di trovarsi in pellegrinaggio: ne sentiva il

bisogno. In fondo dopo aver sperimentato, mi diceva, un po' il

freddo del vento razionalistico degli anni settanta (lui con un po'di

auto ironia si definiva un ex sessantottino) avvertiva che gli faceva

bene la presenza di Maria nella sua vita.

Poi entrò nel discorso della sua esperienza pastorale, della sua

comunità di Gattinara, alla quale diceva di volere un gran bene e

confessava di sentirsi ricambiato. Non nascose la consapevolezza di

aver raccolto una eredita difficile: quella di un sacerdote - don

Giorgio - che era entrato profondamente nel cuore di Gattinara. Ma

questo era per don Mauro un dono, uno stimolo a dare tutto il

meglio di sè per la crescita della parrocchia.

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Poi mi parlò della sua vicenda vocazionale maturata negli anni

giovanili: un'eccezione allora, quando il seminario minore era la

strada quasi unica per l'accesso alla teologia.

Ma soprattutto il suo discorso cadde sulla sua lunga esperienza di

direttore Caritas. E qui don Mauro sentì come impellente bisogno

interiore comunicare al vescovo la voce del suo carisma, la sua

chiamata ad operare sulle frontiere delle nuove povertà. E con

estrema lucidità disegnò la mappa delle esigenze, dei problemi,

delle aree in cui la chiesa avrebbe dovuto dimostrare il suo istinto

profetico. Confesso di essere rimasto sorpreso per la chiarezza delle

idee, per una visione intelligente della carità, da non esaurire in

qualche iniziativa assistenziale, ma da incanalare verso la

promozione delle persone in difficoltà.

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Ho capito, allora, che sotto lo sguardo di don Mauro stava la grande

pagina di Matteo 25. Nella sera della vita saremo giudicati

sull'amore. Ho capito che nel cuore di don Mauro c'era un'altra

parrocchia, senza confini, fatta di affamati, di assetati, di forestieri,

di malati, di carcerati. Lui infatti, non solo a Lourdes, ma altre volte

mi aveva parlato dei suoi amici: dai carcerati alle persone affette da

alcolismo, a quelle in difficoltà; mi aveva parlato delle iniziative di

una carità creativa: della casa di accoglienza notturna,

dell'associazione dott. Picco per il ricupero dei tossicodipendenti,

del gruppo di alcolisti anonimi, dei gruppi di volontariato (Avuls,

S. Vincenzo, Volontariato vincenziano), del telefono amico.

Ma a Lourdes, alla fine della conversazione, molto serena, si

chiedeva onestamente se il suo servizio alla chiesa non fosse quello

della carità a tutto campo, invece di un ministero parrocchiale.

Io lo ascoltai con molta Attenzione e poi gli dissi: "Io non so quale

sarà il tuo futuro. Ma ci sono altri aspetti da tenere in conto per fare

discernimento. C'è una comunità che da poco tempo beneficia della

tua presenza; ci sono in te altri talenti che fanno pensare alla

possibilità di un ministero educativo, ad esempio in seminano".

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Di don Mauro infatti conoscevo la personalità versatile e

culturalmente attrezzata sul piano filosofico, dotata di perspicacia

psicologica; conoscevo la sua ricca spiritualità, soda e profonda, la

sua criticità equilibrata e costruttiva, la sua attitudine ad una

relazione serena, cordiale.

Per questo in verità, sul futuro di don Mauro intravedevo ampie

prospettive. Egli mi ringraziò per avergli aperto l'orizzonte e il

discorso rimase come sospeso invitandolo a mettere in preghiera

ogni progetto.

 

2. Dopo qualche mese, il misterioso e sconvolgente contropiede di

Dio. La visita medica fu infausta e i primi referti diagnostici

preoccupanti: ed ebbe inizio il lungo calvario di don Mauro, con

diversi ricoveri all'ospedale per interventi chirurgici: a Novara, a

Torino, a Vercelli e a Gattinara

Dio a don Mauro stava chiedendo di servire la chiesa non in una

parrocchia, non alla Caritas, non in seminario, ma su un lungo e

doloroso calvario; gli voleva chiedere non le "opere di carità", e

neppure la "carità pastorale" che ogni prete è chiamato a

testimoniare nella propria comunità, ma il dono stesso della vita:

come Gesù, sulla croce.

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Don Mauro non volle mai mentire a se stesso.

La prima curva difficile del suo calvario è stata la "lotta".

Richiesto di scrivere due anni dopo, la propria esperienza di malato

per i malati dell'OFTAL, egli da fine psicologo non mancò di

descrivere con estrema lucidità il proprio travaglio interiore: dal

tentativo iniziale di negare la malattia alle domande cruciali di

fronte al mistero della morte guardata in faccia senza veli,

all'atteggiamento verso Dio confessato pure come dubbio circa il

Suo amore; soprattutto sino ad avvertire il bisogno di perdonare

Dio, per riaccoglierlo docile guardando la croce: "Se credi in Gesù,

scriveva, dai un senso alla sofferenza; passi cioè dal patibolo che è

la sofferenza inutile, quella in cui si è chiusi su di sè, quella in cui si

maledice il mondo, alla croce, alla sofferenza accettata per amore,

per condivisione, per fedeltà alla propria missione" (Lourdes,

mensile OFTAL, 5 - 2000). Era l'ora della lotta.

"Ti vedo meglio" gli dicevo incontrandolo i primi mesi nel

constatare la sua sorridente e cordiale accoglienza. E lui: "Oh, io

sono un combattente, come Giacobbe".

Si, don Mauro, come l'antico patriarca, di cui abbiamo ascoltato la

vicenda, ha lottato nella notte con Dio. Una lotta misteriosa quella

di Giacobbe, in cui il Signore colpisce l'articolazione del femore ed

assegna all'antico patriarca un nome nuovo: egli si chiamerà Israele.

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Una lotta in cui Giacobbe strapperà la benedizione di Dio.

Per tutti il dolore è sempre lotta, soprattutto l'incombente mistero

della mone di cui non si vuole parlate per pudore, per delicatezza,

ma è nei pensieri e nel cuore come angoscia. Così fu per Gesù, così

è stato per don Mauro: lotta. Lotta della ragione che fatica ad

immaginare la fine della notte; lotta del cuore proteso verso la vita;

lotta di tutta la persona drammaticamente sola sull'abisso della

morte; lotta della fede protesa nella speranza della Pasqua eterna del

Cristo vittorioso.

 

3. Ma come Giacobbe don Mauro ha vinto. Io credo che questo

nostro carissimo confratello abbia avuto doni singolari dello Spirito

Santo, che lo hanno trasformato in una meravigliosa testimonianza

della speranza cristiana.

Don Mauro ha saputo amare la vita sino in fondo ma nel contempo

è andato via via crescendo nella capacità di dono, di distacco, di

libertà interiore.

Di qui il suo desiderio di fare, di andare, di progettare nonostante la

compagnia dolorosa della malattia. Egli aveva un sogno da

realizzare con il vescovo: la trasformazione del monastero delle

Clarisse in una cittadella della carità, nel cuore della città. Ne

abbiamo parlato più volte attorno alla scrivania. Cosi ha goduto

quando l'ho nominato condirettore della Caritas. Aveva idee chiare

e ardite.

Ma insieme all'amore per la vita la progressiva disponibilità ad

ammainare le vele, e soprattutto a lasciarsi forgiare dalla croce. Io

non ho mai visto una quercia di questo tipo piegarsi tanto

docilmente sotto la bufera del venerdì santo. "Ci affidiamo a Dio,

anche se non sappiamo che cosa vuole. Ma è certamente per il

nostro bene" mi ha detto più di una volta. Mai un lamento. Ogni

qualvolta lo incontravo sempre il sorriso sulle labbra, sempre il suo

accogliente saluto: "Oh, padre"

E cosi ha vissuto il Giubileo in moto sorprendente. C'era in lui un

forte desiderio di celebrarlo con i pellegrini a Roma: Non ho mai

sperimentato il dolore come in coincidenza dei grandi appuntamenti:

quello dei giovani, delle famiglie, delle forze armate;

non ho mai pianto in vita mia a motivo del dolore come in questi

momenti. Ma poi finalmente ho capito: il Signore voleva questa

partecipazione al Giubileo"; e la sera della giornata dei giovani ci fu

un prolungato pianto liberatorio.

Nella novena dell'Immacolata don Mauro ricevette l'unzione degli

infermi dall'amico don Tonino e fece testamento. Alla sera

dichiarava la sua serenità: "Mi sento leggero, libero; mi sento in

pace. Sì" espressione ricorrente questa sulle sue labbra.

Per questo la sua camera, durante suo il suo calvario è diventata

una piccola chiesa domestica, un punto di incontro: di amici di

giovani per il sacramento della riconciliazione e per la direzione

spirituale. Vedeva volentieri la gente, i giovani; qualche seminarista

è stato suo alunno per la filosofia. Le sue parole andavano dritte al

cuore e alla memoria al punto da risultare difficilmente

dimenticabili. Ho sempre visto persone attorno al suo letto, i molti

angeli custodi sovente con le lacrime agli occhi. "Hai tanti angeli

custodi qui attorno", gli facevo osservare recentemente. E lui: "Ma

il vescovo è l'angelo custode di tanta gente, di tutta la nostra chiesa;

preghiamo allora perchè non gli manchi l'aiuto" e così invitava tutti

a pregare, per concludere con la benedizione.

 

Singolare è stato l'ultimo tratto del suo calvario, coinciso con il

tempo di Natale. Don Mauro ebbe la possibilità di celebrare ogni

sera con le camere sempre affollate di volontari e di amici. Il suo

capezzale da cattedra divenne altare.

Era molto emozionato di celebrare sull'altarino da campo di don

Pollo; me lo disse più volte. Quando gli ho promesso che lo

avremmo ricordato attorno al grande altare della cattedrale, ne fu

gratificato; ma poi mi ricordava che attorno al grande altare ci sono

i piccoli altari: come il suo, come quello di tanti sofferenti nelle loro

case

E alla Messa si preparava scrupolosamente, soprattutto per il

commento della Parola. Forse senza saperlo andava maturando

l'atteggiamento interiore di una singolare comunione con il Cristo

"vittima". E' facile infatti, per un prete, essere sacerdote all'altare

su cui Cristo è vittima; è più difficile essere vittima sacrificale con

Cristo. Don Mauro ha raggiunto questo traguardo certamente dotato

di una sapienza spirituale eccezionale. Dalle sue Messe le persone

partivano con le lacrime agli occhi, con la netta percezione di aver

vissuto un momento unico della vita, che certamente resterà

indelebile Indimenticabile resta il commento alla parola di Dio

nella festa di S. Giovanni (il 27 dicembre): "Mentre da una parte

sento il Signore vicinissimo, come luce, come presenza, come

amore, dall'altra provo il timore fortissimo che in qualche maniera

l'indegnità dell'uomo, la sua poca disponibilità faccia perdere ..., la

vicinanza di questo amore". Ancora lotta? Forse sì

 

Ms poi la vittoria: "Posso dirvi che provo delle percezioni

lucidissime: la percezione della luce e della presenza dell'amore di

Dio come non mai. Non avevo mai avuto nella mia vita questa

esperienza di immediatezza di presenza ...".

 

4. E così la notte per il nostro carissimo don Mauro è finita, come

per Giacobbe, è arrivato il chiarore dell'alba, quella del giorno

senza tramonto, soprattutto, come per Gesù, è arrivato, oltre il

Getsemani, l'alba della risurrezione. Quell'alba che dà senso alla

nostra vigilia piena di luci, ma anche di tenebre.

Posso dire, dopo un'esperienza singolare anche per il vescovo, che

don Mauro amava profondamente la vita, la gente, la sua chiesa, le

sue speranze che metteva puntualmente in preghiera e univa alla sua

offerta.

Aveva un sogno: poter realizzare in Vercelli uno dei segni del

Giubileo, appunto la cittadella della solidarietà. Ora don Mauro è

passato dal tempo dei segni alla sua eterna sorgente: "Dio è amore

...diceva, il vangelo lo ripete in continuazione, perchè l'uomo non

se lo dimentichi".

Pure nel dolore per questa morte, pur dentro a tante domande che

verrebbe da porre a Dio di fronte ad un sacerdote carissimo

chiamato alla vita eterna a 54 anni, vorrei dire grazie al Signore per

aver donato alla nostra chiesa un prete santo.

Nell'ultima Messa concelebrata insieme, domenica sera, don Mauro

ha parlato di comunione e ha ricordato che il nostro incontro deve

continuare. "Si carissimo don Mauro: il nostro incontro continua: tu

nella luce, noi nella chiaroscurità della fede. E siamo sicuri che

nella comunione infinita del Dio-amore tu preghi per la tua

carissima comunità di Gattinara, per la tua amatissima chiesa, per il

nostro seminario e per tutti noi".