IVREA - Laura Alberghino
si presenta alla porta del mio ufficio con quel sorriso a 180 gradi, che
conosco da sempre.
- Habari jako? (Come
va?)
Le chiedo di darsi anche la risposta,
visto che del kiswahili non ho padronanza.
- Msuri! (bene!).
- Msuri! Ripeto con
disinvoltura la sua risposta.
E' appena rientrata
dal Kenya, dove ha fatto un'esperienza di volontariato.
Scambiamo qualche battuta
di circostanza, ricordando uno dei nostri primi incontri, di qualche anno
fa, quando mi disse, senza temporeggiare: Il mio sogno è l'Africa.
Le offrii il Brasile: l’accettò, come noviziato.
Qualche anno dopo partecipò
a un viaggio con me in Madagascar, come assaggio e avvicinamento.
Laura, raccontami qualcosa
della tua Africa.
Sono stata a Isiolo,
300 Km a nord di Nairobi, sopra l'equatore. Isiolo vuol dire “porta del
deserto”, perché si trova nella fascia predesertica; da lì
si dipartono due strade, di cui una va in Somalia, l'altra in Etiopia.
Sono stata nella missione delle suore di Santa Maria di Loreto, che fanno
riferimento a Vercelli, per aiutare soprattutto nell'asilo, che accoglie
170 bambini, divisi in 4 classi.
Suppongo che abbia
incontrato qualche difficoltà con la lingua.
I bambini parlavano
il kiswahili; per cui, all'inizio avevo possibilità di parlare solo
con le suore in italiano, poi ho cominciato a parlare un po' in inglese
con le ragazze che vivono nella casa di formazione, mentre si preparano
a diventare suore e anche con le maestre dell'asilo; infine ho imparato
il kiswahili quel tanto da farmi capire.
Con i bambini non ci
sono mai stati, comunque, problemi di comunicazione: li facevo giocare,
insegnavo canzoncine, facevo fare ginnastica, lavoretti manuali, disegni.
La cosa bellissima
è che al termine delle ore passate con loro tutti mi ringraziavano:
"Grazie e Dio ti benedica". Nella mia esperienza di insegnante di
scuola materna qui in Italia, non mi era mai successo.
Sono i genitori stessi
che educano i figli ad essere accoglienti. Nella cultura africana l'accoglienza
è sempre al primo posto.
Ma come funziona questo
asilo?
Sono accolti bambini
di tutti i tipi: bambini molto poveri, parecchi adottati a distanza
dall'Italia, altri bambini, figli di medici e infermieri, bambini cattolici,
musulmani, di tribù diverse, perché a Isiolo convivono molte
tribù: kikuyu, turkana (che sono ancora nomadi), samburu (guerrieri),
masai (i più alti). Da una parte questa promiscuità può
creare delle tensioni, ma dall'altra parte permette di valorizzare gli
aspetti positivi del pluralismo.
L'asilo ospita bambini
dai tre ai sei anni, ma in pratica è come una scuola elementare
da noi: a tre anni i bambini imparano già a scrivere e studiano
l'inglese. Le classi sono comunque formate da bambini di età diverse.
Tu hai fatto esperienza
anche nelle nostre missioni in Brasile: che differenze hai notato?
Una differenza che
ho notato è questa: in generale in Brasile la gente mi è
sembrata molto più gioiosa, più pronta alla festa, al sorriso:
in Kenya mi è sembrata molto più rassegnata, meno portata
all'allegria o con una gioia più contenuta.
E poi la condizione
della donna, specialmente presso alcune tribù: le donne sono praticamente
serve del marito e del clan familiare. Non possono prendere decisioni;
hanno difficoltà a parlare in pubblico e non parlano mai dei loro
problemi.
In Kenya c'è
molta più povertà che in Brasile. Dipende, comunque, da zona
a zona: dove la pioggia è abbondante e ben distribuita i problemi
sono minori, perché i contadini riescono a coltivare mais e fagioli,
che sono gli alimenti base.
Nella zona di Isiolo,
almeno nel periodo in cui sono stata io, è piovuto pochissimo; in
compenso il vento è sempre stato molto forte e ha condizionato tutto
il raccolto.
Come vivono le famiglie?
Sono tutte molto numerose:
8 o 9 bambini. I bambini più grandi si prendono cura dei fratellini
più piccoli. E' la donna, in genere, che ha la responsabilità
della casa e della famiglia, perché il marito lavora magari a Nairobi,
quindi si vedono 2 o 3 volte all'anno; anche se ci sono solo 5 ore di viaggio,
l'autobus costa troppo.
E l'ambiente sociale?
C'è qualche tensione. Soprattutto
tra musulmani, somali e tra le tribù. Mentre ero a Isiolo
hanno incendiato una chiesa, hanno minacciato di bruciare la missione centrale
e altre chiese.
Sono tensioni anche
politiche: alla fine di quest'anno ci saranno le elezioni. Il presidente
è un dittatore: lo vedi anche dai monumenti, dove è rappresentato
con un bastone in pugno.
Domanda superflua,
ma d'obbligo: l’esperienza ti è piaciuta?
Penso che sia l'esperienza
più bella che ho fatto nella mia vita. Ho imparato a conoscere meglio
me stessa e la gente che ho incontrato.
Ora vedo le cose in
modo diverso. D'ora in poi non mi lamenterò più di niente.
Ho imparato ad adattarmi a vivere in qualunque ambiente: sono anche stata,
infatti, per un mese in un villaggio, che ospita bambini di strada dai
sei a 16 anni; un villaggio gestito da un missionario della Tanzania, aiutato
da un gruppo italiano che si chiama "Amici del villaggio S. Francesco"
di Osnago. Mi hanno incaricata di insegnare un po' di italiano. Nei primi
giorni, confesso che ho avuto difficoltà ad ambientarmi, perché
mancava tutto, anche l'acqua e l'energia elettrica. Ma poi ci si arrangia
e ci si abitua.
Un incontro che mi
ha impressionato molto è stato quello con Alex Zanotelli a Korogocho:
ho trovato una persona di una semplicità e di una affabilità
coinvolgenti. Mi ha fatto sentire a mio agio, anche nello squallore di
una baraccopoli.
E adesso?
Ho deciso per un po' di tempo di
non occuparmi più di bambini: non perché i bambini non mi
piacciano; ma perché voglio fare altre esperienze, con adulti. Fare
anche cose diverse; per esempio, con gli immigrati extracomunitari. Con
i bambini, forse è più gratificante, ma ho voglia di cambiare.
Grazie e auguri, Laura!
La voglia di cambiare ti permetta
di sognare ancora.
don gianni giachino