BOLLENGO - Alla modificazione
del territorio della Serra contribuì, durante il Duecento, mediante
lo spostamento degli insediamenti, la fondazione dei borghi franchi, secondo
uno schema politico d’espansione comunale, adottato in quell’ambito sia
da Ivrea che da Vercelli.
La creazione delle
villenove concedeva, infatti, un’opportunità, liberando gli abitanti
dei centri agricoli dagli obblighi del banno signorile.
Bollengo sorse proprio
come risposta eporediese, nel 1250, alle minacce vercellesi, radunando
Paerno, Pessano e Bagnolo.
In precedenza, s’era
già verificato il caso, abbastanza complesso, della nascita di Piverone,
tra il 1202 e il 1210, che aveva richiamato, specialmente, Unzasco, Livione
e Palazzo.
Le tracce architettoniche,
lasciate entro tale scenario storico, oltre al loro valore intrinseco,
sono utili anche a ritrovare i luoghi dei villaggi abbandonati.
Sul versante canavesano
della Serra, il campanile di S. Martino di Paerno, nella sua solitudine
difficile da raggiungere, coniuga un Romanico molto puro. Sebbene sorga
ora del tutto isolato, dopo il crollo delle altre parti, in una radura
tra i boschi, sa ancora restituire un forte senso di volontà costruttiva.
S’innalza regolare, sul blocco del basamento, secondo segmenti sempre più
pausati, fino alla leggerezza della bifora, ingentilendosi anche per cornici
in cotto ad archetti pensili e, a contrasto, per allineamenti risentiti
a dente di lupo.
In basso, ma sempre
nell’area di Bollengo, la chiesa di S. Pietro di Pessano, ad aula unica
monoabsidata, presenta l’alta torre in facciata: e diventa coloristicamente
festosa per la sua controllata alternanza di grigio della pietra e di rosso
dei mattoni.
A sé, va considerato
il tempietto che, in dialetto, viene chiamato “gesion”, tra Piverone e
Zimone, che si caratterizza per l’impiego di un triforium, ossia di una
triplice arcata, a separare il presbiterio dal resto riservato ai fedeli,
pur essendo in presenza di spazi esigui.
Inoltre, l’abside con
la sua curva corrisponde soltanto all’ampiezza del varco centrale, quello
più alto tra i due minori, uguali tra di loro, che viceversa danno
sul piatto muro di fondo.
La scansione delle
aperture vi viene costruita da archi su colonnette in pietra grigia venata
d’azzurro, con capitelli a sguscio e basi irregolari.
L’aggiunta in rottura
del campaniletto, infine, andrà intesa come una concausa concorrente
al dissesto attuale del piccolo edificio, denunciante molti vuoti. L’aura
quasi astratta che investe la configurazione del “gesion”, però,
non ne esclude l’appartenenza al Romanico, in una variante d’estrema eleganza
per le terre di Canavese.
Sul versante biellese
della Serra, per contro, s’impose il S. Secondo di Magnano: più
tardi, l’inserimento del grande campanile, verso la fine del XII sec.,
comportò una radicale modificazione, che sconvolse l’assetto del
primo tempio, per cui della parte originaria non rimane che il breve e
ridotto tratto absidale, da datarsi all’inizio dell’XI sec.
Esemplare, tuttavia,
andrà ritenuto l’esito, seppur tardivo, del campanile perché
adotta, in alto, la soluzione della trifora, replicandola, in specchiature
delimitate da archetti pensili visivamente marcati.
aldo moretto