IVREA - In alcuni organi
di stampa si è, recentemente, parlato di uno scontro fra il Vaticano
e Damanhur, la realtà esoterico-religiosa da alcuni decenni presente
nella Valchiusella. Il linguaggio usato (“gli strali del Vaticano”, “armi
affilate per una nuova crociata”) potrebbe lasciare intuire una dura polemica
fra due istituzioni contrapposte. In realtà, come spesso accade,
la situazione è più complessa di quanto i titoli giornalistici
- che brandiscono presunti scoop - possano fare intuire.
La Chiesa cattolica
in Italia si scopre, da qualche anno, una realtà religiosa di minoranza.
Almeno se non ci si limita a contare i battezzati anagrafici, ma coloro
che costituiscono la “comunità eucaristica”, coloro, cioè,
che vivono una partecipazione assidua alla vita della Chiesa. Su questa
nuova situazione - che fa i conti con il processo di secolarizzazione e
le trasformazioni culturali degli ultimi decenni - sono calibrati, fra
l’altro, i nuovi orientamenti pastorali che i Vescovi hanno proposto alla
Chiesa Cattolica italiana.
Naturalmente, ciò
non significa che vi sia una maggioranza di atei o di a-religiosi. C’è
una vasta area abitata da chi, in qualche misura, è toccato dalla
problematica, dalle istanze, e dal sentimento religioso, senza aderire
o partecipare ad una Chiesa. O da chi, senza avere tagliato i ponti formalmente
con la Chiesa in cui è stato battezzato, ha intrapreso nuove strade
e compiuto nuove esperienze... La tipologia è, al riguardo, ricchissima,
e l’elenco potrebbe proseguire a lungo.
In questo campo, un
certo successo hanno avuto, recentemente, nuove formazioni religiose, soprattutto
quelle di stampo esoterico. Al di là delle diversità riscontrabili
fra le nuove proposte religiose, ci sono alcuni tratti diffusi. Ne indico
due, in apparenza contraddittori.
Il primo è riferibile
- sull’onda della New age americana - ad un bisogno di comunione cosmica,
con la natura e le sue manifestazioni. Se la società industriale
(e post-) ha parcellizzato le attività umane e talora isolato gli
individui, occorre ricuperare una visione ed un modo di essere “olistico”,
in una ricerca di empatia con tutte le manifestazioni vitali. Così
certi movimenti ecologisti arrivano ad assumere connotazioni religiose.
Il secondo è
riferibile, a sua volta, ad un’istanza culturale largamente diffusa nella
modernità occidentale. Il singolo soggetto è, in qualche
modo, abilitato a costruirsi la sua religione a sua misura. E’ una sorta
di bricolage religioso, un “fai da te”, che non esita a “pescare” dalle
tradizioni religiose esistenti quanto - in fatto di linguaggi e di esperienze
- corrisponde ai propri interessi. E’ il tratto “sincretistico” ad imporsi
all’attenzione; cioè il bisogno e la presunzione di poter “mixare”
elementi attinti da esperienze religiose differenti. A questo punto si
capisce la domanda - che affiora qua e là: si pensi alla “Federazione”
del Rev.do Moon - della molteplice appartenenza (essere contemporaneamente,
tanto per fare un esempio, cristiano e buddista, superando i tradizionali
confini religiosi e lo stesso concetto di ortodossia). E’ il soggetto a
costruirsi la sua religione, al limite, la sua immagine del “Divino” più
funzionale ai propri interessi e alle proprie domande. Che male c’è,
si interroga qualcuno, a “tenere i piedi” in... più religioni, in
un gioco di scelte sempre parziali e revocabili...? Dopo tutto, non vi
è, forse, un unico “Divino”, sia pure sperimentabile in immagini
e vie diverse, verso cui tendono tutte le religioni?
Questa situazione,
sommariamente descritta, pone alla Chiesa nuovi problemi, che vanno ben
al di là delle esigenze del dialogo ecumenico o interreligioso o
della saggia diplomazia del buon vicinato. Un problema, mi pare, primariamente
di chiarificazione, tenendo conto che gli aderenti alle nuove forme religiose
sono, per lo più, degli ex cattolici.
L’esperienza di Damanhur,
per quanto ne so, sembra presentare i due tratti sopra menzionati. Ma,
a differenza della “Federazione” di Moon, il tratto “sincretistico” mi
sembra meno accentuato. I figli di Horus professano una sorta di paganesimo
precristiano, di origine egiziana, anche se riletto, con una buona dose
di creatività, nella cultura contemporanea ed in relazione alle
sue istanze. Un paganesimo senza dogmi, ma non senza rappresentazioni religiose,
che pretende in tal modo di fornire una garanzia migliore, rispetto al
cristianesimo tradizionale, alla libertà della ricerca religiosa
individuale. “Là si crede per dogmi, qui noi siamo liberi, individuali”,
si sente affermare.
Il primo dato da richiamare,
a questo punto, è quello della libertà di coscienza e di
fede. In un panorama religioso più ampio del passato, ci si trova
a dover scegliere, si è sollecitati ad una decisione personale,
che non può più essere frutto di tradizione o di conformismo.
Non c’è posto per crociate, o per verità imposte dall’alto.
Ma scegliere è
assumersi delle responsabilità. La fede non è abito che ci
si possa confezionare a proprio uso e consumo, o dismettere a stagione
finita, perché demodé.
La fede ha un impatto
sulla vita. Lì mette in gioco la sua “verità”. Non è
indifferente abbracciare una scelta di vita quale il matrimonio cristiano,
indissolubile, e quella di un “matrimonio a termine” (salvo, poi, auspicare
che il termine sia procrastinato il più possibile!). Il fatto è
che mentre si invoca una libertà sempre maggiore - declinata, sia
annotato per inciso, secondo i canoni di una cultura che aborrisce da ogni
scelta totale e definitiva - ci si trova esposti - nella scelta stessa
del matrimonio - a pesanti interferenze da parte di guru e consulenti vari.
Non è forse quanto è accaduto nell’affaire Milingo? Come
conciliare la richiesta di una maggiore libertà nella Chiesa Cattolica,
ad es., per quel che riguarda il matrimonio dei preti, e il sospetto fondato
di coppie “combinate” da altri?
Ma quest’ultimo dato
non si ritrova solo nei matrimoni “mediatici” celebrati dal santone coreano.
Per quel che mi risulta, lo troviamo anche in sette a noi geograficamente
vicine.
don piero agrano