Il CASO WELBY:

I LIMITI DELLA SCIENZA

Dicembre 2006

 

Eutanasia o accanimento terapeutico, di questo si sta discutendo in questi giorni sulla scia del caso Welby.

Io però credo che, al di là delle discussioni astratte, quest’uomo – così provato da un destino infame - abbia voluto sensibilizzare l’opinione pubblica sul grande valore della vita e sul peso della malattia che l’annienta, quando e perché la medicina non è in grado di alleviarne le sofferenze.

 

Il caso Welby è un caso estremo, ma – io credo – il vero imputato di questa storia non è una legge carente o una classe politica insensibile, bensì è la medicina, è la scienza che nulla può contro certe gravi malattie, se non mantenere artificialmente una vita che vera vita non è più.

 

Alcuni sollecitano un intervento legislativo per regolamentare i casi d’accanimento terapeutico e/o d’eutanasia.

Si ha accanimento terapeutico quando si è in presenza di malattia terminale, sulla quale – cioè - i farmaci non sono in grado di produrre alcun miglioramento se non la riduzione del dolore fisico; in questi casi, il decorso naturale della malattia è la morte. Si ha, invece, eutanasia quando l’intervento non si limita a staccare una macchina che tiene in vita un corpo.

 

Io credo che il legislatore dovrebbe fare molta attenzione quando interviene in un campo così delicato.

Ritengo, infatti, che lasciare al singolo malato una potestà decisionale di vita o di morte sia molto, molto pericoloso, pensiamo ai casi di depressione, il malato – in quelle condizioni – prenderebbe una decisione che in un altro momento non prenderebbe, ma questa decisione è senza ritorno.

Inoltre, a parte i casi estremi, la speranza e la fiducia nella scienza e nel suo progredire possono – a volte - aiutare più di una medicina. Insomma, io credo – ed in questo mi sento cattolica – bisognerebbe aiutare a vivere e non aiutare a morire, casi estremi a parte.

Soprattutto, il legislatore dovrebbe contribuire, favorire ed incentivare la ricerca scientifica affinché non ci sia più bisogno di parlare d’accanimento terapeutico o d’eutanasia.

 

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