IVREA - 2001, cento anni dalla nascita
di Adriano Olivetti.
Nell’ultimo scorcio dell’anno, l’opportunità
di rivisitare, ancora una volta, la figura poliedrica dell’Ingegnere di
Ivrea, è stata offerta dal convegno internazionale “Adriano Olivetti:
costruire la Città dell’Uomo”, organizzato dalla Fondazione Olivetti
e tenutosi lo scorso week-end nell’Officina “H”, recentemente ristrutturata
e divenuta, a sua volta, un simbolo del post-moderno. Nella prima mattinata
del convegno - oltre all’ “incursione” del Sottosegre-tario ai Beni Culturali
Vittorio Sgarbi - giusto il tempo per ricordare ai presenti come Olivetti
non abbia avuto seguaci né sul piano imprenditoriale di un “capitalismo
ragionevole”, né sul piano della prosecuzione della sua opera di
promozione culturale - l’attenzione è stata “catturata” soprattutto
dalla relazione di Renzo Zorzi. O piuttosto, evocazione, sul filo dei ricordi
e della testimonianza personale, di ciò che ha significato quell’esperienza
di sodalizio intellettuale ed imprenditoriale, “unica e irripetibile”.
Spesso, nel tentativo
di valutare la figura di Olivetti, si fa riferimento a categorie, quali
“utopia” e “abilità imprenditoriale”, come se si trattasse di qualità
inconciliabili, o di criteri interpretativi contrapposti ed alternativi.
In realtà - come ha ricordato Giovanni Maggia, il principale “storico”
eporediese di Olivetti e della Olivetti - la sagacia imprenditoriale dell’Ingegnere
di Ivrea (sotto di lui l’azienda passò da poche centinaia a 25.000
occupati, in parecchi stabilimenti sparsi nel mondo), l’abilità
nel misurarsi, spesso con scelte coraggiose ed innovative, con il mondo
produttivo e il capitalismo del tempo, non può essere disconosciuta,
a favore di un generico spirito utopico. Resta, però, nella memoria
comune anche se sbiadita dal tempo, l’immagine di un uomo ricco di idee,
cui la visione personalista offertagli dal pensiero sociale francese di
ispirazione cristiana (soprattutto E. Mounier e S. Weil), alla cui divulgazione
aveva contribuito con le Edizioni di Comunità suggeriva costantemente
un’attuazione originale del rapporto persona-comunità, sul terreno
dello sviluppo dell’azienda e del suo radicamento sul territorio. Insomma,
per dirla con un’acuta definizione forgiata da uno degli intellettuali
“attirato” ad Ivrea, G. Soavi, si trattava di “un visionario che sapeva
fare i conti”. E farli quadrare.
“Costruire la Città
dell’uomo”, recitava il titolo del convegno. Esso allude, esplicitamente,
al campo dell’urbanistica, in cui Olivetti diede prova di uno “sperimentalismo
innovatore” (J.-L- Cohen), che è difficile registrare altrove, frutto
di un eccezionale rapporto di collaborazione fra élite industriale
ed élites culturali. La “mostra a cielo aperto”, recentemente inaugurata,
ha riportato alla memoria la schiera di architetti che Adriano chiamò
a lavorare ad Ivrea: Figini, Pollini, Zevi, Astengo, Gabetti, Isola, Vittoria...
solo per citare alcuni nomi. E come non citare Oliveri e Nizzoli, che progettarono
la Chiesa del Sacro Cuore, ingiustamente “dimenticata” nei cataloghi delle
architetture olivettiane?
Queste realizzazioni,
a suo tempo di avanguardia, hanno disegnato un nuovo spazio umano, laddove,
nella stessa ideazione urbanistica, non è mai assente un impegno
civico ed una visuale “politica” in senso ampio. L’originalità dell’esperienza
olivettiana, e di ciò che essa ha lasciato, consiste, per dirla
ancora con Cohen, nel singolare “intreccio fra valori universali e pertinenza
locale”.
“Città dell’uomo”
indica non solo la struttura e gli spazi abitativi, ma anche la civitas,
la comunità umana che trova nella città una forma caratteristica.
Ma, per effetto di molteplici fattori, anche il volto della città
è cambiato. Talora dilatato a dismisura nelle megacities contemporanee.
Spesso frantumato e parcellizzato, con il drammatico ridursi del senso
di identità e di appartenenza, ed anche degli spazi di solidarietà
sul territorio. Uno spazio urbano sempre più condizionato dalle
tecnologie della conoscenza (per cui si può parlare di una “città
della conoscenza”), e sempre meno dalle relazioni “bioniche” (parentali,
di amicizia...). Un presagio profetico di questa “città dell’uomo”
può essere considerato - secondo G. Martinotti - l’immagine futuristica
della strada che entra in casa. La strada informatica!
Negli anni successivi
alla morte di Olivetti, tutto è cambiato molto in fretta. E non
solo nella conduzione manageriale dell’azienda. Questa celebrazione, si
sentiva ripetere nei corridoi dell’Officina “H”, ha tutta l’aria di un
Requiem.
don piero agrano