Fare Pasqua. E’ questa l’espressione
tradizionale che indicava, e indica ancora, l’adempimento del “precetto”
pasquale, la confessione e la comunione. Senza nulla togliere al valore
di una pratica sacramentale, che per un certo numero di persone resta un
appuntamento importante, mi pare utile ricuperare, specialmente per il
sacramento della penitenza, la dimensione del cammino, dell’itinerario
penitenziale, che vede nel sacramento del perdono il culmine di un percorso
e l’inizio di un periodo nuovo della propria vita. Analogamente a quanto
il Concilio dice per l’Eucaristia, anche per la Riconciliazione si può
parlare di culmine e fonte del cammino di conversione.
Penitenza è il termine latino
usato per tradurre il termine greco usato dal Nuovo Testamento: “Meta-noia”,
cambiamento di mentalità. Nell’ebraico dell’Antico Testamento e
nella liturgia ebraica odierna si parla di “Ritorno” e subito a noi cristiani
viene in mente la parola del Padre misericordioso e del figlio che torna
a casa. Sia che si parli di cambiamento di mentalità o che si parli
di ritorno sempre si sottintende un percorso interiore da compiere, che
ha bisogno normalmente di essere sostenuto anche da momenti esteriori,
vissuti sia individualmente sia comunitariamente. Questa è l’altra
dimensione da ricuperare: non siamo mai peccatori solo di fronte a Dio
e a noi stessi e non c’è ritorno al Padre se non passando attraverso
i fratelli e con loro.
Nella parabola citata l’atteggiamento
del figlio maggiore insegna.
Prima che si avvicinino i giorni
della Settimana Santa, con le celebrazioni penitenziali che in molti luoghi
sono la nuova forma del “precetto” pasquale, vorrei suggerire di far precedere
la celebrazione del sacramento da qualche altro appuntamento che serva
come tappa di avvicinamento alla Confessione e la renda un’esperienza più
profonda e incisiva. E’ indispensabile mettersi di fronte alla Parola di
Dio, la spada a due tagli che mette a nudo le nostre povertà: un
esame di coscienza da far durare non qualche minuto ma qualche settimana.
Può essere questa anche l’occasione per riscoprire i gesti penitenziali
antichi: la cena digiuno non solo per condividere qualcosa con i più
poveri ma per riesaminare il nostro stile di vita; un tempo di silenzio
per liberarci da rumori e parole, per rieducarci all’ascolto; ecc. Se la
Confessione è in crisi questo non dipende tanto dalle modalità
della celebrazione ma dal poco spazio che concediamo alla presa di coscienza
della nostra lontananza dai piani di Dio, alla luce della sua Parola. Questo
è il primo peccato: essere lontani dai suoi progetti, non curarsi
di conoscerli, non avere tempo di fermarsi.
Fare Pasqua è salire a Gerusalemme
seguendo Gesù: strada ripida, che supera un forte dislivello, richiede
qualche sosta, per giungere a Gerusalemme con un cuore più disponibile
a vivere con il Signore Gesù la sua Pasqua.
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