TORINO - Politici
cristiani “abbandonati” o poco assistiti dall’istituzione ecclesiastica?
Se questa è l’impressione talvolta avvertita - ha osservato il Card.
Poletto all’inizio dei lavori del Convegno su “i cristiani e l’impegno
politico” tenutosi lo scorso sabato al teatro “Valdocco” di Torino, su
iniziativa della Conferenza episcopale piemontese - c’è da augurarsi
che non corrisponda alla verità. In ogni caso, il convegno è
“un chiaro segnale di sostegno”, da parte della Chiesa ufficiale, alla
“missione” dei cattolici in politica, ormai presenti in quasi tutti i partiti.
Il contesto pluralistico in cui tale missione si svolge non può,
però, ignorare - ha ancora soggiunto il Cardinale Arcivescovo -
la necessaria convergenza sui valori essenziali. Non tutti i programmi,
infatti, sono indifferenti o equidistanti rispetto alla fede cristiana.
Mons. Ferdinando Charrier,
Vescovo di Alessandria e incaricato CEP per i problemi sociali, ha richiamato
i punti fermi della dottrina ecclesiastica sui rapporti fede-politica:
l’esigenza per il credente di cercare innanzitutto il disegno divino nella
storia, il richiamo, suggerito dalla stessa fede, che “la città
dell’uomo non si costruisce senza l’aiuto di Dio”, l’opportunità
di applicare - verso l’alto e verso il basso - il principio di sussidiarietà,
ed ancora l’ammonimento a non tradurre la legittima varietà di scelte
politiche in una sorta di “diaspora culturale” senza solidi punti di riferimento.
Insomma, l’ancoraggio dell’attività politica, dove è possibile,
ad una chiara identità di fede. La relazione di Andrea Riccardi,
uno dei fondatori della Comunità di Sant’Egidio, a Roma, ha disegnato,
nella forma di un’appassionante testimonianza, una parabola che, partita
dal rifiuto dello slogan sessantottino “Tutto è politica!”, è
giunta all’elogio della politica, soprattutto ora che sembra essere meno
ambita come prospettiva di impegno civile.
E’ stata l’esperienza
ecclesiale, soprattutto di ascolto della Parola di Dio e di fraternità
comunitaria, ad aiutare a vivere nella complessità sociale, senza
avere la pretesa di spiegare tutto, ma sostenuti dalla certezza di avere
un riferimento sicuro. Ciò ha educato ed educa ad ascoltare prima
che a gridare. Crea un salutare antidoto alla smania del fare, e “restituisce
a ciascuno il cuore”, perché lì nascono le domande più
interessanti.
A restituire la capacità
di un riferimento al “cuore” non è una vaga idealità religiosa,
ma l’impatto con il mondo dei poveri, il tentativo, per dirla con Gregorio
Magno, di “non sprecare il tempo della misericordia”. L’apertura ai poveri,
di qui o disseminati nelle vaste aree del sottosviluppo africano, mette
al riparo dalla grave malattia di cui soffre il mondo dell’opulenza: l’
“amore di sé”, che paralizza e sopprime un respiro più ampio.
Il coinvolgimento nelle
tragedie africane - sottosviluppo, colonialismo, conflitti tribali - ha
consentito, fra l’altro, di apprezzare meglio il valore della politica.
La mediazione offerta dalla Comunità di Sant’Egidio alle fazioni
in conflitto in Mozambico (una guerra “dimenticata” che è costata
un milione di morti!) era mirata a far compiere - al guerrigliero e al
militante del partito unico governativo - un “salto culturale”, oltre che
politico: si trattava della difficile scommessa di convertire il conflitto
armato in lotta e dialettica democratica. Sotto il sole dell’Africa, proprio
a confronto con le tendenze pericolose alla corruzione e al tribalismo,
si scopre, secondo A. Riccardi, il valore dello stato e della politica.
E’ una lezione che
può essere riportata anche alle nostre latitudini: l’impegno politico
non è tenuto solo ad esprimere il nuovo che emerge dalla società,
ma a custodire l’eredità preziosa delle istituzioni che si sono
costruite. In tal senso è da interpretarsi l’invito al patriottismo
che l’attuale Presidente Ciampi rivolge spesso agli italiani.
Certo, il politico
può sentirsi oggi in solitudine, più che in passato. A partire
dall’11 settembre, si sente altresì esposto a dinamiche più
grandi, a “frontiere spalancate” del grande mondo, senza poter disporre
spesso di strumenti di comprensione e di interpretazione adeguati. Se la
globalizzazione attuale consiste, soprattutto, nel fatto che si raggiungono
facilmente universi differenti, il radicamento sul territorio non è
più possibile senza una finestra perennemente spalancata sul mondo.
Alla globalizzazione
il cristiano non arriva, però, del tutto impreparato. Nella Chiesa
dovrebbe avere imparato che dimensione locale, parrocchiale e dimensione
universale non sono antitetiche ma complementari. E’ questa pluralità
di apporti che assicura alla Chiesa l’ “esperienza di umanità”,
di cui parlava il Papa Paolo VI, la capacità di guardare all’uomo
a partire non da un’astratta ideologia, ma dalla vita. E’ ciò che
le permette di ravvisare negli stessi squilibri sociali l’indizio sicuro
di uno squilibrio situato a livello più profondo.
Ciò permette
di discernere, anche nel campo politico e sociale, la “ricchezza del mondo
dei credenti”: la testimonianza di una tradizione religiosa, il cristianesimo,
che non è nata come “religione di stato”. Rispetto al mondo del
potere, quello della fede esprime sempre un’alterità, che è
in pari tempo “prossimità”. Di qui le parole chiave per suggerire
le coordinate di un impegno in politica: la diversità delle responsabilità
(e delle possibili opzioni) e l’amicizia, valore da recuperare in tutta
la ricchezza teologica: “Vi ho chiamati amici”, dice il Signore Gesù.
La lunga serie di interventi
nel dibattito, ha alternato testimonianze ad indicazioni di problemi, sui
quali è importante che un confronto ed una chiarificazione fra cattolici
in politica prosegua, su ambiti e temi più precisi e circoscritti.
Il Convegno del “Valdocco” può costituire il primo passo verso un
forum permanente.
don piero agrano