Poesie tratte da "L'Antico e il Nuovo Tempo", una scelta di versi critici verso la pena di morte, la guerra, Olocausto, il terrorismo, con riferimento alle Torri gemelle.

 

L'antico Tempo

Genesi

Io fui dal Signore creato dalla terra, mentre donna egli trasse dal mio corpo.
Donna sei arto, volontà e pensiero che appartiene al mio destino. Nascita tua era finalizzata a mio servizio, aiuto alla custodia del giardino del Signore. Tradisti, sedotta dal serpente, fiducia del tuo creatore; conducendo me in oscuri sentieri, da lussuriosa e golosa tua natura. La tua condanna è partorire nel dolore; la mia cattiva sorte fu tornare sulla terra, punito ad essere polvere nella polvere.
Sia mia vendetta la tua schiavitù. Volevi destituire nostro Signore, conducendo me su trono dove saresti stata regina, insaziabile ed impudica al potere.
Donna sei pelle di ciliegia, labbra segnano dannazione nel rincorrere tuo innocente sguardo d’angelo; sei signora della demoniaca movenza, incanti con sinuoso passo, mostri l'ansare del petto, il madido e perlaceo dominio boscoso, profumi l’aria in tentacolare viaggio.

Sentiero
in luce diurna oscuro,
tanto appare incanto,
fuggente, a predatore natura
inseguita nel bosco,
l'orma lieve gazzella,
profumata, in erbe resinose,
giace, in prato
impudica a sguardo
contesa, tra ragione fuggente
e accesi sensi.
Cacciatore sferrasti assalto, 
padrone delle lussuriose
sfuggenti carni, menzognere
all'avvicinarsi della mano,
graffiano, con zanne l'animo.
Pensavi di ferire e sei ferito,
condotto, disperso
nelle segrete contrade,
in viatico senza fine,
ove volontà 
tramuta in nebbia.

Fui io colui che conobbe nel giacere la progenie. La terra era mia fatica, donna l'incanto che regalò a me figliolanza. Conobbi Eva e nacquero due figli. L'uno trasse in sé la completezza del bene, l'altro la malvagità e la perfidia maligna. Durezza della terra, sfociò nell'invidia del pastore. L'offerta della povertà di messi, non aveva valore di carne di pecora. Sacrificio suo non era degno del Signore, quale non dette a lui sguardo. Lasciò ara senza sorriso a Caino…

Sono tristi i giardini,
agrifoglio e buganvillea
fiori, appassiti nella sete,
otri gonfi d'aria
senza acqua nelle radici,
petali e occhi a spegnersi
in occhio senza luce mosche.
Sono tristi i giardini,
un fico senza foglie
sulle rive d'un torrente
con argini grigi,
acque e fonti disperse
inaridite a vita

Una mano tradì animo,
in quel falco sguardo
un rapace pensiero.
Inutile il ricordo
i giochi assieme,
le ore del conversare,
piccole liti nell'acqua,
lotte a conquistare, immaginari
lidi, spiagge fruttate nel vino,
ebbrezza dell'onda,
pacifico segno ,a graffiare 
nube nel cielo:
-Adora il padre nostro,
qual deciderà vostra sorte
in schiavitù, su terra e morte
o figli del gaudioso giardino-
Oro salvico pregherò speranza,
un giorno chiamerà il nome mio,
Caino aprirà su schiena ali
diventerà del regno custode.
Abele è pastore di greggi,
la terra orto e nutrimento
del mio sudario.
L'offerta del dono,
sguardo non si posò sul grano,
sorride ai fumi d’Abele carne;
spezie addolcirono l'aria,
resero ella vaporosa nube,
bagnando messi come lacrime,
marcendo nel dolore.

Abele ha delicate mani
le dita velluto di pesca,
il volto è avorio.
Il mio corpo è tronco
arso, nel fango la palude
scolpisce aspra fronte.
Radiosità bellezza
racchiude Abele sorriso;
malinconica severità
lo sfatto volto di Caino...
Mostruosità dell'inganno,
il bene a me rapito a lui donato,
fulgida bellezza e sguardo
a me tolto per scura pelle.

Unico fratello, nel deserto,
sacrificherò tua vita,
il sangue sarà fiore
del vendicatore, bastone del pastore
inumidirò nelle viscere,
donando te, bianca e reale pecora,
al gregge del Signore.
Le tue carni profumeranno alloro e mirto,
incenso spargerò sull'ara,
intonando un liberatorio Inno.

Il Signore proferì: Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte più di lui-.

La sua pena fu quella d'essere fuggiasco e vagabondo su terra, lontano da lacrime materne, lontano dallo scuro silenzio d'Adamo. Nessun bastone o fuoco, velenoso aspide, pietra o metallo, trafissero il petto del sangue fraterno prigioniero. Nessuno tentò di raggiungere fuggiasco, nella vendetta dei ferri o del feticcio, nessuno maledì il giovane, quale aveva scelto per sé crudele destino. Esiliato, dalla comunità fraterna, esiliato dal lavoro comune, da giornate trascorse attorno al fuoco, abbracciati nella paura di un fulmine. Destino di fuggiasco riservò a lui Signore. Al profanatore di vita evitò stessa sorte del fratello, sacrificato al folle gesto.



L'uomo ha disatteso l'ordine divino:

Lama o fune, schiaffo ammonitore a fanciullo , se d'insana regola vivrai di quella regola morrai; se hai volto nero, se tue tasche sono deserte, se ghetto e fango sono la tua casa, se violenza il pane della strada; lama o fune sarà ultimo schiaffo a corpo cicatrizzato dal dolore.
L'ultimo canto
sarà elettrico sciame,
siringa nelle vene
non curerà corpo
avvelenando assassine viscere
profanerà la sua anima.

Inviolabile a vendetta, impudico omicida, Caino vagabondo sospirerà pentimento e perdono a popolo, quale ignorerà suo volto, egli trascorrerà ore nella solitudine del suo peccare.

Caino,
eremita tra uomini,
sperduto e spaurito
comprenderà nefando suo gesto.
Caino con lama al collo
martirizzato nel suo peccato,
sarà eroe del bandito,
non crederà a sua morte,
lo vedrà vivo tra vivi.
Caino non sarà sacco di pulci
vivo e prigioniero della sua colpa,
ridicolo a sguardo delinquente.
Diventerà santo e protettore
morte sarà dignità,
d'un violento eroe.

...

Il male è idra, serpente dalle molte teste. Una vite, scoperse l'agricoltore, l'ebbrezza rese lui nudo ed incosciente. Un figliolo osò condannare con suo sguardo, il padre. Quale maledì Canaan, ad essere servo dei suoi fratelli, ossequiosi e rispettosi del loro progenitore.
Le acque non purificarono il male, nella stessa famiglia di Noè, la non osservanza della paternità generò, altro seme maligno.Uomini ripresero a commerciare, costruirono villaggi e città di pietra, il loro orgoglio voleva superare in potenza Dio, con torre che raggiungesse il cielo. Il Signore, non seminò tra loro morte, per l'arroganza del loro costruire; confuse loro linguaggio disseminando differenti semi, in ogni terra. Fruttificheranno uomini tra erbe, in luoghi lontani. Disperse il signore popoli e loro anime, acquisirono uni il bene, altri il male. Un solo popolo rimase l'eletto dal Signore. In lui si racchiudeva ora Giustizia e verbo, Divino in terra. Il Signore che aveva sterminato la pervicace mala gente, conferì ad Abramo discendenza.

...

Il signore consegnò la sua spada di giustizia al suo popolo

Dina figlia di Giacobbe, fu rapita e violentata dal principe Sichem. L'affronto alla donna fu affronto al popolo del Signore. Un uomo non circonciso, aveva osato giacere con una donna del popolo che alzava altare al Dio d'Israele. Nulla valse l'amore del principe per Dina. Simeone e Levi figli di Giacobbe uccisero tutti i maschi della città di Sichem. Altri fratelli depredarono e saccheggiarono le case di quelli, facendo schiavi fanciulli e donne, perché la sorella era stata disonorata. "Sorella non può essere trattata come puttana". La vendetta non ha limiti e confine, non pesa ritorsione, non si consuma nell'attimo ma è latente spada intrisa del sangue di chi non è eletto dal nostro popolo.

Contadino
grida alla terra,
restituisci corpo sepolto,
madre e figlio del seme
germogliato nel freddo inverno,
sepolto in coltre di ghiaccio
nel bosco del lupo.
Zanna di spada
addentò mio cuore e fegato,
nell'attimo frantumando
ore, nel colle dei cavalli
rosata alla sera tra vigne
oro nei campi l'estate;
morbida lana bianca
nel focolare, chiacchiere svaporate
pentola d'acqua senza odio,
in quelle ossa sepolte
dita contadine
affonderanno mani alla terra,
rinascerà germoglio,
grano nell'onda del vento,
voce a ricordarci:
- non divenire morso del lupo,
nell'inutile vendetta,
spargerai due volte
tuo stesso sangue.

Femminea carne, chiede vendetta, per mancanza d'amore. Fuggì il casto Giuseppe dalle voglie della moglie di Putifar, quale gridò suo nome come tentatore della sua virtù.

Lauta carne avvolse
veste, intrise in profumo,
dita laccò con geranio,
bocca, rese frutto,
porgendo vino in calice
a labbra dell'uomo, inerte
a sguardo brillante,
navigante, in acque salmastre,
umida pelle, cercò carezza
nel corpo a lei fuggente;
animoso, si fa pensiero,
sdegnato, a vorace desiderio,
quale sfugge a costume
dell'uomo, vincitore d'una virtù
dissolta, nel sospiro della carezza.

Comandamenti

Legge ed ordinamento d'un popolo. Divine d'una nascente civiltà, quale comanda ordine, a coloro che depredano ed uccidono. Nessuna legge, nessuno stato. 
Il peccato del singolo, diviene il peccare del popolo.

Faccio parte di questa comunità del mondo, non me ne tiro fuori, appartengo a questa mota, canneto e palude, rivestito di marmo.
La mia tavola tra poco sarà cucina, piatto di pasto per Annunzia. Sarà sorriso di pesce o carne? Dubbio, oggi il dubbio sfiora ogni mio pensiero. Si, sfiora ma non ne viola l'essenza.
Sono e resto quel bambino avvolto nel fango, celato in un canneto, che mi fa sbirciare sprazzi di vita. Sofferenza ma anche nudo corpo che si bagna in acque profumate. Oggi vedo solo volti putrefatti fatti galleggiare sulle rive, s'adagiano nel pietrisco dello stagno, dove ogni corpo è solo materia che si decompone e rivive in un altro essere vivente, serpe o allegria d'un usignolo. Decomposizione che richiama alla vita, vomito aspetta carezza di un bacio, carni aperte ad occhi erotizzati, assetati d'una bacca e di quel piatto di profumi, abbandono nella delizia, mentre altri corpi galleggiano in quelle stesse acque, e corvi dilaniano ventri.
Impegno sociale, vecchi stracciati e mani callose di piaghe. Sputo sulla vanga, mentre damerino schizza veloce su cavalli motore, e sicario fa lavoro sporco che lo renderà ricco e un giorno rispettato possidente, magari aristocratico dal nasino incipriato. Quel venditore d'ideologie, all'angolo della strada, lisi vestiti, barba sfatta, oggi è un capo di governo con occhiali d'avvocato. Burocrate che avvalla guerra, per affermare che anch'io legittimato, sono parte di quella élite che assaggia potere del tiranno: 
Sono IO l'immenso pene, obelisco di una piazza Santa, a spruzzare girini per il mondo. Sarò l'unico, il globo sarà mio clone; i papaveri parleranno la mia lingua e pesci udranno con l'orecchio dell'universo chiamato l'immenso ego. 
Chiamarsi etnia e nazione, scrivere sulla bontà della razza e l'ardimento di un popolo non è identica cosa che parlare di sé e dell'intelligenza dei nostri pargoletti? Tutto suo padre, furbo ed ingegnoso, unico astro in un mare di flaccidi scuri molluschi. L'altro pene è semenza da poco, ora l'orgasmo parla femminile e la clitoride è obice che invidia a quella pietra la maestosità dell'aspetto. 
Demolire l'obelisco altezzoso, parola d'ordine, al suo posto collocare conchiglia, dura e scorzosa, istrice che beffa un piatto di lombrichi. Pilota femmina che sbriciola fasce, non allatta con seno ma gioca con sue sfere di plastica, mongolfiere che gettano dardi, in strade ribelli al popolo eletto dal danaro. Smarrita la pietà femminile, se non in quei pianti di madri, straccione contadine nel rosso confine, tra morte e deportazione. Poesia? Dove? Dissolta in un guanto di lino, scollatura di pelle in lunghe magre caviglie di seta. Foto, di una sera qualunque, ignota l'una all'altra, uguale sera di noia. Immagine di video, guerra o cinema? Seduti in poltroncine, quattro sbadigli in una cena di scatolette, pantaloni slacciati nell'attesa del pigiama. Nessuno sorride, neppure per le cosce scure, che si depilano in quell'inferno immaginario. Sbadiglio e pallone volano sopra la traversa, rete mancata; una mano solletica la pigra sacca della genia, neppure un sospiro, ormai è sera e domani è lavoro, sognando un super enalotto di rosso Ferrari. Le mille lire per quei bambini, una giocata anche per loro, se diventerò ricco ci penserò, potrò elargire una moneta, per far spegnere dal video volto di lacrime.

Poesia…come è possibile poesia della vita, in un mondo dove quotidianità è delitto ed indifferenza al delitto.

Danza dell'amore,
in terra petali di carne,
lussuria avvinta in morte,
una rete di granate
corsa nelle curve dorate
antipasto di gloria per una rossa,
che non ha capelli fluenti
alabastro per capezzoli,
un rombo sulla terra della falce .
Fazzoletti non nascondono lacrime, 
sacchi neri, nelle corsie affolla 
altra riva o sponda,
frecce d'argento e bionda del momento,
a raccontare gloria del pallone,
un diavoletto e angiolo azzurro
cielo con nubi di polvere,
polvere umana
a ricadere pioggia
sulle bianche banchine,
gustandosi un gelato.

Non tesserò lodi della morte, nel raccontare dello splendido falco che bevve tra artigli innocenti frammenti di cristallo. Un fantaccino dello sceicco condusse ciurma, pirati delle mediterranee coste ad immolarsi nelle carlinghe nemiche. Quattro vele bianche, intrise del sangue dei trasvolatori, seppellirono in bare di polvere sogni, ipocrisie, invidie ed amore, in una parola moltitudine di vita.

Non berrò quella città
senza di settembre il sale, 
biblico rogo della fatuità 
bruciante umana calamità
ebbe occhi lustrati
in una pura preghiera
da nudi mani trasse
arma, incendiò anime
forse peccatrici, ladre e menzognere,
accattivanti avventurieri del danaro,
prostitute e amanti della pietra
brillante nell'alto, delle torri
a solleticare di potenza il cielo.
Caduti con l'angelo ribelle
al suono delle sirene
trascinando eroi d'acqua,
inermi a spengere fiamme
divine alle scellerate schiere.
Ali scesero insanguinate,
polvere, ascese nel cielo,
umiliando d'oscurità
verbo divino.

Illuminerò il mio sguardo, nella fraternità delle mani giunte. Dio non ha bisogno dell'uomo per giustizia all'inosservanza della legge. L'aquila ferita dai suoi stessi artigli, non potrà proclamarsi signora dell'infinita vendetta. All'umano è consentito solo ordine che attiene alle sue regole, nessuno può usurpare imperscrutabile disegno divino. La spada che uccide non può avere inciso sulla lama il sacro nome. Smarrimento non sia vino ed ebbrezza per i predicatori di guerra e i faziosi partigiani della ideologia della pace. Nessuno s'arroghi il diritto d'uccidere Caino, nessuno s'arroghi il diritto di giudicare l'uno colpevole d'ingiustizia e l'altro Abele sacrificato all'odio. 
L'uomo chiamato a risolvere problemi ad ogni passo del suo lungo sentiero di vita. Qualcuno vorrà rubargli casa, bottino spargendo il suo sangue; egli potrà proteggere suo corpo ma non potrà spargere morte nella casa dell'altro.
Giusta infinita guerra, il cielo, punisce delitto del cielo, fuoco purificatore sparge sue spore tra colletti bianchi, sulle teste dei neri turbanti; polvere si mistura a polvere, brandelli d'un infinito dolore a rincorrersi in accanito livore, in pietrosa terra a delinquere a nome di straniere ragioni, riducendo pietà a silenzio. 

Altare dell'olocausto

Fasce nere e littorio, la nera vedova partorì cavaliere teutonico, quale avvolse nelle sue spire la stella su braccia fanciulle, donne spaventate, uomini che odiavano violenza, furono capretti dedicati al nuovo dio sterminatore. Parola dovrebbe tacere nella vergogna, d'essere definito uomo d'una civile nazione.

A non dimenticare

Notte vorrebbe navigare poesia,
dolcezze d'ogni volto,
la voce vaga nel mondo
cometa silenziosa
alla dolorosa memoria,
dimentica dell'orrore
d'ogni spiaggia di sangue
campo coltivato con ossa,
filo di ferro strozzando gola,
occhi di bambino soffocati d'odio
naturalità la morte.
Sopravvivenza,
pane nelle tasche moribonde
camera umida di morte,
rantolo nel buio
ricordando un cielo di stelle,
l'amore alla finestra
il delicato volto,
al quale soffiavano poesia,
ora sono labbra bagnate
nel bacio del cianuro.

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