Sono tornato in Africa,
in quella parte del Congo, occupata dall'Uganda, dov'ero stato nello scorso
mese di luglio per predicare nella diocesi di Butembo-Beni un corso di
Esercizi spirituali ai preti e un incontro di aggiornamento per gli operatori
pastorali.
Ora avevo aderito all'iniziativa
proposta soprattutto dal Movimento "Beati i costruttori di pace" (con cui
ero già stato nel '92 a Sarajevo e nel '93 a Mostar), che aveva
lanciato l'invito "Anch'io a Bukavu", città più a sud, nella
zona occupata dal Ruanda, per una manifestazione per il 10 dicembre, anniversario
della Carta dei diritti umani dell'ONU. L'organizzazione s'è dimostrata
particolarmente complessa, soprattutto per le difficoltà delle autorità
locali, che all'ultimo momento hanno negato il permesso; e s'è dovuto
ritardare di oltre due mesi, trasferendosi all'ultimo momento a Butembo,
una città cresciuta tumultuosamente negli ultimi anni fino a trecentomila
abitanti, sparsi sulle colline di un ampio anfiteatro, tanto da far spostare
qui la sede della diocesi, anticamente fissata a Beni, cittadina a 60 chilometri
da Butembo.
Il viaggio non è
stato facile, tanto più per una comitiva di circa trecento persone
(quasi tutti italiani - avevo con me l'amico Michele Pizzino della Comunità
del Castello di Albiano - ma con presenze spagnole, tedesche, belghe,
inglesi e qualche rappresentanza africana), in prevalenza giovani, attrezzati
tutti di sacco a pelo e stuoino, con rifornimenti autonomi di viveri e
acqua. Giunti in aereo in Uganda, a Entebbe, con otto ore di pulman (su
strada asfaltata ma stretta e con autisti spericolati) e la sosta notturna
all'ultima città dell'Uganda, si giunge alla frontiera con la parte
del Congo controllata appunto dagli Ugandesi. Dopo un lungo tempo di trattative
ed attese, si devono affrontare altre sei ore di pulman o pulmini, un po'
più scassati (ogni tanto il guasto di uno bloccava tutta la colonna)
su strada di terra battuta, in mezzo a foreste e savane desolate, dove
la maggior sicurezza era data dall'essere tanti e tutti insieme. Ma arrivati
a Beni abbiam trovato la città ad aspettarci nel prato dell'antico
vescovado, con bande, canti, danze e con tante bevande e tanta frutta.
Percorsi i sessanta chilometri (due ore!), abbiam trovato una folla immensa
(centomila?) che da tre ore ci aspettava e, col vescovo e il sindaco in
testa ci ha accompagnato a piedi per gli ultimi tre chilometri.
Il Simposio Internazionale
per la pace in Africa (S.I.P.A.) ha accolto relazioni interessanti, testimonianze
frementi, rievocazioni drammatiche, e soprattutto tanto bisogno e tanta
speranza di pace. La presenza così numerosa di occidentali e messaggi
significativi (dalla Responsabile dell'ONU per i diritti umani al Presidente
della Camera italiana on. Violante) hanno alimentato questa speranza, resa
ancor più viva dalla visita del Presidente del F.L.C. (Fronte di
liberazione congolese), responsabile supremo del territorio garantito dall'Uganda
(ed era la prima volta che veniva a Butembo), il quale ha voluto partecipare
non solo all'ultima sessione di relazioni ma anche alla liturgia ecumenica
che ha concluso la Marcia dell'ultimo giorno, a cui han partecipato - si
calcola - centocinquantamila persone. In risposta ad un appello accorato
e coraggioso del vescovo locale, Mons Sikuli, che chiedeva la fine dei
soprusi dei militari e lamentava nuovi insediamenti che avevano finito
coll'allontanare la popolazione impaurita, il Presidente Bemba (questo
il suo nome), ha prima chiesto pubblicamente perdono per i soprusi dei
suoi militari (cosa - si notava - assolutamente insolita per un capo africano,
ma forse non solo per un africano!) e poi ha deciso su due piedi di ritirare
i nuovi insediamenti per assicurare tranquillità alla popolazione.
La cosa è stata considerata quasi un miracolo, ma ha comunque alimentato
la speranza che il cammino della pace possa contare nuovi, sostanziosi
passi in avanti. Ce lo confermava l'ambasciatore italiano in Uganda, venuto
gentilmente a salutarci al termine del nostro viaggio (il suo addetto stampa
e cultura è un dott. Averono di Alice Castello!).
Il messaggio conclusivo
auspica rispetto per la vita e la dignità umana, sollecita incontri
fruttuosi, soprattutto un interessamento efficace delle Nazioni occidentali
che perseguono in Africa i loro interessi economici e politici sulle spalle
della povera gente, della loro vita e di un minimo di benessere e di tranquillità.
Parlavo di gratitudine:
in primo luogo al Signore per il successo dell'iniziativa e la tenuta del
gruppo, ben articolato e organizzato. L'abbiamo ringraziato nelle nostre
liturgie - non imposte, ma sempre molto partecipate - fino all'ultima nel
grande santuario di Martiri Ugandesi, nei pressi di Kampala. Poi gratitudine
alla gente che ci ha accolto, che ci ha dato una grande lezione di fiducia
nella vita (e nel Signore), pur nella tragedia che sta vivendo, e di grande
umanità, di amicizia, di fraternità. Davvero - han notato
tutti - è molto più quello che abbiamo ricevuto di quello
che abbiam potuto dare; anche come incoraggiamento al metodo della non
violenza, contro il più facile ma più inumano ricorso alle
armi, e come impegno serio a render presenti il dramma e la sofferenza
di tanta gente, a sollecitare opinione pubblica e responsabili politici
perché ci si impegni finalmente e concretamente a rinunciare alle
nostre presunzioni ed ai nostri egoismi impegnando le nostre capacità
e le nostre influenze al servizio della solidarietà e della pace.
+ luigi bettazzi
vescovo emerito di ivrea