Per le strade del mondo
La guerra è contro la razionalità 
 
      Sto girando l’Italia, invitato a parlare della guerra, a far riflettere sulla sua disumanità, già alle sue radici: è disumana  perchè è contro la razionalità - che è la caratteristica dell’essere umano - dal momento che per sua natura premia non chi ha più ragione ma chi è più forte, chi ha le armi più perfette e abbondanti. Tant’è vero che nell’antichità gli eserciti contrapposti venivano affidati alle diverse divinità, che avrebbero garantito - loro dall’alto - il successo di chi aveva più ragione (e così, ad esempio, nell’Iliade la dea più saggia, Minerva, sotto la garanzia suprema di Giove farà vincere gli Achei contro i Troiani, protetti dalla più “leggera” Venere). E purtroppo chi è più forte non di rado si sente autorizzato a trascurare le norme morali o giuridiche che dovrebbero regolare la vita delle persone e della società, ovviamente appellandosi a finalità nobili che giustificherebbero, così, anche l’uso di mezzi meno nobili. 
    Queste valutazioni generali trovano purtroppo conferma in questa guerra della Nato, iniziato (senza vera e propria dichiarazione, ignorando l’Onu e scavalcando le norme statutarie della Nato stessa e delle Nazioni che la compongono, compresa l’Italia) con il nobile fine di rovesciare un dittatore, Milosevic - in realtà eletto a maggioranza dal suo popolo -, dopo una campagna  repressiva che egli ha potuto sovvenzionare con i soldi offerti dalla nostra Telecom per acquistare i telefoni dell’intera Serbia! La finalità principale era difendere un’etnia, quella kosovara, ora tragicamente espulsa dal suo territorio, vittima dello scontro tra le milizie serbe e la guerriglia dell’Uck - che, armata dall’Occidente, ha soverchiato la politica nonviolenta di Rugova -, e minacciata dalle stesse bombe della Nato. 
    In realtà da una parte il dittatore, che prima godeva di scarsa considerazione, ha ora con sè tutto il popolo, che non vuole la perdita definitiva del Kosovo, dove riconosce le radici del proprio essere serbo e della sua religione ortodossa; e dall’altra i kosovari assediano in massa tutta l’Europa, orientati per gran parte a non ritornare in una terra ormai piena di troppi ricordi dolorosi e con prospettive di convivenze impossibili. 
    Purtroppo questa guerra rivela la superficialità di chi l’ha voluta, non prevedendone la durata indefinita, con l’assurdità di bombardamenti arroganti che distruggono un territorio e un popolo, senza rischi se non quelli di “effetti collaterali”, cioè con l’uccisione ormai di centinaia di civili tra quelli stessi che si volevano difendere, ma che si coprono con le “scuse”, mentre ci si preoccupa - e come! - di non far correre rischi ai propri soldati e di recuperare i singoli aviatori accidentalmente caduti in mani nemiche. 
    Credo che la presa di coscienza, sempre più allargata, resa più evidente ed influente dal moltiplicarsi degli incontri e delle manifestazioni, debba stimolare e sostenere i nostri politici nella ricerca insistente e forte di nuove vie di accordi e di cammini di pace. 
    Quello che mi colpisce è la scarsa sensibilità di noi cattolici che, pur sollecitati costantemente dal Papa, non riusciamo a superare i condizionamenti della politica (che accomuna ormai destra e sinistra nel coinvolgimento della guerra) e quelli quotidiani dei mezzi di informazione. E ci dimentichiamo che il Vangelo ci impone di “amare i nostri nemici”: che non vuol dire approvarli, ma cercare di capirli, proprio per poterli rendere sempre meno nemici e indurli a cambiamenti di decisioni. Il Vangelo altresì ci impone di “porgere l’altra guancia”, cioè di non rispondere alla violenza altrui con una nuova violenza; e non per restare passivi di fronte al male (come del resto il mondo occidentale è rimasto passivo quando c’erano già tutte le premesse della tragedia attuale. Si prevedeva: “Dopo la Bosnia verrà il Kosovo!”), bensì per tentare con più determinazione le strade della politica, coinvolgendo fra l’altro fin dal principio la Russia, che sola poteva efficacemente influire sui serbi. Non sono solo i “pacifisti” a dire che si poteva e si doveva fare di più: l’ha detto il nostro ministro Dini, e abbiamo letto sui giornali che l’han detto personalità certamente non antiamericane come l’ex presidente Carter e l’ex segretario di Stato Kissinger. 
    Penso che noi credenti dobbiamo riconoscere che non siamo a sufficienza "operatori di pace", che non sappiamo accogliere fino in fondo il centro del messaggio fondamentale cristiano: saper unire l'impegno per dare gloria a Dio attraverso la realizzazione del creato e quello di promuovere la pace in terra per tutti gli uomini, perchè Dio li ama tutti.

    +luigi bettazzi