IVREA - Per una casuale
coincidenza la sera di lunedì 5 febbraio, mentre Israele si preparava
al voto del giorno dopo, si teneva a Ivrea, nella sala S. Marta, un incontro
con Bruno Segre, presidente dell’Associazione Italiana “Amici di Nevè
Shalom/Wahat al-Salam”.
L’incontro era organizzato
dalla Comunità Ebraica, dalla Chiesa Evangelica Valdese e dalla
Chiesa Cattolica eporediesi, nell’ambito della Giornata per l’amicizia
ebraico-cristiana. Palpabile nei convenuti un senso di sofferenza e d’incertezza.
Bruno Segre (che a
Ivrea ha lavorato alcuni anni con “Comunità” e in altri ambiti)
ha descritto l’esperienza dell’Oasi di Pace (questo significa nelle due
lingue, ebraica e palestinese, il nome del villaggio), difficile da riassumere
in poco spazio.
Fondato nel 1972, equidistante
da Gerusalemme e da Tel Aviv, da Fratel Bruno Hussar (ebreo e frate cattolico,
morto nel ‘96) è un villaggio che sperimenta la possibilità
di convivenza dei due popoli, ebreo e palestinese, nel reciproco rispetto.
E’ formato da 35 famiglie, tutte di cittadinanza israeliana, metà
ebrei e metà palestinesi, che lo gestiscono con organismi democratici
e indipendenti; ognuno lavora all’esterno come vuole o all’interno nelle
strutture del villaggio. E’ una situazione volutamente artificiosa, con
uno scopo di testimonianza, ma è immersa profondamente nella realtà
conflittuale del paese. Basta pensare ai giovani ebrei che sono chiamati
al servizio militare nell’esercito israeliano. L’opera di educazione alla
pace si esplica prima di tutto nelle strutture scolastiche del villaggio:
asilo nido, scuola materna ed elementare sono bilingui; alunni e maestri
si esprimono in ebraico ed arabo; tali scuole sono aperte anche ad alunni
esterni (oggi sono 2/3). Una esperienza unica in Israele, riconosciuta
ufficialmente dallo Stato, osservata da molte parti come un modello. Un’educazione
multiculturale, che affianca due etnie e diverse confessioni religiose:
ebrea, musulmana, cattolica, anglicana.
L’altra struttura educativa
è la “Scuola per la pace”, che organizza una varietà di corsi,
seminari, campi estivi, incontri di vario livello, sia per giovani che
per adulti, tutti volti alla conoscenza reciproca e allo studio di come
si possa controllare (non risolvere!) un conflitto. Iniziative si sono
svolte anche fuori d’Israele. Circa ventimila giovani hanno seguito finora
i programmi della scuola, che si svolgono sia nel villaggio, sia negli
istituti superiori che lo richiedono. Il peso di pregiudizi che dividono
le due etnie è enorme: fare incontrare e discutere le due parti
è il primo passo verso un futuro migliore. Per darci un’idea della
situazione, Segre ha raccontato di come abbia assistito a un incontro tra
giovani (tutti venuti spontaneamente) in cui due ragazze, di cui lui non
comprendeva le parole, si sono attaccate verbalmente, con una tale carica
di aggressività, espressa dal tono e dalla mimica, da rendere superflua
l’intesa della lingua.
Può sembrare
che tanto sforzo per la pace non abbia, dopo trent’anni, portato a molti
frutti. Di questo si è anche parlato nella discussione. In
una situazione così intricata sarebbe forse ingenuo pretendere di
più. Sono “semi di pace” che vengono gettati.
Sono state ricordate
anche altre iniziative di convivenza in Israele: “Open House” a Ramle,
una scuola a Nazareth e altre. Il Villaggio è un punto di riferimento
per tutti i movimenti per la pace in Palestina, che sono molti. Purtroppo
la stampa e la tv italiane non ne parlano quasi mai.
E’ stata nominata anche
da noi un’iniziativa recente, di grande significato, che risponde allo
spirito del Villaggio. Bruno Segre ce l’ha presentata in un breve video,
di grande impatto emotivo. E’ il “Circolo dei genitori”. Genitori ebrei
e palestinesi che hanno perso i loro figli in questa lotta tra i due popoli
e che hanno deciso di unirsi, parlarsi, confrontarsi e anziché cercare
vendetta fare ogni sforzo per spingere alla pace i loro popoli. Incontrano
gli estremisti, incontrano i capi di stato, fanno sentire la loro voce,
che nessuno può criticare, perché loro hanno già dato
il massimo. Hanno avuto una parte attiva nei recenti (e ahimè infruttuosi)
negoziati; non si arrendono. E’ necessario tanto sangue perché mani
nemiche si stringano?
liliana curzio