Architettura Italiana 1

Il primato dell’architettura sulle scelte della citta’

IPOTESI SU CENNI DI METODOLOGIA DELL’ARCHITETTURA URBANA DELLE PERIFERIE IN UNA VISIONE UNITARIA DI URBANISTICA ED ARCHITETTURA NELLA QUALE L’ARCHITETTURA ABBIA IL PRIMATO.

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COSA SI DEVE DIRE CHE NON SI PUÒ’ FARE O RITENERE : " I CINQUE PUNTI ".

VITRUVIO : costruzione di edifici

PRIMO

 

NON POTER FARE SVENTRAMENTI NON SIGNIFICA "RISPETTARE" FALSE MEMORIE A TUTTI I COSTI.

Concorso Sant’Arsenio 1998 – "La SFINGE delle MEMORIE"

Al di là di ogni polemica più o meno esasperata, l’architettura, oggi, non vanifica la storia, ma da essa ne prende l’essenza.

Una delle più alte lezioni dell’Umanesimo Brunelleschiano è la sua nuova considerazione della città preesistente come struttura labile e disponibile, pronta a mutare il suo significato globale una volta alterato l’equilibrio della narrazione "continua" romanico – gotica con l’introduzione di compatti oggetti architettonici.

Evidentemente deve essere il progettista che, stratificando gli accadimenti, sedimentando le sensazioni, può proporre un valore urbano nuovo.

Alcuni hanno insistito sul valore della bellezza del degrado delle città antiche o sui casolari di periferia, sublimando "cascine e terreni vaghi" (Aldo Rossi).

Noi, dinanzi al degrado delle periferie di Napoli non abbiamo nulla da sublimare, abbiamo soltanto da aver coraggio e riproporre noi oggi.

 


SECONDO

NON SI PUÒ’ RITENERE CHE I MONUMENTI SIANO SOLO DEL PASSATO E PERTANTO IL MONUMENTALISMO URBANO SIA TUTTO DA RIFUGGIRE.

Concorso Sant’Arsenio - 1998

 

Nell’interpretazione della città moderna, vi è il desiderio di una riproposizione storica, in quanto le funzioni delle tracce del passato, nel bene e nel male, hanno sempre condizionato, non solo la qualità espressiva della città, ma la stessa vita sociale: in pratica l’uomo si è sempre riconosciuto nei suoi monumenti.

Tale riconoscimento supera il semplice dato storico – architettonico del manufatto: evidentemente sono le funzioni della collettività che si appropriano dei significati. In tale senso non sono semplici emblemi della città e della sua vita, ma diventano qualcosa che va oltre il simbolo, interagendo costantemente con il quotidiano.

Dal dopoguerra ad oggi parlare di "monumentalismo" dell’Architettura Urbana, però ha prodotto pericolose deviazioni. I brutti edifici monumentali – per esempio – del fascismo o comunque delle culture riferibili, sono stati ferocemente attaccati da una critica che ne faceva risaltare il grottesco. Oggi, penso, si è rivalutato uno spazio urbano nel quale le emergenze esprimono un carattere di permanenza.

I monumenti, intervenendo nel processo di modificazione dello spazio urbano, devono "orientare" le direttive progettuali, superando la stessa destinazione funzionale, senza divenire fulcro prospettico o scenografico.

Per il quartiere di San Giovanni le ville Vesuviane, che sono tante, occupano una fascia di due chilometri ed un territorio di circa tre chilometri, da villa Cozzolino, a villa Cristina, a villa Faraone, Papa, Procaccini, Rainola, Palazzo Robertelli, Vacca, Vignola, Vittoria, Volpicelli, e per le quali non si è fatto mai nulla, possono divenire il tramite di un unico disegno, che interessa un vasto territorio di questa periferia.

Il Comune di Napoli per spendere un finanziamento di trecentocinquanta miliardi per l’edilizia residenziale pubblica atta a recuperare il preesistente, parlava di "recupero e riqualificazione di un’opera pubblica". Oltre agli enormi dubbi sulle assegnazioni, non è certo così che si deve intervenire: non si possono più spendere soldi per restaurare o recuperare il semplice edificio o costruire semplicemente edilizia Residenziale Pubblica, bisogna che si intervenga nel senso delle cose che abbiamo detto: non vanno né integrate in un contesto o in un semplice ambito di pertinenza ristretto, né isolate. Esse devono poter "orientare" un Progetto di Architettura del Territorio, in maniera che siano funzionali al disegno della città ed alla funzione sociale stessa. Non devono però divenire loro i monumenti della nostra città, ma devono le Nuove Funzioni – teatri, centri sociali e ricreativi, verde attrezzato aperto etc. – divenire i nuovi monumenti del futuro, capaci di intrattenere un discorso di continuità con le ville storiche, usate come testimonianza vissuta nel quotidiano delle memorie intelligenti, fino a qualificare insieme lo spazio urbano della ex periferia, che soltanto così scompare nella sua accezione infamante.

Noi dobbiamo riuscire in una operazione di "ridisegno" di cose spezzate, distrutte dagli accadimenti del tempo, per recuperarle con pazienza a ricomporre i nuovi messaggi.

I monumenti quindi non come simboli di autorità, di storia, di vestigia del passato, di autogratificazione dell’intelligenza dei nostri progenitori, non come retorica, ma come esperienza collettiva e d'ogni giorno.

Il monumento è l’habitat della memoria e questa è sostanza concreta al pensiero ed all’evoluzione della società: come tale non va semplicemente "incontrata", non basta che "ci sia". E’ essenziale che venga vissuto quasi quotidianamente, che faccia parte non soltanto delle nostre riflessioni o de nostri "incontri colti", ma anche della nostra ricreazione e del nostro svago.


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  • Le immagini dei progetti di Ermanno Corsaro sono tratte dalle opere pubblicate e dal repertorio dell’autore.

    Nota biografica.

    Ermanno Corsaro è nato a Catania il 6-9-53. Si è laureato con lode a Napoli nel ’78. Ha collaborato fino all’83 all’Istituto di Progettazione della stessa Facoltà. Vincitore di concorso è docente di Discipline Architettoniche al Liceo artistico di Napoli. Ha partecipato a numerosi concorsi e mostre Nazionali ed Internazionali, ricevendo premi e segnalazioni ufficiali. Molte opere sono pubblicate su varie riviste e cataloghi.

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