IVREA - Erano sicuramente
in pochi - fra i molti spettatori affluiti lo scorso sabato al “Giacosa”
ad assistere alla “prima” del “Giuda Iscariota” di Musso - ad immaginare
quanto complesso potesse essere il dramma che ha condotto Giuda a tradire
il Maestro.
Il fatto è che
l’immagine del traditore disegnata da Musso si sporge ben oltre il profilo
sobrio, in larga parte avvolto nella penombra, offerto dai vangeli. Un
profilo “chiuso” da alcune dichiarazioni pesanti come macigni: “Meglio
per lui se non fosse mai nato” (Matteo, 26,24), o “Satana entrò
in lui” (Giovanni, 14,27).
Eppure nonostante l’estrema
sobrietà delle informazioni dei vangeli sull’antefatto, sono proprio
le citazioni evangeliche a fornire l’ossatura del dramma, che vede, fin
dall’inizio, Giuda sulla scena come imputato.
In realtà, quello
dell’Iscariota è il possibile esito della vicenda di un discepolo,
che si riconosce comunque, sempre, come tale. Il discepolo di un Maestro
che l’ha chiamato non a condividere razionalmente un progetto sociale affascinante,
ma a seguirlo nella fiducia incondizionata. E qui sta uno dei nodi del
dramma: se il discepolo possa interagire con il Maestro fino a suggerirgli
di correggere la direzione di marcia della sua missione. Se, e in quale
misura, la ragione, il buon senso, possa intervenire in una relazione di
fede.
Giuda ha tradito il
Signore consegnandolo alla morte. Così può sentirsi “imparentato”
con quanti altri nella storia si sono resi disponibili a questa “impresa”:
essere i deicidi, gli uccisori di Dio, come asseriva Nietzsche. Così,
sotto la regia di Lucifero, sono alcuni di loro a comparire sulla scena
e a sviluppare un dialogo concitato con il loro naturale “alleato”:
quattro esponenti della filosofia moderna - le uniche identificazioni che
mi è riuscito fare erano quelle di Marx e di Nietzsche - cui si
contrapponeva (in una curiosa interpretazione “al femminile”) il Marchese
di Sade, abile nell’opporre ai cultori della Ragione le ragioni dell’istintualità
e del cuore.
Il dramma si volge
così al suo culmine. Con uno spiraglio di luce, che mitiga la condanna
di Giuda: alla fine, egli cade in ginocchio, facendo sue le parole del
Cristo morente: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Bravi gli attori, diretti
da C. Savant. Una menzione particolare per la superba interpretazione di
Giuda (G. Bonavolontà), Maria di Magdala (C. Billi) e il Marchese
di Sade (M.S. Cerana). Commosso, al termine della rappresentazione, lo
stesso autore, B. Musso.
Merita infine un plauso
sincero l’iniziativa della Etsi-Cisl, che ha ridato slancio al dramma a
soggetto religioso. Un genere da tempo assente, tranne alcune, lodevoli
eccezioni (Il Giudizio Universale, di C. Nigra, rappresentato in estate
a Borgiallo, e la rappresentazione di Teresa di Lisieux, in Duomo, se non
ricordo male).
d.p.a.