Vittorio Aprea
NTUNETTELLA
Ntunettella, la figlia di don Luigi e donn’Alfonsina, era una creatura che
a ventisette anni era rimasta con i sogni e le illusioni di una ragazzina
di 12-13 anni o poco più. Amava la vita e, pur vivendo nella miseria più nera, amava soprattutto suo
marito: un bel giovanotto di 30 anni, moro, con baffetti appena abbozzati
su un viso segnato dalla fatica ed abbrunito dal sole. Michele, questo era
il suo nome, esercitava il mestiere di rigattiere ambulante, “’o
sapunaro”! E Ntunettella l’aveva conosciuto così, con un sacco in
spalla, mentre dava la voce da un vicolo all’altro, tra via Francesco
Toraldo, via Nicola Rocco, piazza Poderigo e via Arenaccia... Si era
invaghita di quel giovane sodo, robusto, eppure dai lineamenti tanto fini
da sembrare un nobile decaduto, sempre sorridente e cerimonioso. Si erano
dichiarati il loro reciproco amore e, dopo un po’, erano convolati a nozze
senza soldi, senza casa, senza niente!...
Quindici anni lei, diciotto lui! Sempre vicini, premurosi, amanti e amati.
Erano andati a vivere in casa di lei, in via Arenaccia, insieme con don
Luigino e donn’Alfonsina.
Ntunettella cuciva, si arrangiava a fare la sarta e Michele girava le
strade della città, in cerca di racimolare qualche soldo per tirare avanti
la famiglia. Dodici anni era durato quel matrimonio, dodici anni di
felicità e di sacrifici, dodici anni di miserie e d’amore, il cui frutto
era costituito da due figliuoli, nati a due anni di distanza l’uno
dall’altra.
Tutte le sere Ntunettella non andava a letto se non al ritorno del suo
Michele e non si davano la buonanotte, ma il loro saluto in quel letto
rimediato su due tavole e un materasso di crine, in quella stanzetta che
era una stamberga con mura affumicate da una fornacella posta in un
angolo, il loro saluto era sempre lo stesso:”Miche’, dimme ca me vuo’
bbene!...” sussurrava lei, stendendosi sudata e discinta a fianco del
marito, e Michele immancabilmente le rispondeva:”Sì! Si’ tutt’’a vita
mia!..
Nessuno oggi saprebbe vivere di solo amore e stenti come allora!
Quei due sposi sfidavano il tempo e il tempo, a sua volta, li tallonava,
li incalzava, cercando il momento adatto per coglierli in fallo, per
guadagnare un breve spazio tra quella coppia, per distendersi anche egli
tra loro due ed interrompere, anzi cancellare, quell’idillio! E tutto
questo avvenne proprio allo scoccare del dodicesimo anno di matrimonio.
Ntunettella cominciava a mostrare i segni di un male incurabile: il roseo
delle guance disparve per far posto ad un pallore sempre più evidente, la
sua folta chioma corvina si riduceva e comparivano larghe chiazze di
tessuto cutaneo tra sempre più radi cespugli di capelli fluenti, le mani
diafane avevano assunto un tremolio intermittente, le parole uscivano da
quella bocca perlacea sempre più strascicate, incomprensibili e tutto
l’organismo della povera giovine si debilitava giorno dopo giorno. Le
amorevoli cure dei suoi cari a nulla potevano!
Era solo questione di tempo! E il tempo lavorava instancabilmente alla
rovina di quell’essere fragile ed alla distruzione di una felicità
familiare durata dodici anni appena...
Michele assisteva impotente al disfacimento di quel corpo tanto amato e
guardava, fissava la sua Ntunettella come un pover’uomo, abbandonato sul
molo della vita, mentre vede la nave della Morte trascinare via sull’onde
del Tempo il suo bene più prezioso: l’unico vero bene! In pochi mesi la
falce inesorabile della Morte portò via la donna e, subito dopo i
funerali, compiuti con i segni della miseria più nera, con un seguito di
pochissimi vicini legati alla povera famiglia, pochissimi fiori e tanto
dolore attorna a quella bara scura, Michele, tutto scamiciato, con gli
occhi velati di lagrime, si buttò sulle spalle un sacco vuoto e riprese a
girare per le strade solite, singhiozzando: “Sapunare!... Rrobba
vecchia...
Era una giornata di sole, di quel sole che indora Napoli e i suoi
abitanti, rendendo tutti pervasi da una felicità strana, senza motivo,
forse una felicità instillata da quel disco solare che dava ogni giorno
speranza per il domani, rendendo tutto bello intorno, tutto fulgido ed
eterno.
Solo, Michele si aggirava per i quartieri più popolari e, con le lagrime
agli occhi, con qualche singulto nella voce, continuava a gridare:”Sapunare!...
Rrobba vecchia...
Qualche passante, però, giurava di avergli sentito dire sottovoce:” Sì!
Si’ tutt’’a vita mia!!!”
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