CASTELLAMONTE - Recentemente
la Diocesi d’Ivrea ha incluso Silvio Chiarovano tra i “Testimoni della
Chiesa Diocesana”. Era novizio presso i Piccolo Fratelli di Charles de
Foucauld quando morì assassinato in Algeria, a 25 anni, all’interno
di una fattoria dove assisteva, accoglieva, sfamava la povera gente, in
particolare i bambini, che rischiavano di essere venduti schiavi dai ribelli.
Avvenne il 19 marzo del 1962.
La sua vicenda è
quindi nota in Diocesi, soprattutto nella sua cittadina di Castellamonte.
Lo ricordiamo qui perché questo martire “moderno” è discendente
del fratello della Serva di Dio Antonia Maria Verna, Giovanni Ludovico
(1783-1833): la di lui figlia, Francesca Maddalena Verna (1826-1911), sposata
nel 1847 a Giovanni Battista Rosso di Castellamonte, è la trisavola
di Silvio. Sono ancora viventi, sempre a Castellamonte, la madre, Teresa
Rosso in Chiarovano, e la cognata Elda Pagliero, vedova dell’unico suo
fratello Jean.
La famiglia era, ed è
consapevole di questa parentela. Domenico Rosso (1858-1943), fratello del
bisnonno di Silvio, il 27 settembre del 1937 testimoniò al Processo
Diocesano d’Ivrea per la Beatificazione della Serva di Dio, dichiarandosi
figlio di Francesca Maddalena Verna; il nonno, Giovanni Battista Guido
Rosso (1888-1982), il 10 aprile del 1962 si premurò di notificare
al Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano d’Ivrea don Lorenzo Depaoli,
che aveva aperto una borsa di studio a nome di Silvio, la parentela della
famiglia con la “venera ta Serva di Dio”, precisando che sua nonna “Francesca
Maddalena era figlia di un fratello della suora”. Un accurato riscontro
anagrafico ha confermato queste dichiarazioni.
Ora che la Diocesi ha rievocato
la memoria di questo martire; che il parroco di Castellamonte, don Vincenzo
Salvetti, ne ha pubblicato nel suo Bollettino un ampio profilo; che la
Beatificazione di Madre Antonia sembra avvicinarsi, ci è parso importante
ricordare questo legame, che sta a dimostrare come i “santi” non muoiano.
La pagina dedicata a Silvio
Chiarovano nel Bollettino parrocchiale di Castellamonte del 13 aprile scorso,
si apre con una domanda, forse provocatoria: “Lo possiamo considerare un
martire che dà la vita per la Fede?”. Un martire della Carità
senza dubbio; ma sappiamo che la Carità non può astrarre
dalla Fede.
Silvio aveva fatto della
sua giovane esistenza un’offerta a Dio per i fratelli bisognosi. Nel 1955,
a 18 anni, scriveva così alla madre per avere il consenso di entrare
nella “Fraternité des Petits Frères de Charles de Foucauld”:
“Dio mi ha chiamato ed io sono pronto a seguirlo, subito. Non si può
resistere alla sua voce perché è irresistibile... Mi fido
della sua parola... Fammi presente a papà e scongiuralo che mi dia
il permesso... Non potrei soffrire un diniego: troppo forte è la
sua voce... Il permesso a te non lo chiedo perché so che, quantunque
sia grande il sacrificio di un distacco, mi dirai sempre di sì e
mi offrirai con tutta l’anima a Dio”. Una vocazione forte e decisa. Fu
mandiato per il noviziato in Algeria a Dalidah, dove i Frères avevano
una fattoria.
Silvio capì subito
che la sua vita era in pericolo in un’Algeria rivoluzionaria ed omicida,
ma non si tirò indietro. Avendo portato in salvo in Francia un gruppo
di bambini orfani in una casa dei Piccoli Fratelli, alla superiora della
comunità disse: “S’il arrive quelque chose allez vous-même,
je vous en prie, prévenu maman”. Lo si legge in una lettera che
sorella Gabriella di Gesù, un’altra giovane del Gruppo Foucauld,
scrisse alla mamma di Silvio dopo la sua morte. In questa stessa lettera
del 12 novembre 1962 dice: “Près de son lit, le jour ou il est tombé,
j’ai trouvé les méditations de Bossuet marqué à
la page Préparation à la mort. Oui, il avait soif du face
à face avec Dieu... notre petit Frère a bien aimé
son Seigneur et les 3 dernièrs mois de sa vie il était vraiment
pervenu a Dieu seul suffit”.
Queste testimonianze aprono
uno spiraglio nell’anima di questo giovane missionario, permettono di scoprirvi
l’ardore di fede e di carità che ha accompagnato la sua missione
e gli ha fatto affrontare la morte, consapevolmente, senza esitazioni.
Cinque giorni prima di morire, il 13 marzo 1962, scriveva alla mamma: “...la
miseria è grande... per questo noi vogliamo restare qui; se ce ne
andassimo, sarebbe la morte di migliaia di gente, tra cui, quelli che soffrirebbero
di più sarebbero i bambini”.
Nulla per sé: tutto
per Dio e per i fratelli bisognosi, come la sua lontana parente Antonia
Maria. Due creature distanti nel tempo e nello spazio, nella mentalità
e nella cultura, ma accomunate da un vincolo misterioso di famiglia e di
vocazione. Due vite vissute in intensità, in risposta a Dio che
“ha chiamato”.
suor vita luigina
(suora dell’immacolata concezione di
ivrea)