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Le vestigia dell'antica città di Fregellae sono visibili su un altopiano posto nel territorio del comune di Arce e, in parte, in quello limitrofo di Ceprano. Colonia di diritto latino, Fregellae fu fondata dai Romani sulla riva sinistra del fiume Liri nel 328 a.C., in luogo di un omonimo centro abitato della locale popolazione del Volsci distrutto dai Sanniti, a dispetto di un trattato che, a spese dei Volsci, nel 354 a.C. stabiliva la zona di influenza romana a destra del fiume e quella sannita a sinistra. L'arx della Fregellae dei Volsci è individuabile sul sito della moderna Rocca d'Arce. Ad essa facevano capo diversi centri abitati, alcuni dei quali localizzabili nella zona dei Fraioli e, forse, sul luogo della moderna Arce. La spinta espansionistica romana verso sud si evidenziò così in una provocatoria deduzione coloniale, che si rivelò presto la principale causa dello scoppio della seconda guerra contro i Sanniti (326-304 a.C.). Rifondata nel 313 a.C., dopo una rabbiosa quanto breve riconquista sannitica, conseguente alla sconfitta romana delle Forche Caudine (316 a.C.), con il passare degli anni divenne la città più importante e popolosa del Lazio meridionale (Latium adiectum). A tal proposito va citato l'episodio dei duecento nobili ostaggi cartaginesi i quali, all'indomani della battaglia di Zama (202 a.C.), chiesero e ottennero dal senato romano di abitare a Fregellae. La città godeva anche del fatto di essere efficacemente collegata con Roma dalla via Latina. Questa collegava in un primo momento Roma con il santuario di Iuppiter Latiaris sui Colli Albani e in occasione della rifondazione della colonia fu prolungata sino a Capua.
L'importanza di Fregellae e la sua posizione di preminenza sulle altre colonie latine sono dimostrate da numerosi episodi citati dagli storici antichi: il ruolo di portavoce delle colonie presso il Senato di Roma o l'esistenza di uno squadrone scelto di cavalleria (turma fregellana), formato da quaranta aristocratici fregellani con funzione di guardia del corpo dei consoli, distintosi per valore in almeno due importanti episodi bellici. Ma il fenomeno sociale e politico più riguardevole per la città è rappresentato dal continuo flusso di immigrati dalle regioni circostanti: si pensi che nel solo anno 177 a.C. ben quattromila famiglie di Sanniti e di Peligni si trasferirono a Fregellae. Tale massiccia "deromanizzazione" della città può reputarsi, in parte, causa della sua distruzione. Infatti, gli anni della seconda metà del II secolo a.C. furono caratterizzati, a Roma, da una profonda crisi politica che vide contrapposti i fautori dell'oligarchia senatoria ai rappresentanti delle classi meno abbienti. La questione della distribuzione gratuita del terreno pubblico, riservata ai soli cittadini romani, fu di fondamentale importanza nella lotta politica di quegli anni e Fregellae fu in prima linea nella rivendicazione della cittadinanza, che avrebbe permesso alle migliaia di immigrati una più facile integrazione nel tessuto economico e sociale romano. E proprio il rifiuto di un'ulteriore proposta di legge in tal senso, nel 125 a.C., scatenò una rivolta che fu presto soffocata da un esercito romano comandato dal pretore Lucio Opimio, con la conseguente distruzione della città. In pratica, la drastica soluzione della "guerra fregellana" suonò come un funesto avvertimento contro il partito avversario del senato romano: di lì a poco lo stesso Lucio Opimio avrebbe fatto assassinare Caio Gracco, che aveva sostenuto le richieste dei fregellani. L'area urbana, sottoposta alla pratica religiosa della devotio, fu completamente abbandonata e da allora non ebbe più continuità di vita.
Il pianoro sul quale sorgeva Fregellae si estende per circa 90 ettari (fig. 1) ed era quasi tutto occupato dal centro urbano, come è stato evidenziato da indagini archeologiche di superficie.
Una serie di campagne di scavo, iniziate nel 1978 dall'università di Perugia sotto la direzione scientifica del prof. Filippo Coarelli, ha permesso di acquisire notevoli conoscenze sulla struttura urbanistica dell'antica città, evidenziandone l'area pubblica, una zona residenziale ed alcuni santuari, sia urbani che extraurbani. In particolare, il reticolo viario della zona centrale della città (fig. 2) ha sinora rivelato la presenza di un asse stradale principale nord-sud, da identificarsi con un tratto urbano della via Latina, sul quale s'innestano altre tre vie parallele tra loro, con un interasse di 67 m, pari a 230 piedi romani. Lo spazio posto tra esse è occupato da isolati contenenti alcune domus, le residenze aristocratiche della città. Queste erano costruite con le facciate rivolte in direzione opposta l'una all'altra, erano quindi in contatto per i rispettivi giardini. Al disotto del ramo urbano della via Latina è stato rinvenuto un monumentale acquedotto formato da grandi lastre di calcare sul fondo, da pareti in blocchi di tufo e da una copertura con altre lastre di calcare disposte "alla cappuccina". All'incrocio tra la via Latina e il primo asse trasversale è posto il Foro, una grande piazza le cui dimensioni sono di m 144 x 55. Ai fini della ricostruzione della vita politica della colonia, è di notevole importanza la scoperta di due file di pozzetti doppi allineati lungo i lati corti del Foro. Sono da mettere in relazione con la realizzazione di corsie provvisorie (saepta) all'interno delle quali sfilavano ordinatamente gli elettori fregellani in occasione dei comitia indetti per l'elezione dei magistrati locali. Le dieci corsie ricostruibili a Fregellae lasciano intendere che le unità elettorali dovessero essere in numero di cinque, poiché ognuna di esse era divisa nelle ulteriori due categorie di iuniores e seniores. Tale sistema, basato sull'utilizzazione dei saepta, sembra caratteristico degli anni centrali della vita della colonia, poiché alcuni pozzetti mostrano segni di abbandono databili ad anni precedenti alla distruzione della città.
In prossimità del lato settentrionale del Foro è stato individuato il sito del Comitium, cioè il luogo preposto all'assemblea dei cittadini, consistente in una cavea circolare che trova stretti confronti in strutture simili ad Alba Fucens, Cosa e Paestum. Addossati alla curva settentrionale del Comitium sono stati rinvenuti i resti di un edificio nel quale si è riconosciuta la sede della Curia, il senato cittadino. Consiste in una costruzione rettangolare (m 9 x 12) decorata da due semicolonne addossate ai lati dell'ingresso. Una seconda fase costruttiva mostra un ampliamento dell'edificio che fu così incluso in un porticato a grandi colonne che lo cingeva su tre lati (fig. 3). All'incrocio tra il primo asse viario parallelo e il lato settentrionale del Foro sono state rinvenute tracce evidenti di un tempio, i cui resti sono databili tra la fine del IV e il II secolo a.C. Tale edificio fu evidentemente realizzato in concomitanza con la fondazione della colonia e rimase in vita sino alla distruzione della città. La sua ultima fase costruttiva è caratterizzata dall'utilizzazione di terrecotte architettoniche di derivazione ellenistica, confermata dalla testimonianza epigrafica di un artigiano di origine greca. A fianco del tempio sono i resti di un'ampia costruzione che si sviluppava sul lato orientale del Foro, nella quale è ravvisabile un macellum, cioè una sorta di mercato coperto.
Lungo il primo asse viario, a poca distanza dal Foro, sono stati portati alla luce i resti di un vasto edificio termale che si estendeva tra due assi paralleli (fig. 2, H), su tre terrazze poste su livelli differenti. Tutto il complesso appare diviso in due settori simmetrici, probabilmente uno femminile e l'altro maschile. Al centro è riconoscibile un forno che assicurava il riscaldamento dell'acqua e dell'aria ai due settori. Infatti, una sopraelevazione del pavimento, ottenuta mediante un sistema di pilastrini in laterizio (suspensurae), assicurava al disotto del pavimento di alcuni locali lo spazio necessario al passaggio dell'aria calda. Dietro le pareti, una serie di tubuli cilindrici in terracotta permetteva all'aria, proveniente dai pavimenti, di riscaldare anche queste zone. Lo spazio aperto posto tra le terme e la seconda terrazza è da identificarsi con una palestra, mentre la terza terrazza, in una prima fase collegata con le terme, fu destinata ad un uso diverso negli anni finali della vita della città. Di grande interesse risulta il sistema di copertura a volta di uno degli ambienti termali. Fu realizzato con costolature curve in terracotta, sulle quali si posizionavano le tegole. Le basi di appoggio delle costolature erano probabilmente sostenute da più telamoni in terracotta, molti dei quali sono conservati nel Museo Archeologico di Ceprano (fig. 4). La datazione delle terme, da porre nei primi anni del secondo secolo a.C., fa di esse il più antico complesso del genere, romano, sinora scavato. Tuttavia una precedente fase dello stesso edificio, ancora in fase di studio ma che ha già rivelato notevoli motivi di interesse, è attestata ad un livello più basso, quindi più antico.
Diversi santuari sono stati segnalati da indagini di superficie nell'area urbana, uno dei quali era forse dedicato al culto di Ercole. Tale divinità era stata eletta a protezione dei pastori e Fregellae si trovava ad un importante crocevia di diverse vie di transumanza colleganti gli Appennini con la costa tirrenica. Resti di un altro tempio sono stati individuati subito fuori città lungo una via che collegava Fregellae con Sora.
Il santuario fregellano meglio studiato è quello dedicato al dio greco della medicina, Esculapio (Asclepio, per i greci). Era anch'esso situato fuori città e fu costruito su un sito occupato precedentemente dal santuario dedicato al culto medico della Salus, di tradizione locale, risalente agli anni di fondazione della colonia. Il santuario di Esculapio, nelle forme monumentali note dagli scavi archeologici, fu realizzato probabilmente subito dopo il 190 a.C. Era costituito da un complesso a terrazze di notevole effetto scenografico, indice del processo di assimilazione dei modelli architettonici ellenistici, sebbene misti a soluzioni spaziali locali. La zona più importante del santuario era formata da un porticato a tre bracci di stile dorico (fig. 5), al centro del quale si ergeva, su un podio in opera cementizia, il tempio, ligneo e completamente ricoperto di terrecotte architettoniche. La centralità del tempio rispetto al santuario, la sua elevazione su un podio e la visione frontale che in questo modo veniva enfatizzata, denotano la persistenza di modelli architettonici di tradizione locale. Sul lato destro della scalinata che conduceva al pronao era interrato un thesaurus, cioè un contenitore lapideo destinato alla raccolta delle offerte in denaro, chiuso superiormente da una copertura emisferica attraverso cui si introducevano le monete. Davanti al santuario era forse stata ricavata una cavea teatrale, sull'esempio dei coevi santuari laziali di Giunone a Gabii e di Ercole Vincitore a Tivoli. Considerata la datazione del complesso cultuale fregellano, si può affermare che esso costituisce uno dei primi esempi in Italia di sviluppo spaziale su terrazzamenti, i cui modelli vanno ricercati nei santuari greci di Cos, Rodi e Delos. In particolare, il santuario di Cos, dedicato anch'esso al dio Asclepio, potrebbe costituire il modello diretto del santuario fregellano.
La planimetria dell'edificio (fig. 6) evidenzia un corpo centrale al cui lato lungo si addossano un pronao ed una scalinata. Tale inconsueta pianta, detta "a cella trasversale", trova riscontro in pochi templi di area laziale e romana ed è da considerarsi come un retaggio di antichi culti italici dei quali la pianta a cella trasversale costituiva un elemento simbolico fondamentale.
Il portico colonnato che delimitava l'ampia terrazza su cui sorgeva il complesso monumentale era disposto a squadra secondo una composizione simmetrica. La sua parete interna era decorata da un rivestimento di intonaco dipinto nel primo stile ad imitazione di una struttura architettonica in pietra, mentre nella parte superiore di tale rivestimento era presente una serie di pilastrini di stucco che imitavano un porticato contro un cielo azzurro.
Lo scavo di un quartiere residenziale prossimo al Foro ha permesso la realizzazione del nucleo del Parco Archeologico di Fregellae da parte della XV Comunità Montana e del Comune di Arce, musealizzando e rendendo fruibili i resti di alcune domus ad atrio. A questo proposito, anche in base ai risultati degli scavi delle altre domus della città, si è potuto stabilire che, in generale, la tipologia delle case di abitazione è abbastanza omogenea. Si tratta spesso di case ad atrio tuscanico sul quale si affacciavano alcuni ambienti: la cucina, con annessa latrina, due stanze da letto (cubicula) per lato, due ambienti aperti (alae) in cui si conservavano i ritratti degli antenati (imagines maiorum), il tablinum, dove venivano conservate le tabulae, cioè i documenti familiari, e dove trovava posto il talamo nuziale. Un ulteriore ambiente era rappresentato dal triclinium, la stanza a tre letti (da cui il nome) sui quali era possibile mangiare sdraiati. Un piccolo hortus (giardino) si apriva sul retro della casa.
I pavimenti sono generalmente ricoperti da un fine mosaico bianco o, più spesso, da uno strato di cocciopesto con inserite tessere calcaree che formavano semplici disegni geometrici di carattere decorativo. L'impluvium, che nelle case romane generalmente serviva a raccogliere l'acqua piovana per poi convogliarla in una cisterna, a Fregellae si presenta sempre sprovvisto di tale sistema di raccolta. E' pensabile che l'approvvigionamento idrico dovesse essere assicurato dall'acquedotto che correva al disotto del Foro e che l'impluvium e il soprastante compluvium (l'apertura nel tetto che permetteva all'acqua piovana di confluire nella vasca) svolgevano unicamente una funzione formale, connessa con la sola necessità d'illuminazione dell'interno.
E' da segnalare la presenza di un ambiente posto davanti all'ingresso, da identificarsi con il vestibulum, cioè il luogo destinato all'attesa dei clientes ; fatto, questo, che conferma il carattere aristocratico delle domus sinora scavate.
Di notevole interesse è la domus 7 (fig. 7), che mostra due livelli costruttivi ben distinti e permette di apprezzare, attraverso le diverse ristrutturazioni edilizie cui fu soggetta, le trasformazioni sociali che l'intera città subì negli anni precedenti la sua distruzione.
Il livello più antico che riguarda questa domus è da porre alla fine del IV secolo a.C. o agli inizi del III e rappresenta un raro esempio di abitazione medio-repubblicana. Ha una pianta canonica, come è stata sopra descritta, ma le tecniche costruttive adottate risultano di estremo interesse perché difficilmente riscontrabili altrove. In particolare sono visibili alcuni muri di argilla compressa poggianti su una base di tegole fratte, legate con malta di argilla; il tutto insiste su una fondazione in pietre calcaree. La facciata interna di questi muri, opportunamente stuccata, era decorata con la tecnica pittorica di primo stile, di cui restano ampi stralci.
La seconda fase costruttiva della domus è caratterizzata da una pianta simile a quella più antica ma maggiormente sviluppata in larghezza, con ambienti più ampi dei precedenti ed un fronte stradale esteso per circa m 16. Come è stato già accennato, questa domus subì una profonda trasformazione strutturale in relazione alle esigenze dei nuovi proprietari, i quali l'adibirono a fullonica, cioè ad officina per il lavaggio e la colorazione della lana. Tutto ciò è da collegarsi con la citata massiccia immigrazione di popoli italici, i quali da sempre basavano la propria economia sul commercio della lana. Questa conclusione è anche suggerita dalla notizia della contemporanea "emigrazione" di famiglie latine verso Roma, le quali evidentemente avevano venduto le loro proprietà in colonia ai nuovi immigrati.
Di notevole interesse storico sono le domus che hanno restituito testimonianze iconografiche della partecipazione dei fregellani alla guerra combattuta in Oriente contro Antioco III di Siria tra il 191 e il 189 a.C. Tra i materiali venuti alla luce sono di eccezionale interesse i resti di un fregio fittile di argomento storico che, pur nella scarsezza dei reperti, racconta con una certa dovizia di particolari le gesta delle truppe fregellane in occasione della battaglia navale di Mionneso (Ionia) e della battaglia campale di Magnesia (Lidia).
Altro materiale simile è costituito da lastre fittili, realizzate a matrice, rifinite a stecca e poi colorate, che rappresentano Nikai (Vittorie) alate, trofei militari e prigionieri. Testimonianza ulteriore della partecipazione militare fregellana in terre d'oltremare è la serie di modellini fittili di prue rostrate che dovevano decorare l'atrio di alcune abitazioni.
Il materiale di scavo sopra descritto è custodito nel Museo Archeologico di Ceprano, dove è ordinato secondo criteri tematici. Si segnalano, tra le altre: le sezioni dedicate al santuario di Esculapio, con una interessante esposizione dei frammenti del frontone del tempio e dei resti dell'altare con dedica epigrafa alla divinità; diversi esempi di terrecotte architettoniche ed alcuni modellini ricostruttivi del santuario e del fregio del portico; il monetiere contenente alcune monete che testimoniano i contatti commerciali della città sin dai primi decenni della sua fondazione; due serie di telamoni tra quelli rinvenuti nell'ambito dell'edificio termale; una bellissima serie di maschere teatrali fittili, evidente prova di un'attività teatrale cittadina (è nota l'esistenza dell'autore di commedie fregellano Terenzio Libone); un mosaico pavimentale databile ai primi anni del III secolo a.C., forse il più antico di ambito romano.
Dopo la distruzione di Fregellae, ai superstiti di parte filo-romana fu concesso di ricostruire la città, ma non più sullo stesso sito, a causa dell'interdizione derivata dalla pratica della devotio, né fu possibile imporle lo stesso nome. Venne dunque ricostruita poco più a sud, in un'ansa del fiume Liri subito dopo la confluenza con il Sacco, nel territorio dell'attuale comune di San Giovanni Incarico. Qui è anche individuabile il sito del porto fluviale di Fregellae e forse anche quello di un Foro pecuario. Il nome del nuovo insediamento fu modificato in Fabrateria Nova, forse perché furono chiamati ad abitarla molti cittadini di Fabrateria (da identificarsi probabilmente con la moderna Ceccano) che da allora verrà distinta come Vetus. Scavi recenti e prospezioni aeree hanno messo in evidenza il reticolo viario regolare della nuova Fabrateria, basato su un sistema di assi ortogonali posti ad una distanza reciproca di un actus (circa 35 m). La nuova città non sembra comunque occupare una superficie molto estesa. Il monumento cittadino di maggior rilievo è l'anfiteatro che, pur non presentando dimensioni di rilievo (m 70 x 57), appare tuttavia sproporzionato rispetto alla modesta estensione dell'abitato. Era fornito di due entrate principali poste lungo l'asse maggiore e, stante l'esiguo spessore dei muri, doveva presentare gradinate in legno.
Contestualmente allo sviluppo di Fabrateria Nova, assumeva una certa consistenza urbana il centro abitato di Fregellanum, a ridosso del ponte sul Liri che permetteva alla via Latina di collegare Fregellae con Frusino (Frosinone). Posto dagli antichi itinerari a quattordici miglia da quest'ultima città, il sito di Fregellanum è da identificarsi con quello della moderna Ceprano. Qui non sono visibili testimonianze antiche di rilievo, ad eccezione di una gran quantità di materiale archeologico di reimpiego proveniente in parte dalla vicina Fregellae. Si ha però notizia certa dell'esistenza di un ponte romano, posto più a valle dell'attuale, da un'epigrafe del tempo di Antonino Pio che ne testimoniava alcuni lavori di restauro.
Dopo la distruzione di Fregellae, si ripopolarono gli antichi centri
abitati limitrofi, soprattutto quelli situati in collina. In realtà, in
occasione delle invasioni barbariche che si susseguirono dal VI secolo d.C. in
poi, l'insicurezza delle città di pianura (Fabrateria Nova, Aquinum) indusse
molti abitanti a rifugiarsi in luoghi meglio difendibili. Per questo motivo
venne fondata Falvaterra - che nel nome ricorda quello di Fabrateria (Nova) -
Santopadre, Castrocielo e, in breve, quasi tutti i moderni centri collinari
della zona. Notevole importanza strategica assunse la posizione fortificata
del castello di Arcis; con questo nome era conosciuto il centro abitato
corrispondente all'attuale Rocca d'Arce. Con la lenta ma inevitabile discesa
dell'abitato medievale in una posizione più favorevole ai traffici e ai
contatti con i centri limitrofi, nel Medio Evo il nome di Arce fu dato anche
all'insediamento che si era creato quasi alla base della collina che ospitava
il castello. All'antico insediamento della cima, sorto a ridosso della
fortificazione, rimase il nome di "Arce di Sopra" , ovvero
"Rocca di Arce". Dunque, in questa zona si assiste al compimento di
quel particolare fenomeno urbanistico consistente nello spostamento dei centri
abitati tra la pianura e la collina, a seconda delle esigenze storiche,
economiche e difensive del momento. In sintesi, dalla Fregellae dei Volsci
collinare ebbe seguito la grande Fregellae romana di pianura. Da questa ebbe
origine una contrazione difensiva concretizzata nella costruzione del castello
e dell'abitato di Arcis (Rocca d'Arce). Il relativo benessere economico e,
soprattutto, la riconquistata tranquillità di transito e di commercio,
indussero gli abitanti di Arcis a spostarsi verso la pianura, dando vita al
sito dell'odierna Arce. E questo fenomeno non si è ancora esaurito, a
giudicare dal notevole sviluppo urbanistico che si è avuto negli ultimi anni
verso la pianura a ridosso della principale via di comunicazione, la via
Casilina.