ISSIGLIO – INFERMIERA AL SERVIZIO
DEI PIU’ POVERI
Ritorno dall’isola
rossa
Simona, due anni vissuti in
Madagascar
ISSIGLIO - “Simona, ci sei
mancata!”. Un grande striscione, oltre il ponte del Savenca, accoglie a
Issiglio il rientro di Simona Chiuminatto, dopo due anni di volontariato
in Madagascar.
Una festa d'altri tempi, sull'aia di
casa, arricchita di tanto entusiasmo, allegria, sorprese piacevoli e ottimi
piatti caserecci.
Non me l'aspettavo
un'accoglienza così calorosa da parte di moltissimi amici, venuti
anche da fuori Valle. Mi ha fatto piacere. In questi due anni non mi hanno
dimenticata e io non mi sono dimenticata di loro, nonostante la lontananza
e le difficoltà di comunicare. Sono vissuta in una località
molto isolata: senza energia elettrica, quindi senza radio, senza giornali.
L'unica strada di collegamento con la capitale, distante oltre 500 Km,
era spesso impraticabile, a causa delle piogge. Devo dire che in questi
due anni, le notizie mi sono arrivate solo tramite il "Risveglio popolare",
anche se con notevole ritardo.
Il Madagascar: l'"isola
rossa", l'isola dai mille incantesimi, dove i tramonti sono tutti da cartolina,
tutti infuocati e tutti diversi; dove la vegetazione lussureggiante, per
la verità sempre meno folta e sempre meno protetta, ospita lemuri
teneri e giocherelloni, e stormi di uccelli coloratissimi. Di quest'isola,
Simona, che cosa ti sei portata a casa?
Tanti volti di persone,
di cui ho ammirato soprattutto la capacità di soffrire. Tante storie
di gente semplice con la quale ho condiviso un po' della mia vita. E' stata
un'esperienza umana e di lavoro che mi ha dato molto.
Nei due anni passati nella
zona di Ampasimanjeva e di Namorona qual è stato il tuo lavoro?
Io sono infermiera. Ma
ho fatto tante altre cose, difficili da descrivere. Con Stefano, un medico
italiano, una dottoressa malgascia e altre tre volontarie locali cercavamo
di programmare delle attività con le mamme: educazione sanitaria,
pianificazione familiare, igiene alimentare, molto importante soprattutto
a causa della malnutrizione cronica dei bambini. E anche molte altre attività
di animazione agricola, nelle quali il nostro compito era quello di radunare
i contadini e organizzare i corsi, tenuti da tecnici di alcune organizzazioni
agricole malgasce. Anche noi seguivamo i corsi, fornivamo sementi e attrezzi
agricoli, chiedendo, sempre, però, un piccolo contributo, per far
capire che la partecipazione di tutti, anche se piccola, era indispensabile.
E i risultati?
Per quanto riguarda l'agricoltura
qualche risultato si è visto nell'organizzazione del lavoro, nel
raccolto… Per quanto riguarda l'attività con le donne è più
difficile valutare i risultati. Noi abbiamo iniziato: ed è una bella
soddisfazione sapere che l'attività continua. Ci vorranno, comunque,
almeno cinque anni per vedere qualche risultato concreto.
La zona in cui hai lavorato
è particolarmente esposta ai cicloni…
Sì, in questo ultimo
anno la zona è stata colpita da tre cicloni, con inondazioni estese.
Ma, direi, che la gente è abituata; sa come difendersi, costruisce
i villaggi in spazi protetti. Ci sono stati dei morti; ma quasi tutti
perché, nonostante il pericolo, si sono avventurati sui fiumi per
pescare.
Due anni sono pochi, ma
possono essere tanti per chi vive lontano da un mondo, dove i cambiamenti
sono rapidi, quotidiani. Come è stato per te l'impatto del rientro?
Venendo "da fuori", ti
accorgi come la nostra società è sempre più tecnologica,
corre sempre più in fretta e mette in difficoltà chi per
un po' di tempo ha perso i contatti. Soprattutto dà nell'occhio
il grande consumismo, con le sue vetrine, con i suoi prodotti. Una bella
differenza dal Madagascar, con le piccole botteghe dagli scaffali inesorabilmente
vuoti, con i suoi mercatini di frutta e verdura lungo i bordi delle strade,
gestiti da persone ricoperte di stracci, affollati da bambini, tutti bellissimi,
tutti intenti a scrutare il "vazaha" (straniero), per potergli spillare
qualche moneta e quasi sempre ripagati solo da un sorriso.
E la tua salute?
Abbastanza bene, a parte
alcuni attacchi di malaria.
Nei pochi giorni che ho
passato in Madagascar, quando sono venuto a trovarti, nell'ottobre dello
scorso anno, ho percepito che per molte persone il tempo avesse un solo
significato: rincorrere ogni giorno una speranza e il più delle
volte raccogliere una sconfitta. La mia percezione è stata giusta?
Direi di sì. L'
ho toccato con mano specialmente durante l'ultima epidemia di colera, nella
quale mi sembra di aver vissuto momenti d'inferno.
Simona si interrompe. E'
a disagio: non ne parla volentieri. La incoraggio.
Non mi piace ricordare
quei momenti, i volti di quelle persone, segnati da sofferenze terribili;
soprattutto i volti dei più poveri che morivano in poche ore .Anche
se per loro le cure in ospedale erano gratuite, non venivano ricoverati
o perché erano diffidenti, o perché l'ospedale era lontano,
o perché ignoravano la gravità della malattia. I morti sono
stati tanti: non si sa neanche il loro numero, perché la maggior
parte morivano abbandonati per le strade, nelle foreste. La gente aveva
paura del contagio.
La situazione del Madagascar
ti sembra simile alla situazione dei altri paesi dell'Africa?
La situazione in Africa
è molto triste e penso che i problemi non li risolvano le Organizzazioni
non governative e neanche i Progetti di tipo assistenzialistico. Io credo
che bisogna aiutare quelle persone a crescere; appoggiare i loro tentativi
di migliorarsi. L'elemosina ha fatto solo dei danni.
Quindi, pensi che la solidarietà
stia cambiando?
La gente purtroppo si abitua
subito a ricevere e perciò a pretendere e a chiedere sempre di più,
senza mai sforzarsi di migliorare e di valorizzare quello che già
possiede.
La solidarietà non esclude mai
un impegno educativo, anche quando si dà qualcosa.
E lo Stato?
In Madagascar non esiste,
soprattutto in periferia. Anzi, esiste solo quando c'è qualche possibilità
di spremere la gente. Chi governa è ricco, ma non si preoccupa minimamente
dei problemi, specialmente dell'istruzione. E così, mancano i maestri,
perché sono pagati pochissimo; la percentuale dei bambini che frequentano
la scuola è molto bassa. Qualche cosa sta cambiando per quanto riguarda
la sanità: anche negli ambienti più disagiati, nella "brousse",
si nota da un po' di tempo la presenza di qualche medico locale, di qualche
dispensario. Ma il cammino è ancora lungo.
Un'ultima domanda: come
vedi il tuo futuro?
L'esperienza che ho fatto
mi ha cambiata. Adesso riprenderò il mio lavoro di infermiera. Ma
continuerò a pensare ai paesi in via di sviluppo, probabilmente
in un modo diverso da come pensavo prima. Cercherò di aiutarli a
crescere, anche se non so ancora "come". Il mio interesse e la mia collaborazione
continuerà in primo luogo nei confronti del Madagascar, senza, però,
escludere gli altri paesi.
Simona: due anni da missionaria.
Si è fatta dono per i più poveri, seminando una manciata
di speranza nell'"isola rossa".
don gianni giachino