L’ARTISTA DEL ‘400 LAVORO’ ANCHE
NELLA SAVOIA
Giacomo da Ivrea,
pittore sui percorsi della Vallée
IVREA - Il percorso di Giacomo
da Ivrea s’è perfettamente calato in un territorio integrato: dalla
piana canavesana alla Valle d’Aosta, con uno sconfinamento in Savoia.
L’esordio lo vide impegnato,
parallelamente, nella campagna decorativa della cripta del duomo eporediese
e nella Pavone vescovile, durante l’estate 1424, con un ciclo di affreschi
nella cappella campestre di S. Grato, sull’altura ad oriente rispetto al
Castello, tuttora quasi del tutto sotto lo scialbo.
Un modello per i suoi decori
giovanili può essere adesso indicato nel giovane Martire del Maestro
d’Oropa che, appena restaurato, ha riacquistato una tenera amistà
dei colori, tra grigi digradanti e rialzi in rosa.
La grande occasione politica
per lui scattò durante il 1426 con la guerra tra Amedeo VIII ed
i Visconti di Milano, quando il primo duca di Savoia gli affidò
l’incarico di “raschiare” gli stemmi viscontei a Cavaglià.
Le tracce che ci permettono
di seguirlo nel suo avvicinamento e, poi, nel suo ingresso in Valle d’Aosta
si possono ancora rinvenire nell’Adorazione dei Magi di Settimo Vittone
e nell’Angelo annunciante di Pont-St.-Martin.
Una sosta più lunga
è richiesta dai suoi molteplici lavori nel cortile del Castello
di Fénis: alla quale seguì il ritorno in Canavese per l’esecuzione
della favola cortese nel Palazzo Vescovile di Ivrea.
L’opera nel presbiterio
della parrocchiale di St. Vincent sarà da considerarsi la sua più
impegnativa in Valle, conclusa prima di salire a Marseiller, nel dominio
montano dei Saluard, dove, nel maggio 1441, licenziò le Storie dell’Epifania
in S. Michele e, di lì a poco, la parata rievocativa dei paladini
di Francia, dipinta all’interno della casa-forte.
A Vulmix, invece, in Savoia,
reinterpretò la leggenda di S. Grato. La facciata sua più
bella è quella di La Madeleine, presso Gressan, che introduce con
la sua eleganza ad una straordinaria Vita della Maddalena (1463); mentre
il suo ultimo affresco si trova in S. Giacomo di Carpaneto, sulla collina
di Masino (1465).
Il successo gli dette case,
campi e bestiame: l’estremo documento, infatti, ce lo consegna alla memoria
come assegnatario ad Ivrea di pascoli comunali (1469).
La poetica figurativa di
Giacomo da Ivrea si colloca sotto il segno di un populismo fortemente venato
da tentazioni surreali, nel senso che l’artista volle essere un cantastorie
popolare dal linguaggio facilmente accessib ile ma anche accondiscendente
a delle libertà espressive spesso fantasticamente irrequiete.
A Marseiller, in S. Michele,
nell’entrare ci accoglie la figura del capomastro di villaggio: piccone
e mazza per frangere le pietre in spalla, mentre dalla cintura pende, legato
ad una corda, il coltello protetto dalla custodia di cuoio. Il suo volto
viene caratterizzato dal grosso naso, sporgente, e dai capelli acconciati,
ai lati, in uno sbuffo. Nella casa-forte, tra il fieno, i cavalieri, dal
varco della visiera alzata degli elmi, guardano lontano: essi sono Rinaldo,
Turpino, Merlino ed Oliviero - intercalati dagli stemmi borgognoni e viscontei,
quest’ultimi con il biscione.
E’ un modo compendiario
di raccontare, con l’accento posto su determinati particolari, che ama
la ripetizione dei motivi, interrotta dagli scatti d’umore, in una visione
del tutto anti-classica, solo apparentemente ingenua, non timorosa di ricorrere
al “brutto”: gli oggetti fluttuano nello spazio, senza rispettare la scala
delle proporzioni, nemmeno di quelle dimensionali.
Esemplare è l’intreccio
delle Storie di Maria Maddalena a Gressan: s’incomincia con il viaggio
da Gerusalemme per mare e lo sbarco a Marsiglia; si prosegue con la conversione
del principe che si reca in pellegrinaggio in Terra Santa, con la moglie
incinta che muore durante il viaggio su di un’isola, dopo aver partorito
un bambino. Fulcro del racconto figurato è l’episodio “miracoloso”:
al ritorno, passando di nuovo dall’isola, il principe ha la sorpresa di
ritrovare vivo il figlio: inoltre, ottiene - per intercessione della Maddalena
- la resurrezione della moglie. Si chiude con il ritorno felice a Marsiglia.
A tale sviluppo romanzesco,
infine, s’aggiunge una parte terminale più lirica: il ritiro di
Maria Maddalena nella solitudine di Sainte Baume, della grande grotta,
in penitenza; l’annuncio dell’angelo della morte prossima; l’ultima comunione,
con l’ostia in piena evidenza. Di grande risalto visivo è l’immagine
della Maddalena, dai lunghi capelli, confortata da visioni di Paradiso
ed assistita, in punto di morte, da san Massimino.
Colpiscono, in principio
di racconto, le scene marine, con la barca a vela tra le onde, fragile
guscio di noce, mentre i personaggi adottano la comuniazione attraverso
le mani.
L’impaginazione della facciata
di La Madeleine (1463), infine, presenta diversi motivi di interesse: il
S. Cristoforo, che rimanda a quello affrescato nel cortile del Castello
di Fénis, tra gli altri Santi nel verziere, è in contiguità
con il gigante in legno, con il S. Cristoforo ligneo colossale in St.-Etienne
di Aosta.
Per il S. Giorgio, invece,
occorre avanzare una differenza tra disegno nervoso e disegno calmo. Giacomo
da Ivrea ha frequentato a lungo Fénis e, quindi, ha visto il San
Giorgio che uccide il drago del Maestro piemontese, c. 1440: a Gressan,
più tardi, ne ha dato un’interpretazione più bloccata, molto
meno aristocratica e dinamica dell’esempio che ha preso a modello.
aldo moretto
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