BERGAMO - Da alcuni
decenni il Convegno nazionale dei responsabili degli Uffici Catechistici
Diocesani è un’occasione privilegiata per gettare uno sguardo su
quanto accade nell’ambito della catechesi, su tutta la Penisola, nell’incrocio
fra indicazioni autorevoli “dall’alto” e istanze emergenti “dal basso”,
fra elaborazione faticosa di nuovi programmi e informazione su esperienze
interessanti già in atto.
Il recente convegno
tenutosi a Bergamo nei giorni 25/28 giugno scorso veniva a cadere non solo
nel momento di ripresa post-giubilare, ma in coincidenza con la pubblicazione
degli orientamenti della Cei “Comunicare la fede in un mondo che cambia”.
Si è, dunque,
partiti da una lettura della situazione, non solo di natura sociologica
ma finalizzata a discernere l’ “oggi di Dio” per la Chiesa. In tale lettura,
secondo Mons. Lambiasi, Presidente della commissione Cei per la catechesi,
non si può fare a meno di registrare come una serie di indizi e
di fenomeni spingano sempre di più nella direzione di un sostanzioso
cambiamento ecclesiale, di una “conversione pastorale” in profondità.
Verso dove?
Verso una pastorale
decisamente più missionaria, il cui paradigma fondamentale non è
più il mantenimento di una cristianità collaudata (che non
esiste più!), ma la “missione alle genti”, che non si può
più pensare circoscritta ai programmi dei missionari d’oltre Oceano.
Il modello concreto,
per tradurre in atto quell’istanza, è quello dell’itinerario catecumenale,
dell’iniziazione alla fede. Al di là dei paroloni, insomma, si tratta
di immaginare percorsi di primo annuncio destinati a suscitare la fede,
e non semplicemente a mantenerla e a rinnovarla, dando per scontato che,
comunque, essa esista. Certo il “primo annuncio” non va pensato come iniziativa
del tutto separata dal resto della catechesi, dal momento che può
collocarsi in circostanze e dentro ad itinerari differenti.
Vari indizi spingono
nella direzione di una più marcata “connotazione missionaria”, peraltro
già invocata dal convegno ecclesiale di Palermo (1995): dalla scoperta
di una Chiesa - minoranza nel tessuto sociale della nostra nazione, alla
constatazione sempre più diffusa che “il nostro apparato di catechesi
è, in generale, zoppicante” (Gevaert), perchè tarato su di
una situazione che non c’è più, fino al prendere atto di
fenomeni con cui pastori e catechisti si misurano ogni giorno, quali la
debole trasmissione della fede in ambito familiare, l’accresciuta “concorrenza”
di diverse agenzie educative (si pensi ai media), l’appartenza labile alla
Chiesa... e via discorrento. Certo, non tutti sono rimasti, in questo tempo,
con le braccia conserte, ad attendere tempi migliori. “Una parte vitale
della Chiesa italiana - annota ancora il Prof. Gevaert, uno dei più
attenti osservatori della catechesi a livello mondiale - si sta muovendo
silenziosamente verso una Chiesa missionaria... nell’ascolto di Dio e degli
uomini. Dalla sala del catechismo e dal pulpito sono scesi sulla via di
Emmaus, nelle case, ascoltando, interrogando, accompagnando...”.
Tutto ciò non
può essere affidato solo ad iniziative individuali, sia pure coraggiose.
Esige capacità di scambio, di progettazione comune. Per quel che
riguarda la situazione più propriamente italiana, ci si imbatte
in alcune problematiche che, più volte, sono rimbalzate nelle relazioni
e nei dibattiti che hanno animato il convegno.
In primo luogo, va
segnalata la difficoltà del (e dei) linguaggi. La relazione del
prof. Colombo ci ha aiutati a decantare l’immagine stereotipa di una condizione
giovanile succube dei media e dei loro linguaggi. Resta, comunque, l’urgenza
di un’attenzione al problema linguistico e comunicativo.
Dal precedente convegno
(Rimini ‘99) è stato, poi, ripreso il problema della formazione
dei formatori e, in generale, di una più attenta valutazione dell’attrezzatura
di cui deve disporre un operatore di catechesi, sul piano delle competenze
dottrinali, ma anche delle (non meno importanti) attitudini al dialogo
e a costruire relazioni positive. Insomma occorre, più che
mai, aprire (o tenere aperto) il cantiere formazione catechisti (Fr.
Enzo Biemmi), come obiettivo prioritario per contribuire insieme, nel concorso
di vari carismi e vocazioni, a disegnare una chiesa più missionaria,
più capace di rispondere, in maniera creativa e non solo ripetitiva,
alle sfide e alle esigenze dell’annuncio del vangelo nel mondo di oggi.
Non sono mancati racconti
di esperienze interessanti (come quella della parrocchia di San Giuseppe
B. Cottolengo di Torino), e proposte innovative, alcune giudicate ancora
“acerbe”, come quella di un catecumenato per ragazzi, presentata da don
Andrea Fontana, di Torino.
don piero agrano