IVREA - Forse mai come
in questi ultimi tempi il nome Olivetti ha riempito le cronache dei mass-media.
Forse neppure nell’età in cui rappresentava una delle più
importanti realtà industriali del paese. Purtroppo il modo in cui
se ne parla poco ha a che fare con la sua tradizione, apparendo essa solo
come strumento per più vaste operazioni finanziarie, segnale univoco
del triste momento che stiamo attraversando.
Ma ben altro ha rappresentato
il nome Olivetti nella storia dell’industria nazionale. Come chiaramente
emerge dal Quaderno dell’Archivio storico Olivetti di recente pubblicazione
con il titolo “Olivetti, 1908-2000”, frutto del lavoro di una équipe
di collaboratori coordinati dal responsabile della struttura Eugenio Pacchioli,
la storia Olivetti è essenzialmente la storia di una fabbrica, in
cui lavoro (tanto) e capitale (scarso) hanno concorso a creare una presenza
insostituibile e perfettamente riconoscibile in tutto il mondo produttivo.
Una realtà questa che forse passa in secondo piano rispetto ai tanti
corollari dell’esperienza Olivetti: dalle iniziative sociali a quelle assistenziali,
educative, culturali e persino politiche. E lo si comprende facilmente
se si considera che oggi chi si occupa di Olivetti, a livello scientifico
e culturale, sono per lo più intellettuali (storici, sociologi,
artisti, economisti ecc.) che ignorano, per non averla vissuta, l’esperienza
di fabbrica.
Eppure, sol che si
abbia la pazienza di scorrere la pubblicazione, è proprio quest’ultima
l’identità che con maggiore chiarezza balza agli occhi, quella cioè
di una fabbrica che attraverso meccanismi razionali riesce ad imporsi sul
mercato mediante prodotti che, a loro volta, rappresentano un concentrato
di intelligenza, di cultura tecnica, di metodiche, in una parola, di lavoro
e di impegno umani. E che questa si possa considerare come la caratteristica
dominante lo dimostra l’arco di tempo produttivo della fabbrica, dalla
macchina per scrivere dei primi tempi (lo slogan di “prima fabbrica italiana
di macchine per scrivere” campeggiava sulla pubblicità della ditta
già ai tempi di Camillo) sino ai PC di ultima generazione del 2000.
Ma oltre alla sua abilità
di stare sul mercato con prodotti aggiornati, che cos’altro è una
fabbrica? E’ un luogo in cui processi razionali di diversa natura (tecnici
prima di tutto, ma anche amministrativi, finanziari, economici, sindacali,
culturali e così via) si integrano fra loro in vista di un risultato
positivo che ne commisura l’efficienza.
Nella sua storia centenaria
proprio questo è riuscita a fare la Olivetti, pur fra enormi difficoltà
e con un percorso non rettilineo, almeno sino agli anni recentissimi in
cui la prevalenza della finanza ha di fatto messo in secondo piano la sua
realtà industriale, con gli effetti distruttivi che oggi amaramente
contempliamo.
Queste le considerazioni
che mi vengono in mente a lettura ultimata della interessante pubblicazione.
Certo, il quaderno offre solo parzialmente strumenti critici e interpretativi.
Rievocando tuttavia anno per anno i principali avvenimenti dell’impresa
fornisce uno strumento utile per l’indispensabile lavoro critico che di
sicuro seguirà. Esso servirà a ricordarci che il lavoro,
quale si è espresso per lunghi anni in Olivetti, non è una
realtà del passato, ma un problema del presente. Ciò significa
che la sua sopravvivenza come impresa non può prescindere dalla
sua storia, e ciò che rimane del passato non rappresenta un residuo
di cui liberarsi al più presto, come inutile fardello, bensì
la premessa indispensabile per il suo rilancio.
paolo carra