La domanda su cui riflettere insieme
è: quanto apprezziamo
sia grande la nostra attenzione verso i problemi legati
all’uso delle risorse
naturali nel territorio in cui viviamo? In prima battuta,
così comodamente seduti, saremmo
immediatamente critici ed affermeremo che lo sfruttamento della Natura
è
diventato un’abitudine dell’uomo, in particolare
della società industrializzata
occidentale
Tuttavia, permettimi di affermare che la
“coscienza” di noi
tutti su temi ambientali, nonostante sia certamente cresciuta in questi
anni,
non ha condotto a nessun significativo cambiamento nel comportamento.
La
cultura ambientale si diffonde, ma la crisi ambientale perdura e si
aggrava.
Pur riconoscendo che questa crisi
è una crisi complessa, a
cui non si può rispondere con azioni semplici o isolate,
è indubbio che chi non
è minacciato personalmente e direttamente non si sforza di
fare una vera
revisione del proprio modo di vivere.
Nel caso di una minaccia incombente i
comportamenti, sia a
livello individuale che collettivo, sono solleciti. Quando si subisce
un
inquinamento, o si vede danneggiare violentemente l’ambiente
in cui si vive,
nascono proteste e manifestazioni. Quando inizia ad esondare un fiume,
a
franare una collina, certo si fugge, per poi puntare l’indice
su chi ha
permesso di danneggiare la nostra proprietà senza aver fatto
nulla o abbastanza
per evitarlo.
Solo le prospettive lontane, quando
cioè riguardano le
generazioni future, evidentemente non sono sufficienti a indurre una
modifica
del nostro modo di agire quotidiano.
Tanto meno, pare, sono utili le campagne
di educazione
ambientale realizzate attraverso l’informazione: la maggior
parte degli
studiosi afferma che, in realtà, esse sembrano solo
rinforzare il comportamento
di chi già ha un atteggiamento corretto verso
l’ambiente.
Inoltre, in tutti noi esiste una
“inconscia” differenza tra
la visione e l’importanza, il valore, che attribuiamo alle
diverse risorse
naturali.
La nostra attenzione è
sicuramente maggiore per l’acqua
e l’aria,
perché sono elementi che compongono e penetrano
l’interno del
nostro corpo, e quindi, quando sopraggiungono alterazioni o
inquinamenti degli
ambienti aereo o idrico in cui viviamo, sentiamo direttamente
minacciata la
nostra persona, la nostra salute. Il discorso è diverso per
il suolo.
Pur essendo una risorsa
importante, essa rimane solo il supporto per le produzioni alimentare,
per le
nostre case, le nostre strade. Il suolo è estraneo al nostro
sistema di vita;
anzi per l’uomo metropolitano, fatto salvi i momenti
ricreativi, è da tenere al
di fuori delle nostre case.
Forse in questi motivi, funzionali,
utilitaristici al nostro
modo di vivere, risiedono i diversi atteggiamenti e comportamenti che,
sia
nella società civile ma anche nelle istituzioni, si
producono nella gestione
delle risorse naturali: l’utilizzo è
più intenso, e quindi meno “rispettoso”,
laddove minore è il “senso di
appartenenza” che si ha della risorsa in uso.
Non affronto temi di ordine psicologico
che, autori come
Hillman, hanno meravigliosamente affrontato, ma la domanda
è: la perdita
di
Natura è progredita di pari passo con la perdita di
“bellezza” nella nostra
anima?
Dice
il filosofo Hans Jones: “Forse l’uomo non
può essere
portato alla ragione senza seri avvertimenti e senza reazioni
già molto
dolorose da parte della natura martoriata. Forse deve accadere qualcosa
di
piuttosto grave perché dall’estasi dei bisogni
sempre crescenti e dal loro
soddisfacimento illimitato, si torni ad un livello che sia compatibile
con la
sopravvivenza dell’ambiente”.
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