In questa parte del Cadore fino a due anni fa non c'erano ritrovamenti archeologici, se non per alcune selci preistoriche rinvenute molto recentemente dal signor Cesco Frare, in collaborazione con il prof. Mondini. Ma grazie al funzionario della Soprintendenza Eugenio Padovan durante un lavoro all'esterno della chiesa di Santo Stefano sono stati recuperati alcuni frammenti di terracotta databili tra il V e il VI D.C. Non sono state individuate ancora strutture ma già questo è un preciso indizio di un abitato all'incrocio tra il fiume Piave e il Padola. Esaminando le ipotesi di percorsi che attraversavano questo territorio Alessio de Bon sosteneva il passaggio di una strada romana attraverso il passo Zovo e il passo di Monte Croce Comelico, per scendere poi a Sesto e continuare in Pusteria. Una prova archeologica di questo percorso potrebbe essere rappresentata da una tipologia di fibula a cerniera,detta tipo Gurina o Hrusica . Queste fibule sono presenti lungo le strade sia in Friuli che in Alto Adige. Uno di questi esemplari è esposto al museo di Pieve, trovato a Lagole,un altro è stato trovato sul monte Calvario, che si trova nelle immediate vicinanze di un sentiero per il Comelico usato fino alla metà del Novecento per trasporto di legname e fieno. Si tratta di fibule generalmente usate dai militari ma non solo, datate dal 275 al 450 D.C.. Il de Bon scriveva che a Padola aveva avuto notizia del ritrovamento di monete romane, ma non le descrive. Andrebbero indagati oggi con la dendrocronologia (datazione mediante studio degli anelli del legno) i tronchi usati per drenare l’acqua da una zona paludosa trovati dal de Bon ai tabià di Zancurto, tra Padola e monte Croce Comelico.Nel 2012 l'archeologo Gian Galeazzi sulla base di foto aeree ha individuato, quasi sulla sommità del passo di Montecroce Comelico, una struttura quadrangolare di metri 62x62 con quattro torri circolari sui lati; si possono distinguere i terrapieni esterni e un sentiero che l'attraversa quasi al centro. Il museo Algudnei di Comelico Superiore ha finanziato dei saggi, sotto la direzione della Soprintendenza, per capire di cosa si tratta. I primi risultati ci dicono che si tratta di un'opera artificiale e che ci sono delle buche di palo. Di certo la struttura chiudeva il passo e poteva fornire assistenza agli eventuali viaggiatori. Un’altra via di comunicazione, probabilmente precedente all’età romana, potrebbe essere stata a Forcella Dignas, punto di valico più basso con l’Austria. Già il Fabiani segnalava la presenza di solchi sulla roccia nei pressi della forcella ma non avendo prove della frequentazione umana prima del Medioevo in val d’Ansiei e in Comelico concludeva che si trattava di solchi lasciati dai carri che trasportavano il legname nell’Ottocento. In realtà in una carta geografica del 1700 scoperta da Gianni Pais, che però si rifà ad esemplari più antichi, è segnata una strada per forcella Dignas come “rotabile”, ossia adatta al passaggio di carri. Il fatto stesso che i confini del Comelico arrivassero fino alla sponda del fiume Gail (Zeglia), ben oltre lo spartiacque, fino all’Ottocento dimostra quanto fossero sviluppati i rapporti con la Gailtal. Ancora oggi ogni anno gli abitanti di Sappada si recano in pellegrinaggio alla Madonna di Luggau a piedi con anziani e bambini. |
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