La lettera apostolica
di Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte ha come cornice che la inquadra
il Concilio Vaticano II, i cui principali documenti sono citati ben 21
volte su un totale di 44 citazioni. In essa il Papa ribadisce la necessità
di realizzare le indicazioni conciliari, la cui mancata ricezione era stata
già indicata nella Tertio millennio adveniente come uno dei più
gravi peccati di omissione. I testi del Concilio, scrive il Papa,
non perdono il loro valore né il loro smalto. Questi devono esser
letti in maniera appropriata, conosciuti e assimilati, come testi qualificati
e normativi del magistero. Il Concilio è la grande grazia di cui
la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX. Esso è la bussola di orientamento
del secolo che si apre (n. 57).
Anche i Vescovi italiani
negli "Orientamenti pastorali" per il primo decennio degli anni duemila
pubblicati col titolo Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia anticipano
che "nei prossimi anni compir[anno] un cammino [pastorale] guidato da un
costante riferimento al Concilio Vaticano II e dal suo messaggio. Alcuni
passi saranno l'impegno per una pastorale della santità...; la comunicazione
del Vangelo ai fedeli, a quanti vivono nell'indifferenza e ai non cristiani,
qui... e nella missio ad gentes..." (67).
Partendo da queste
sollecitazioni abbiamo voluto richiamare alla memoria la grande "epopea"
del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), attraverso la testimonianza
di mons. Luigi Bettazzi, uno dei pochi protagonisti ancora viventi - e
tutti "emeriti", cioè in pensione - tra i vescovi italiani che vi
hanno partecipato. Sul Concilio egli ha anche pubblicato, qualche
anno fa, presso la Queriniana un agile libretto da titolo "Il Concilio
Vaticano II / Pentecoste del nostro tempo" dove sviluppa le idee che fanno
da sostrato a quanto dice in quest'intervista.
Monsignore, cosa
ricorda di quel grande evento? Ritiene che il Concilio abbia ancora qualcosa
da dire alla Chiesa di oggi?
Ritengo una delle grazie
più grandi che Dio mi ha fatto l'aver partecipato al Concilio Vaticano
II, tanto più come vescovo Ausiliare del card. Giacomo Lercaro,
che era arcivescovo di Bologna e uno dei quattro moderatori del Concilio
(e che aveva come segretario don Dossetti). Fu per me una rivelazione dell'universalità
e della varietà della Chiesa, nell'incontro con Vescovi di tutto
il mondo, le loro storie, le loro culture, le loro molteplici sensibilità.
Per tutti noi, ma poi per la Chiesa intera, fu un rendersi conto che le
verità, i riti, le stesse strutture della Chiesa hanno pieno valore
solo se si mettono in stretto rapporto con le persone umane, e proprio
con quelle del nostro tempo e di tutti i luoghi. Fu quello che Giovanni
XXIII intendeva quando volle un Concilio "pastorale".
Quali punti in particolare
possono venir ricordati, di questa innovazione?
Come in ogni Concilio,
i documenti fondamentali del Vaticano II restano le Costituzioni, che furono
quattro: sulla Parola di Dio, sulla Liturgia, sulla Chiesa in sé,
e sulla Chiesa nel mondo d'oggi. Il Concilio ha rimesso il popolo in ascolto
della Parola di Dio, che prima sembrava affidata alla gerarchia perché
la trasmettesse ai fedeli con le proprie parole o con i catechismi. E la
Liturgia è più che mai diventata la preghiera di tutti: se
prima si "assisteva" alla Messa, oggi si "partecipa". E nella Chiesa è
stata messa in evidenza la parte attiva di ogni cristiano in forza del
Battesimo, e si è puntualizzata la caratteristica della "comunione"
ad ogni livello, quasi come l'aspetto religioso di una equipollente democrazia,
pur condizionata dall'"ultima parola" affidata alla gerarchia. Ed infine
la Chiesa non si è più trovata contrapposta al "mondo", quasi
in atteggiamento di conquista o di difesa, bensì si è riconosciuta
come lievito di un'umanità incamminata verso il "Regno di Dio".
Secondo Lei, il Concilio
Vaticano II può ancora influire sul rinnovamento della Chiesa o
c'è bisogno - come qualcuno suggerisce - d'un nuovo Concilio?
A parte il fatto che
oggi non c'è più il clima dinamico d'allora e che si correrebbe
il rischio di un'Assemblea più... piatta (certo lo Spirito Santo
può far tutto, ma... oggi Gli costerebbe di più!), trovo
che, anche limitandomi ai temi toccati (Parola di Dio, Liturgia, Chiesa
comunione, Chiesa aperta al mondo e impegnata per la pace) molto si è
già fatto, ma molto si può e si deve ancora fare. Il fatto
che il Papa incoraggi anche i laici ad attuare il Concilio ne è
un segno. Forse ci vuole più coraggio. Pensi, ad esempio, al cammino
ancora lento nell'ecumenismo con le altre Comunità Cristiane; pensi
alle stesse strutture di comunione, dai Consigli pastorali alle Conferenze
ed ai Sinodi episcopali, in cui sentiamo ancora forti le chiusure individualistiche.
Ricordi che lo stesso Sommo Pontefice, nell'enciclica Ut unum sint ha ammesso
che sarebbe opportuno rivedere le modalità d'esercizio del Primato
pontificio!...
Lei ha parlato della Chiesa e della pace... Potrebbe riprendere l'argomento?
Il Concilio sollecitato
dall'Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII ha preso coscienza del
compito non solo di parlare ai fedeli cattolici, ma di condividere con
tutti gli uomini di buona volontà l'impegno per un'umanità
nuova, più solidale e più pacifica. La costituzione Gaudium
et spes ha avuto questo compito. Pur senza imporre ad alcuno le nostre
radici di fede, siamo chiamati a proporre le conseguenze che ne deriviamo
e che costituiscono una sintesi alta dei valori umani. Penso alla solidarietà
e al farsi voce dei popoli poveri, che è immediata deduzione dal
Vangelo e che va presentata come l'unico cammino valido per un mondo di
pace e di giustizia. In questa luce anche gli appelli che la Chiesa ed
i cristiani hanno fatto, al di fuori della violenza, nel G8, che si è
svolto a Genova, non costituiscono intervento politico ma richiamo morale.
In fondo hanno un po' di ragione i popoli poveri a denunciare la violenza
dei paesi ricchi, che con norme commerciali e finanziarie a loro favorevoli
finiscono col ridurre sempre più alla miseria e alla dipendenza
la maggioranza dell'umanità. La sollecitazione di quest'attenzione
fu data alla Chiesa proprio da Papa Giovanni e dal Concilio.
salvatore bussu