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LA CHIESA ROMANICA DELLA Pieve di San Siro a Capo Di Ponte
Fotografie di Alberto Galbiati
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Il monte Concarena incornicia degnamente la bella Pieve, sotto la quale scorre quieto il fiume Oglio
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L'imponente apparato absidale della chiesa incombe sullo strapiombo di viva roccia. Le absidi della chiesa (dunque anche l'altare) secondo la prassi di orientamento dei templi cristiani volgono verso Est, in direzione del Pizzo Badile Camuno. Da Est giunge la luce del sole nascente, metafora della Grazia cristiana. E' una conferma delle abitudini preistoriche, che al Pizzo pare riconoscessero valenza sacrale, in quanto collegato al sorgere della luce.
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La conformazione del luogo e la necessità di collocare l'altare in direzione di Est costrinse i costruttori a rinunciare alla facciata e a situare il portale sul lato Sud. La rinuncia guadagnò al portale una moderata ricchezza di ornamentazione, con la scultura degli elementi architettonici (capitelli, cornici, lesene, strombature ...) ispirata a temi cari al Romanico: ornamentazioni fitomorfe e figure mostruose. Particolarmente ricca, la lunetta conferma la tipologia ornamentale romanica: draghi alati e tralci vegetali. Un angelo e un'aquila forse alludono agli evangelisti Matteo e Giovanni. |
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Alla base della lunetta compare l'invocazione: "HINC DS INTRANTES AD TE BNDIC PROPERANTES" << BENEDICI, O DIO, COLORO CHE ENTRANO DA QUI PER AVVICINARSI A TE >>
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Anche al suo interno, naturalmente, la chiesa denuncia lo stile romanico: navate, archi a tutto sesto, capitelli di diversa impostazione, pilastri e colonne, piccole aperture, grande luminosità. E pietra ovunque.
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La cripta, forse originario tempio longobardo.
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La chiesa doveva essere affrescata. Ce lo testimoniano le consuetudini del tempo, oltre ad alcuni residui affreschi quattrocenteschi
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Dolcissimo volto di Madonna
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SINTESI STORICA La sintesi è tratta da "Romanico - San Siro e San Salvatore in Capo Di Ponte" di Alberto Galbiati, in vendita presso la Libreria del Parco Nazionale
Benchè coevi e vicinissimi l’uno all’altro, l’origine e la vita degli edifici chiesastici di San Siro e San Salvatore appartengono a vicende diverse, come se il fiume Oglio, sulle cui rive opposte sorgono, avesse scavato fra essi un solco simbolico, oltre che geografico. Sul finire dell’ VIII secolo, Carlo Magno, vincitore dei Longobardi, donò la Valcamonica al monastero franco di Saint Martin di Marmoutier, nel dipartimento di Tours. Contemporaneamente, a Brescia sostituì il duca longobardo con un conte franco. La politica regia di rafforzamento dei monasteri non impedì, peraltro, nel IX secolo la presenza in valle di possedimenti del Vescovo di Brescia (e di quelli di altri Vescovi). Quest’ultimo, affiancatosi dapprima al conte franco, finì via via per sostituirsi ad esso, dimostrandosi insidioso nei confronti della giurisdizione del monastero di Saint Martin che, troppo lontano, aveva affidato l’amministrazione della sua valle ad un proprio advocatus locale (nel X secolo, la famiglia del castello di Esine). Quanto lontano era il monastero franco proprietario, altrettanto vicini erano fra loro l’advocatus locale e il signore-vescovo bresciano. Sicchè, com’è d’uopo in questi casi, finirono per intendersi e per legarsi l’uno all’altro, così che la Valle entrò rapidamente nell’orbita del Vescovo, che tese a controllarla con il sistema giurisdizionale delle Pievi. Poco influì sulla situazione di fatto locale che l’organizzazione cluniacense, nella quale era confluito il Monastero di Tours con i relativi diritti patrimoniali, avesse nel frattempo espanso la sua presenza nella zona del Lago D’Iseo (San Pietro in Lamosa a Provaglio e San Paolo sull’isola lacustre) ed eretto in Valle l’unica abbazia camuna, quella, appunto, di San Salvatore, probabilmente agli inizi del XII secolo. Ciò avvenne, pare, in contemporanea con l’erezione della chiesa plebana di San Siro. Fu appunto la ferrea organizzazione delle Pievi e dei benefici a giocare a favore di una sempre maggiore influenza vescovile (e imperiale) sulla Valle, a scapito di quella monasterile (e papale). I successivi tragici eventi delle lotte fra le fazioni locali ghibelline e guelfe sfociò, alla fine, nella conflittualità secolare che oppose stabilmente fra loro i due sistemi. E due splendide chiese, fronteggiantisi dalle opposte sponde dello stesso fiume, sembrano ricordarlo. Non risultando documenti scritti, la storia della fondazione della chiesa di San Siro è affidata agli indizi che emergono da parti dell’edificio e dallo studio del contesto storico-architettonico. Un frammento epigrafico nella monofora sinistra dell’abside centrale proviene da un edificio romano. La dedicazione a San Siro, patrono di Pavia capitale longobarda e, fra gli altri, un frammento marmoreo di gusto longobardo in una delle monofore aperte nella parete meridionale della navata centrale, inducono gli studiosi a ritenere certa nel secolo VIII l’esistenza di una chiesa longobarda, più piccola, forse coincidente con l’attuale cripta. L'erezione dell’odierno edificio, con l’inglobamento del precedente, si ritiene avvenuta intorno al 1100. Oltre tre secoli più tardi, nell’ambito di un restauro generale (1444) si registrò l’erezione del campanile (1447). Nel 1580, in conseguenza della visita di Carlo Borromeo, l’interno venne intonacato e imbiancato, determinando l’eliminazione dell’affrescatura precedente, che salvo una minima parte superstite, si ha motivo di ritenere esistente. La visita pastorale del Borromeo coincise con l’inizio di un rapido declino della chiesa, le cui funzioni parrocchiali furono passate alla chiesa di Santo Stefano a Cemmo. Nello stato di abbandono dei secoli successivi, si registra solo la spoliazione progressiva di opere e arredi, salvo la realizzazione di una copertura barocca a volte. Gli ultimi decenni del Novecento registrarono frequenti interventi di recupero e restauro: eliminata la volta settecentesca e rifatto il soffitto a capriate di legno; riaperta la croce greca nel timpano centrale; rifatto l’altare; scrostate tutte le malte borromee e riportata a vivo le murature in pietra; restaurato il portale con la ricomposizione della lunetta dai frammenti sparsi nelle vicinanze; rifatta la pavimentazione a lastroni; riaperto l’accesso primitivo alla cripta. Oggi, l’edificio, monumento nazionale di proprietà della Parrocchia di Cemmo, è sporadicamente officiato e si offre ai turisti e a manifestazioni musicali di alto livello.
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