IVREA - E’ un traguardo
importante e questo scritto vuole essere una riflessione sul tempo che
è trascorso. Era il 13 aprile del 1971, giovedì santo per
l’esattezza, quando si aprirono i cancelli per i primi ospiti ancora in
mezzo ai lavori di ristrutturazione. Io c’ero e ripensando al compimento
di quell’opera, mi viene un po’ di malinconia: ero giovane e con voglia
di fare.
Vale la pena di fare un poco
di cronistoria. La casa, voluta dal vescovo mons. Bettazzi, sorge in via
Burolo ed era un fojer vescovile diventata per un anno sede del seminario
vescovile. Nell’anno 1968, il consiglio pastorale diocesano, formando le
varie commissioni che lo compongono, formò la commissione caritativa
che si prese l’impegno di seguire il progetto di ristrutturazione per farla
diventare una casa che ospitasse persone non accolte nelle poche istituzioni
esistenti.
Doveva essere un’opera
di volontariato per le persone di buona volontà che davano un po’
del loro tempo e del loro denaro per i fratelli più bisognosi. La
casa doveva essere “la casa di chi non ha, di chi non ha salute, di chi
non ha affetti, di chi non si sente di affrontare da solo la vita, di chi
non ha l’assistenza di cui avrebbe diritto”: costoro sarebbero stati gli
ospiti più desiderati e più amati.
Era a quei tempi una
grande sfida nell’Ivrea del benessere. Monsignor Bettazzi aveva in mente
il modello delle case della carità di don Prandi in funzione nell’Emilia
Romagna ed in Madagascar. Alcune giovani rappresentanti della commissione
caritativa ed alcuni volontari fecero una settimana di servizio nella casa
della carità di Fontanaluccia per rendersi conto del metodo di lavoro
e per vedere dal vivo ciò che avrebbe comportato aprire detta struttura.
Al loro ritorno si
decise per una esperienza un po’ diversa: la nostra doveva essere la casa
dell’Ospitalità, segno concreto della diocesi verso i fratelli in
difficoltà.
Si iniziò a
far vivere la casa con i primi ospiti (la Nina, Massimo), con l’aiuto di
suor Bertilla delle suore dell’Immacolata di Ivrea e del primo direttore
don Aimino; si potè ospitare presto mons. Dionisio Borra, conosciuto
in città perché fu parroco della chiesa Cattedrale, vescovo
della diocesi di Fossano, infermo ed ospitato al Cottolengo di Biella ma
desideroso di ritornare al suo territorio. Mons. Borra fu accudito fino
alla sua morte.
Il secondo direttore
fu l’attuale nostro vescovo Mons. Miglio che, sempre attento ai problemi
dei giovani, per dare la possibilità di alternativa al servizio
militare, ospitò i primi corsi per obiettori di coscienza inseriti
nel volontariato locale; arrivavano da parecchie parti d’Italia ed era
bello vedere con quanto entusiasmo accudivano agli impegni della casa.
Mons. Arrigo istituì corsi biblici e momenti di spiritualità
al sabato pomeriggio prima della messa prefestiva che viene celebrata tutt’ora
alla casa.
Continuò negli
anni l’avvicendamento dei responsabili: don Rodolfo, don Nanni, suor Michelina
che la gestì per molti anni.
La casa visse di solo
volontariato e con l’aiuto finanziario di offerte da parte di privati dal
1971 al 1985. Tanti sono i ricordi che affiorano, le persone assistite
che non ci sono più, le belle vacanze con gli ospiti all’isola di
Ventotene, ed in Puglia al paese di suor Michelina.
Ci fu la prima svolta
con l’arrivo dell’attuale direttore don Arnaldo: vennero stipulate le prime
convenzioni con gli enti pubblici che da tempo chiedevano disponibilità
di posti. Ora la casa dell’Ospitalità è diventata una O.n.l.u.s.
che significa organizzazione non lucrativa di utilità sociale e
ospita ammalati mentali. Camminando con i tempi e venendo a mancare la
spinta del volontariato iniziale, si sono purtroppo persi i posti per coloro
che nella società moderna nessuno vuole; ancora oggi la città
non dispone né di mensa né di un posto per far fronte alle
richieste dei senza fissa dimora.
Seguire la casa dell’Ospitalità
nei suoi trent’anni di vita è stata per me un’esperienza positiva
che resterà nel mio cuore e che ha dato a me ed alla mia famiglia
valori diversi. L’allora parroco di San Lorenzo, rione nel quale è
posta la casa, monsignor Bernardetto, nel bollettino parrocchiale la presentava
così: “un po’ di giustizia con tanta carità... uno spirito
originale che testimonierà la capacità dello spirito evangelico
che costituirà il termometro per misurare il nostro essere cristiani...”.
elis de masi