Mons. Vittorio Bernardetto,
da un mese vescovo emerito di Susa dopo 22 anni di servizio episcopale
in quella diocesi, ci ha lasciati improvvisamente la mattina di mercoledì
7 marzo, in punta di piedi, senza far rumore, com’era nel suo stile, ed
ha voluto tornare nel suo Canavese per riposare accanto ai genitori, in
attesa della resurrezione futura.
Questo ritorno ci onora
molto e ci riempie di commozione, facendocelo sentire in qualche modo nuovamente
nostro, dopo gli anni trascorsi a Susa, un bel numero di anni, anche se
a molti sembrava appena ieri, quando ci siamo ritrovati venerdì
per i funerali, in una tiepida giornata di sole come quella in cui nel
settembre ‘78 l’avevamo accompagnato nella sua nuova diocesi. Lo abbiamo
accolto venerdì sera a Castellamonte e sabato mattina abbiamo celebrato
per l’ultima volta intorno alla sua bara prima di accompagnarlo nella tomba
di famiglia, com’era suo espresso desiderio. Questi momenti carichi di
ricordi e di affetto ci hanno aiutato a ricordare don Vittorio, com’era
rimasto per tutti noi: il don Vittorio dice a Pont per vent’anni, e rimasto
per sempre il vice; don Vittorio parroco per dieci anni a San Lorenzo d’Ivrea;
il don Vittorio rimasto sempre lui anche da vescovo, che ho potuto incontrare
varie volte durante le assemblee della Cei e con il quale ho partecipato
in questi ultimi due anni alla nostra Conferenza Episcopale Piemontese,
quasi sempre suoi ospiti a Susa presso Villa S. Giuseppe, fino al mattino
del 28 settembre scorso, quando proprio all’inizio della concelebrazione
con i confratelli vescovi un primo infarto segnava l’inizio dell’ultimo
tratto di sofferenza che lo attendeva.
E’ questa la caratteristica
che più mi ha colpito nel condividere con lui il cammino episcopale
di questi ultimi anni: era sempre don Vittorio. Non solo per la semplicità
dei rapporti personali ma per le caratteristiche che avevo già conosciuto
specialmente negli anni del suo ministero ad Ivrea: lui a S. Lorenzo ed
io prima al Sacro Cuore, poi alla Casa dell’O-spitalità (nella sua
parrocchia), quindi collega parroco a S. Salvatore e negli stessi anni
la collaborazione per il Risveglio. Non era un uomo facile agli entusiasmi,
per il suo realismo e per il suo fine umorismo sempre un po’ ironico, e
tuttavia non l’ho mai visto rassegnato o scoraggiato ma sempre spiritualmente
e pastoralmente vivo, deciso a proporre e riproporre, ricominciando dalle
cose più semplici ed essenziali. Aveva fiuto nell’individuare nuove
proposte pastorali, alcune delle quali si rivelarono decisamente vincenti,
come l’aver puntato molto sui catechisti e come l’aver avviato i corsi
biblici tenuti da Enzo Bianchi. Con Bose nacque una bella amicizia, sottolineata
anche nel momento dell’ultimo saluto dalla presenza del Priore della Comunità.
In conferenza episcopale
parlava poco ma andava dritto al nocciolo dei problemi, chiaro nell’esprimere
il proprio parere, reso più autorevole dalla sua lunga esperienza
pastorale vissuta nella presenza quotidiana e fedele in mezzo alla comunità
di cui era pastore. Lui stesso, a conclusione del proprio mandato episcopale,
si definì vescovo-parroco, una dimensione episcopale che non a tutti
i vescovi è dato di sperimentare in modo così profondo. Poco
preoccupato della diplomazia, ricco sempre di equilibrio e soprattutto
di chiarezza. A Susa il ricordo di Mons. Bernardetto resterà quello
di un vescovo preoccupato di tradurre con metodo e costanza nella pastorale
quotidiana le grandi linee del Concilio. Nella nostra diocesi, ora che
è tornato per sempre, la figura di don Vittorio troverà il
suo posto accanto a quella dei tanti preti canavesani di prima e dopo il
Concilio, che hanno fatto della fedeltà quotidiana e della donazione
piena al ministero sacerdotale la propria regola di vita, senza mai cercare
ricompense umane e senza mai sottrarsi alla fatica. Grazie, carissimo don
Vittorio, per l’esempio che ci lasci. Grazie per la fiducia che mi hai
dimostrato e per l’amicizia che mi hai offerto in molte occasioni, da S.
Lorenzo e da Susa, ad Iglesias e ad Ivrea.
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