IVREA - Che democrazia
significhi governo del popolo è noto. Molto meno nota è l’evoluzione
della democrazia nel corso dei secoli. Che essa abbia avuto principio nella
Grecia classica non è un caso. La democrazia infatti presuppone
una concezione dell’uomo, come individuo e come membro di una collettività,
elevata e in un certo senso egualitaria. Lo stesso si può dire per
il concetto di popolo, anche se in proposito le variazioni storiche sono
più marcate (il “demos” greco corrisponde solo in parte al “popolus”
dei romani). Si può ancora affermare che la conquista di un governo
“democratico” da parte di determinate collettività coincide in genere
con grandi sommovimenti sociali (ambito economico incluso) a sfondo rivendicativo
da parte di classi o categorie in precedenza escluse dalla gestione del
potere o, quanto meno, insufficientemente rappresentate. Alla radice quindi
di molti regimi cosiddetti democratici vi sono delle vere e proprie situazioni
rivoluzionarie, soprattutto laddove la rappresentanza (e la libertà)
sono conquistate a duro prezzo.
I primi decenni del
XII sec. della nostra era rappresentano in Europa uno di quei momenti topici:
la riappropriazione da parte dei ceti cittadini (burgenses) di un ruolo
di governo nelle comunità di appartenenza mediante la rivendicazione
dei diritti di libertà (“iura libertatis”) nei confronti delle autorità
costituite (Chiesa e Impero), nonché delle loro emanazioni locali
(vescovi e feudatari).
A quel tempo, “in Italia
regnat populus” si poteva cominciare a dire con riferimento a numerose
realtà cittadine italiane. Ciò avveniva non senza ostacoli,
guerre, ribellioni e profonde trasformazioni, tra cui, la più significativa,
la Riscrittura delle regole di convivenza in relazione ai mutamenti intervenuti
nella società del tempo. Nascono in questo modo gli Statuti cittadini
che insieme alle raccolte consuetudinarie rappresentano una legislazione
sostanzialmente nuova, anche se con radici antiche (il diritto romano classico).
La stessa parola “statuto” identifica il processo: essa infatti deriva
dal verbo latino “statuere” (cioè, stabilire con autorità),
da cui proviene anche il termine “stato”, nel senso moderno.
Questa lunga premessa
serve ad inquadrare il secondo quaderno di studi medievali in questi giorni
in libreria per i tipi dell’editore Cossavella di Ivrea e con il sostegno
economico di Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Pavone Canavese
e del Centro studi canavesani, che raccoglie gli atti del convegno sugli
statuti medievali in Canavese, tenutosi in Pavone nel giugno 2000 nell’ambito
delle Ferie medievali, una manifestazione di quel Comune ormai stabilmente
entrata nel calendario degli eventi più significativi del nostro
territorio.
Due sono le relazioni
ivi contenute: una dello scrivente dedicata all’ordinamento giuridico me-dievale
e agli statuti cittadini, con particolare ri-guardo ad Ivrea; la seconda
di Pietro Ra-mella, cu-ratore an-che del vo-lumetto, con riferimento agli
Statuti del-le comunità canavesane minori, a quello di Pavone in
particolare, molto significativo come esempio di statuto di una comunità
rurale.
Ad uno sguardo d’insieme
fa quindi seguito l’esame di una situazione particolarmente diffusa in
Canavese, data la prevalenza di piccole comunità dedite in maniera
preponderante ad attività agricole che trovano nel documento pavonese
una descrizione brillante ed efficace. Di qui l’interesse di poter disporre
di una traduzione in italiano dell’originale latino, quale quella proposta
dal Ramella, che consente di apprezzare appieno sia la varietà delle
situazioni descritte che la saggezza delle soluzioi adottate nei casi di
conflitto. Il lavoro quindi non riveste solo un carattere archivistico,
ma rappresenta una vera e propria ricerca storica delle radici dell’autogoverno
locale, nonché dell’articolarsi delle libertà collettive
e individuali nell’età di mezzo.
Il volume contiene
ovviamene i riferimenti dottrinari più autorevoli in questa materia,
principalmente l’opera di due canavesani: Giuseppe Frola, montanarese,
che agli inizi del XX sec. raccolse in tre ponderosi volumi statuti e franchigie
di numerose comunità canavesane (Ivrea esclusa), e il prof. Gian
Savino Pene-Vidari dell’Università di Torino, cui si deve la meritoria
e fondamentale pubblicazione degli statuti eporediesi.
In conclusione, una
pubblicazione che può interessare non solo gli appassionati di storia,
ma anche tutti coloro che nelle radici del proprio passato ricercano le
ragioni del proprio passato.
paolo carra