Alessandro Hellmann "Cent'anni
di veleno" Stampa Alternativa
Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
“Hai mai visto il Bormida? Ha l’acqua
color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche
di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua
più sporca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie
a vederla di notte, sotto la luna”, scriveva più di quarant’anni
fa Beppe Fenoglio.
Ma sarà soltanto nel 1999,
in base alla legge 426, che si deciderà la chiusura della fabbrica
che ha inquinato per più di un secolo il fiume e la valle Bormida.
Il circondario di Savona e il comune di Cengio autorizzano, nel 1882, la
nascita del dinamitificio Barbieri che, dopo varie trasformazioni, diventerà
l’Acna e trasformerà la Val Bormida nella zona più inquinata
d’Italia. Zona povera e agricola, nonostante la pericolosità della
produzione, la fabbrica è accettata con entusiasmo, viste le nuove
opportunità che porta. Ma gli scarti di produzione sono da subito
un attentato all’ambiente, alla produzione agricola e alla salute di persone
e animali. E da subito nascono i problemi, le proteste e le contraddizioni.
L’inquinamento è pericoloso ma la nuova occupazione nell’industria
è una manna per molti. Poi c’è il confine: Cengio è
in Liguria ma gli scarichi della fabbrica finiscono tutti in Piemonte.
Le guerre, da quelle coloniali alle
mondiali, rendono preziosa la produzione di quella che, nel frattempo,
è diventata la Società Italiana Prodotti Esplodenti, poi
Acna (Aziende Chimiche Nazionali Associate, fino al 1931, quando l’acronimo
finirà per significare Aziende Colori Nazionali e Affini). Malattie,
morti, denunce, processi, lotte, ministri e politici locali e nazionali,
sindacato e la popolazione del confine, veleni che le produzioni che si
sono susseguite nella fabbrica di Cengio hanno continuato a scaricare grazie
all’indifferenza e agli interessi politici, industriali e sociali.
La scrittura agile e chiara di Hellmann
ci porta a conoscere nel dettaglio il “caso Acna, l’ultima guerra civile
italiana”, del quale spesso abbiamo sentito parlare ma spesso senza il
dovuto approfondimento.
Le fabbriche e gli impianti che
inquinano, che producono malattia e morte, che uccidono la natura, sono
molte e ovunque e conoscere quello che si può creare attorno e dietro
a queste situazioni può essere utile non soltanto per conoscere
il nostro passato ma anche per essere più attenti nel presente e
nel futuro.
gabriella bona
|