AZEGLIO - La recente, lodevole
iniziativa dell'associazione ARTEV riguardante il progetto di restauro
dell'organo "Serassi 1821/Pera 1909" collocato nella chiesa parrocchiale
di Azeglio offre lo spunto per parlare di questo strumento; a fare da scenario
- poco più di un secolo or sono - il gusto organistico in rapido
e tumultuoso cambiamento, la messa al bando dello stile operistico e l'affermarsi
della riforma della musica liturgica attraverso il "Movimento Ceciliano".
Il denominatore comune
all'intera produzione musicale organistica ottocentesca italiana è
il filo conduttore che contraddistingue il gusto dell'intero secolo; quello
stile teatrale riassumibile con un solo termine: l'Opera.
Un panorama musicale complesso
e variegato costituito da una moltitudine di organisti più o meno
bravi, più o meno dotati artisticamente ma uniti dalla convinzione
a seguire una prassi - peraltro molto apprezzata anche da parte dei fedeli
- che prevedeva la trascrizione, l'adattamento e la riproposizione nelle
varie parti della Messa delle più celebri arie dei grandi operisti
italiani.
Non mancano, anzi sono
copiose, le composizioni originali scritte appositamente per l'organo perfettamente
rispondenti allo stile imperante.
Parallelamente a questa
evoluzione del gusto organistico (che per certi aspetti assume i connotati
di una involuzione) avviene un rapido mutamento della qualità timbrica
e dell'estetica fonica degli strumenti; condizioni indispensabili per riprodurre
al meglio un mondo musicale distante anni luce dagli amalgami sonori del
tipico organo settecentesco.
Già a partire dal
1785 - in Canavese - si assiste a una rapida mutazione dell'ideale sonoro
grazie alla presenza nelle nostre terre di due alfieri di quello che sarà
l'organo ottocentesco, due organari del calibro di Andrea Luigi Serassi
e Giovanni Bruna.
Col trascorrere degli anni
gli strumenti si arricchiscono di una varietà sempre maggiore di
registri ad imitazione dell'orchestra e non solo, la continua ricerca porterà
all'applicazione di tutta una serie di ritrovati di carattere percussivo
come campanelli, grancassa, sistro, campane, piatti, timpani, timpanoni,
triangolo e vari tipi di rollanti. Lascio immaginare al lettore, l'uso
- spesso a sproposito - di questa nutrita batteria di accessori affidata
al buon gusto ... dell'organista di turno.
Strumenti sempre più
grandi, possibilità foniche sempre più ampie, porteranno
in breve anche a una rapida degenerazione del gusto; un gusto sempre più
votato all'eccesso, all'effetto o all'effettaccio, smaccato surrogato di
un palco all'Opera.
Poche, per la verità,
le voci fuori dal "coro", qualche viaggiatore straniero, alcune critiche
dei vescovi, un duro attacco del musicista Gaspare Spontini nel 1839 e,
nel 1884, la presa di posizione ufficiale di Leone XIII con la pubblicazione
del "Regolamento per la Musica Sacra".
I tempi sono ormai maturi,
il mondo organistico italiano ha vissuto in splendido isolamento rispetto
alle maggiori realtà europee per oltre un secolo; immediata è
la necessità di una riforma radicale per potersi riallineare in
termini di sobrietà e di evoluzione tecnica e musicale alle nazioni
più progredite. Paladini di questa riforma il "Movimento Ceciliano"
attraverso il periodico milanese "Musica Sacra".
La via tracciata dai pionieri
della "Riforma" è una via drastica che non ammette deroghe, viene
reciso - di netto - un cordone ombelicale lungo secoli basato sulla tradizione,
su una evoluzione tecnico-fonica affinata nei laboratori organari generazione
dopo generazione.
Di colpo è necessario
adeguarsi a ciò che da decenni si pratica oltralpe, in Francia,
in Germania, in Inghilterra; abbandonare la trasmissione meccanica, le
basse pressioni, rinnovare completamente la tecnica di intonazione.
Per molti organari sarà
la fine, per altri sarà l'inizio di un lungo periodo di agonia,
pochissimi varcheranno il secolo a testa alta. Primo tra questi Carlo Vegezzi-Bossi,
figlio di quel Giacomo Vegezzi-Bossi autore di una moltitudine di organi
in stile ottocentesco.
Questa è la storia,
e l'organo di Azeglio l'ha vissuta da protagonista, con continuità
attraverso queste due epoche apparentemente inconciliabili.
adriano giacometto