Nelle aie assonnate e quasi deserte
di fine luglio, con la trebbiatura ormai incombente anche loro subivano
un improvviso risveglio. Per noi ragazzi erano soprattutto i preliminari
di questo ricorso stagionale ad incantarci. L'incanto iniziava con l'arrivo
in borgata di quel bel po' di assordanti marchingegni trebbianti che disposti
com'erano uno in coda all'altro, componevano un convoglio che per dimensione,
ingombro e lungaggini inerenti alla loro sistemazione, tenevano le carrarecce
del borgo impegnate per ore: ma ciò, lungaggini e quant'altro erano
anch'esse parte dello spettacolo. Il convoglio era composto dal trattore
Bubba al rimorchio del quale vi era, con gli evidenti colori della fatica,
la trebbiatrice e dietro a questa, impolverata quanto e forse più
della prima, l'imballatrice. Più che per la prima di queste macchine
con i suoi meccanismi dedicati alle varie fasi di lavoro con cui si esplicava
la trebbiatura, per noi ragazzi era e lo era da sempre, il puffante Bubba
a tenere banco, ad affascinarci; un trattore a testa calda il cui nome
- come si rileva ancora oggi dal suo nome dal suono pieno e pastoso - era,
non solo di grande famigliarità, ma tanto accattivante nelle sue
manifestazioni da indurci finanche a posporre qualsiasi altro interesse
a più lontane date. Insomma, a dirlo a piena bocca, il Bubba era
un nome riverito quanto e forse più di quello della Ferrari di F1
d’oggidì. L'unicità del Bubba, parland coma cha fossa ancora
an quàiche cort 1, era dovuta, tra le sue molteplici peculiarità,
alla ritualità necessaria per la sua messa in moto e fatto non secondario,
per la sua puffante ritmica gioiosità con la quale sapeva esprimersi
una volta avviatosi. Il trattore era equipaggiato con un motore a testa
calda dalle più accomodanti caratteristiche ed esigenze e lo era,
anche se nella lista delle sue preferenze alimentari - alimentari, si fa
per dire - vi era pur sempre il reperibilissimo petrolio: lo stesso che
s'impie-gava per le lampade a petrolio. Ciò che più affascinava
di quel geniaccio di motore, erano i suoi puff, puff,
puff i quali, intervallati l'uno dall'altro come solo il Bubba sapeva
fare, suscitavano in noi in noi ragazzi senza che ce ne avvedessimo, sensazioni
ed entusiasmi che andavano ben al di là di quanto venne poi espresso
sull'argomento dal contenuto di alcune tesi di laurea qualche anno dopo.
Entusiasmi, che sommati ad altri, ci accostavano ancor più a quel
mondo e a quel modo d'essere che caratterizzava la gente del borgo. Era
per tutte queste cose ed altre insieme, se nel suo annuale appuntamento
noi continuavamo ad accoglierlo, quasi fosse l'amico di sempre, con la
chiassosa aggregante allegria dal sapore di festa paesana. Oltre che dal
trattorista, che invidiavamo e lo consideravamo più di un dio in
terra, il convoglio si componeva anche di un paio d'inservienti il cui
compito era quello d'intervenire agendo, per mezzo d'apposite lunghe leve
opportunamente rinforzate e sagomate, ora sulle ruote della trebbiatrice
ora su quelle dell'imballatrice - od ambedue insieme - affinché
le stesse superassero le difficoltà insite di un percorso fatto
di strettoie, curve, erte, dossi e buche con cui in modo quasi civettuolo,
si beava un po' tutta la nostra piccola simpatica borgata. L'impegno degli
inservienti raggiungeva poi l'acme quando il convoglio doveva affrontare
la breve ma tortuosa rampa che adduceva all'aia dël Pero dal
Gir2; aia nella quale, in virtù della sua ampiezza più che
dalla sua locazione e a dispetto delle difficoltà di accesso, da
sempre vi si svolgevano le operazioni di trebbiatura per tutta la comunità
borgatara. A quel punto, come già avevano operato l'anno prima,
si staccava l'imballatrice e si dava così modo al più ridotto
convoglio - Bubba e trebbiatrice - d'infilarsi, come si sarebbe infilato
il filo nella cruna di un ago, tra i due piloni indicanti, come spesso
usava, l'accesso alla proprietà; se poi i piloni esibissero delle
sconnessioni causate dalle manovre di accesso dello stesso convoglio nelle
stagioni precedenti beh, vi era una ragione in più per suggerire
a quel "dio in Bubba" come affrontare più razionalmente la parte
finale del percorso. Lo si suggeriva, ricordo, con una sequela di raccomandazioni
come fa parèj e nen parèj3 eccetera le quali, più
che ad essere d'aiuto al già menzionato "dio in Bubba", l'infastidivano
al punto, che divenne nostro dovere nel proseguire a dargliene. Guadagnata
infine l'aia, la trebbiatrice era sistemata in modo - come si direbbe oggi
- ottimale rispetto alla travà sulla quale erano accatastati i covoni
da trebbiare. Stessa cosa e stessi suggerimenti si sarebbero poi ripetuti
per la gioia del trattorista, per la messa in opera dell'imballatrice.
Sistemate le macchine in aia, ne si verificava l'assetto e l'interdipendenza
funzionale: il Bubba in testa poi, opportunamente allineata e distanziata
dal trattore, la trebbiatrice e dietro a questa l'imballatrice. La forza
motrice per tutto quel bell'insieme di macchine era generata dal Bubba
che a sua volta, tramite pulegge dalle più appropriate dimensioni
e cinghie di trasmissione larghe più di due spanne e lunghe quasi
quanto l'aia, la distribuiva alla trebbiatrice e alla buon'ultima, che
era poi se ce la fossimo dimenticata, l'imballatrice, proprio lei. Insomma
tutto era pronto. La trebbiatura avrebbe avuto inizio dòp disné.
Finita la pausa, mentre quel dio in terra nella persona del trattorista
con una lampada a benzina riscaldava la testa - o calotta - del Bubba per
predisporlo al successivo riavvio, i vari lavorant4 e qualche lavoranta
con dei fazzolettoni si coprivano viso e collo per ripararsi dal polverone
che di li a poco li avrebbe sommersi, noi, proprio noi ragazzi continuavamo
a bersagliare quel dio in terra con domande sul Bubba che continuavano
comunque ad essere senza risposta. Arrivò anche il Berto ëd
Rita e così, su due piedi come era uso fare, ci illustrò
in un modo assai efficace, il processo di trebbiatura. Ricuperò
un paio di spighe da un covone, le racchiuse nel palmo delle mani, le torse
e al tempo stesso le strizzò facendo fuoriuscire i grani dalle spighe;
una soffiata sullo strizzato - come dire, sul trebbiato - e voilà:
il risultato della trebbiatura era tutto lì: grano, pula e paglia.
Al termine della fase di preriscaldamento, il Bubba collaborò com'era
uso a fare e si mise in moto al primo tentativo: c'era da esultare! Intanto
i vari lavorant avevano preso posto nei punti accordati in precedenza lasciando,
all'imbocco della trebbiatrice - come si sarebbe lasciato il timone di
una nave ad un esperto timoniere - tanta era la responsabilità di
quel sito - allo sveglio Tiglio dal Lagh5: uno specialista in fatto di
trebbiature. Una volta iniziatosi, il processo di trebbiatura proseguiva
spedito e preciso con un insito senso all'ottimizzazione davvero notevole.
Con un passamano alquanto estroso, i covoni passavano, con modalità
circense di grande effetto, dalla travà al piano di lavoro dov'era
sistemato Tiglio dal Lagh e da questi lestamente inviati nell'imboccatura
della trebbiatrice che ingorda com'era, ingoiava a tutto spiano. Tuttavia
era la stessa trebbiatrice a segnalare i casi d'ingorgo eccessivo, con
appropriati rallentamenti che erano, come dire, il suo educato modo di
dire: adasi fiòi!6 La naturalezza delle intese gestuali tra
gli addetti ai lavori erano, quasi seguissero uno spartito musicale, di
grande interesse quanto di considerevole efficienza. Anche se nasi e bocche
erano poste al riparo dalle emanazioni polverose prodotte nel corso del
processo di trebbiatura con appropriate contromisure, queste non riducevano
punto, ricordo, né l'allegria né il carattere sbrigativo
degli addetti ai lavori. Rarissime le interruzioni; festosa l'atmosfera.
Dopo aver svuotato il granaio del padrone di casa dell'ultimo covone, il
processo di trebbiatura riprendeva con i covoni accatastati sui carri dei
villici che in attesa del loro turno, si erano precedentemente disposti
ai lati dell'aia. Dopo la rituale sorsata dal fiasco di vino, generalmente
distribuito dal proprietario dei covoni in trebbiatura, i lavoranti riprendevano
il lavoro: solito ritmo simili le modalità, ulteriormente ridotta
la loquacità. Trainati dalle mucche o dai cavalli, i carri, carton
e birocc7 disposti ai lati dell'aia erano a turno accostati alla
trebbiatrice e svuotati dei loro covoni che venivano immediatamente trebbiati.
Successivamente, gli stessi carri, birocc e carton erano ricaricati
con quella parte di grano e di paglia ad essi pertinenti e ciò,
carro dopo carro, sino al termine della trebbiatura. Solo allora il Bubba
e i lavoranti pressoché irriconoscibili nelle loro maschere di polvere
si concedevano un momento di riposo. I caratteristici copricapi di paglia
o caplin-e scoprivano ed evidenziavano per contrasto, il biancore di alcune
tra le più discusse pelate del borgo: tra queste, quella del Montana.
Ma di loro, Pedrin, Chinota, Marieta, Gioachin dla Rin-a, Berto e Annibale
e altri personaggi e altre cose di quel mondo ormai scomparso ne parleremo
un'altra volta: dopo tutto a lë tard e anche per nojautri a
lë ora d'tournesne a ca. Ciao Bubba, arvëddse a nautre'an9.
alessandro crotta
1) Parlando come se lo stesso fosse ancora in qualche cortile; 2) Pietro della località Gir; 3) fare in questo modo e non in quello; 4) aiutante; 5) Attilio del lago; 6) adagio ragazzi; 7) carri di vario tipo; 8) è tardi; 9) noi è arrivata l'ora di ritornarsene a casa. Arrivederci al prossimo anno.