IVREA - Le conferenze del rabbino
Luciano Caro sono sempre interessanti ed avvincenti, come ha constatato
il pubblico intervenuto all'incontro di lunedì 18 febbraio nella
suggestiva sala dell'Antica Sinagoga di Ivrea, ricche di spunti e di arguzia,
cosa che rende vivace l'esposizione ed attira l'attenzione.
Lo scopo di questi incontri, come
ha esordito il conferenziere, è di stimolare alla lettura della
Bibbia, cosa che ogni ebreo può fare nel modo che gli è più
congeniale e secondo la propria preparazione, almeno finché si tratta
soltanto di comprendere il testo, salvo Genesi 1 ed Ezechiele 1, capitoli
che parlano della creazione e dell'apparizione di Dio su un misterioso
carro celeste, capitoli considerati particolarmente difficili e che perciò
vanno letti e studiati almeno in due. Quando se ne vuole invece ricavare
una normativa, si devono seguire certi "parametri" per evitare l'anarchia
delle interpretazioni.
Il tema era "I dieci Comandamenti",
che cristiani ed ebrei hanno in comune, e che dovrebbero essere alla base
di tutte le società.
Partendo da Esodo 19, il rabbino
ha fatto un bel commento di passi biblici sul tema, precisando però
subito che l'espressione "dieci Comandamenti" usata correntemente dai cristiani
non vale per gli ebrei, che li chiamano "le dieci parole", in quanto li
considerano espressioni usate da Dio parlando con Mosè. Non sono
poi dieci comandamenti, perché il primo, "io sono il Signore Dio
tuo", è una dichiarazione di identità. Queste dieci espressioni
furono date a Mosè in un giorno non precisato ed su un monte non
identificato, sicuramente non sul Sinai geografico attuale. Si sa solo
che il popolo degli israeliti era allora "nel deserto", in una zona disabitata,
in un territorio di nessuno, sul quale nessuno poteva rivendicare possesso
od autorità. Secondo gli esegeti ebrei c'è una ragione perché
non siano precisati giorno e luogo: ogni ebreo, leggendo la Bibbia, deve
considerarle attuali e dirette a lui nel momento in cui legge; "quel giorno"
e "quel luogo" imprecisati sono per lui un "qui ed ora per te".
Queste dieci parole compendiano
tutto l'insegnamento della Bibbia, ma ad esse, pur dopo 2500 anni di discussioni,
non viene riconosciuta più autorità che alle altre parole
della Bibbia: sono tutte ugualmente autorevoli. Di comandamenti, poi, gli
ebrei ne trovano nella Bibbia ben 620.
Le dieci parole sono disposte secondo
una gradualità ed un parallelismo che, ha poi sottolineato il conferenziere,
mostrano logica e psicologia: per esempio il parlare prima del rispetto
della vita, poi della famiglia, del buon nome e degli averi altrui, in
parallelo con il rispetto del nome di Dio, del sabato, dei genitori, i
quali ultimi si trovano in una posizione particolare, tra Dio e il prossimo.
Il fatto che le dieci parole inizino
con il nome del Signore e finiscano con il rispetto per i beni altrui,
ci permettono di compendiare tutta la legge con i due precetti dell'amore
di Dio e del prossimo. Tra le altre cose, è curioso constatare che
il decimo precetto: "non desiderare la donna e la roba degli altri", non
proibisca il desiderio in sé, ma il furto e l'appropriazione indebita.
Il desiderio non è di per sé un male, esso è dovuto
all'istinto e può essere stimolo all'azione. Invece il "non rubare",
visto nel contesto del libro biblico e nella terminologia del tempo vale
un "non rapire, non togliere la libertà": pare che a quei tempi
il rapimento di persone fosse un fenomeno molto frequente, molto più
di adesso. Nulla di nuovo sotto il sole, ma c'è di che consolarci?
g.c.