IVREA - Giovedì
15 noi cittadini di Ivrea abbiamo ricevuto un grande onore: Rigoberta Menchù
è diventata nostra concittadina. Con voto unanime il Consiglio Comunale
di Ivrea le ha conferito la cittadinanza onoraria, che le è stata
consegnata ufficialmente con una solenne, ma anche affettuosa cerimonia
la sera del 15 nella Sala Dorata del Comune.
In precedenza, al Centro
“La Serra”, Rigoberta aveva parlato nell’incontro “Lezioni di pace” ad
una platea affollatissima e commossa. Sì, perché ammirazione
e commozione sono i sentimenti che suscita questa piccola donna, abbigliata
come una regina nel suo luminoso abito indigeno, la fascia multicolore
nei capelli come una corona, il sorriso aperto e generoso, e non si può
non pensare al dolore e alla tragedia che è alle sue spalle, dolore
e tragedia di tutto un popolo, anzi di tutti i popoli indios.
Rigoberta ha parlato
del problema della sicurezza nei paesi toccati dall’immigrazione, che ad
essa reagiscono chiudendosi; ha insistito sulla cancellazione del debito
ai paesi poveri e sulle necessità che l’Occidente investa di più
nel Terzo Mondo, riconoscendo nel contempo gli errori passati, per dare
una ricompensa non solo economica, ma anche morale a quei paesi. Queste
erano le preoccupazioni scaturite da un congresso mondiale a Johannesburg
prima dell’11 settembre, quando si è aperta una nuova pagina della
storia. Rigoberta, che in quei giorni si trovava a New York, ha raccontato
il lavoro svolto con altre personalità per sollecitare un intervento
dell’Onu che salvaguardasse la legalità internazionale e la sua
delusione per come si sono svolti i fatti. La sua grande preoccupazione
è che col pretesto della sicurezza nazionale venga gravemente limitata
la libertà dei cittadini e il suo pensiero va ai tempi della guerra
fredda, quando nell’America Latina furono compiute violenze di ogni genere:
in Guatemala 200 mila morti (oggi si stanno scoprendo i cimiteri nascosti,
sono già 200 e in essi il 33% dei sepolti sono bambini).
Rigoberta manda un
appello a tutti, perché vengano riscoperti i rapporti umani, vengano
avviate iniziative di pace, portando avanti progetti duraturi, perché
non si deve parlare di pace solo quando questa non c’è, bisogna
costruirla sempre. E dichiara: non credo nella guerra, ma nel negoziato
e nell’Onu.
Ali Rashid, vice-ambasciatore
palestinese, si dichiara ottimista, malgrado tutto, afferma che pace e
democrazia per cinquant’anni hanno reso l’Italia un paese rispettoso, attento
e partecipe dei problemi del suo popolo. La carta del Medio Oriente, dopo
la 1a guerra mondiale, fu disegnata secondo gli interessi dei vincitori.
In seguito le risoluzioni Onu non vennero rispettate, 2/3 dei palestinesi
vennero espulsi e vivono in campi profughi, perché i loro problemi
non possono essere risolti dai paesi arabi (pensiamo ai massacri di palestinesi
che lì furono compiuti). Va rispettata la legalità internazionale;
è insensato mettere un paese al posto di un altro. I palestinesi
non hanno colpa dell’Olocausto. Il fondamentalismo danneggia le cause che
vuol difendere. Per lo sviluppo vero dei popoli non c’è altra via
che la democrazia.
Questi i punti principali
sviluppati nella relazione di Alì Rashid. La lezione di pace, così
complessa e ricca, lascia lo spazio alla riflessione di tutti.
liliana curzio