LA RELIGIONE E LA SUA FUNZIONE SOCIALE

 

 

 

Aprile 2005 

 

Perché le pratiche, le istituzioni e le convinzioni religiose continuano ad essere una componente essenziale della vita sociale?

 

La ritualità ed il sacrificio, tipici della religione, appaiono (ad uno sguardo superficiale) irrazionali ed autolesionisti: l’ebreo ortodosso che passa ore in piedi vestito di nero davanti ad un muro sotto il sole, i musulmani sciiti che si feriscono a sangue in determinate ricorrenze, i “soldati di Dio” di Phuket che in occasione di una loro festa si trafiggono, i bulgari che il giorno dell’Epifania si buttano nell’acqua gelata per recuperare un crocefisso o le mutilazioni sessuali a cui vengono sottoposti tanti giovani nel mondo, non sono fenomeni isolati ed, in genere, rappresentano forme di coesione sociale molto forte.

 

Nel XI secolo esistono ancora forme così arcaiche e primitive d’appartenenza sociale perché la religione ha – da sempre – rappresentato il collante, lo strumento per ottenere, dai componenti la comunità, cooperazione sociale.

La ritualità ed il costo personale dell’appartenenza, il sacrificio, hanno – da sempre – rappresentato la prova e la garanzia per la comunità che la sua importanza è prevalente rispetto all’interesse personale.

In un gruppo, infatti, potrebbe essere forte la tendenza dei singoli a non contribuire alla sussistenza della comunità, dormendo anziché lavorando.

Il legame religioso, attraverso l’iniziazione ed il sacrificio, serve proprio a creare quel vincolo emotivo funzionale alla solidarietà di gruppo.

 

Io credo – tuttavia – che, in un mondo consapevole ed istruito, la solidarietà e la cooperazione, il rinunciare un po’ per sé per dare agli altri, siano anche valori laici, necessari allo sviluppo dei popoli ed al benessere collettivo da cui dipende quello individuale.

 

Solidarietà e cooperazione possono esistere in un mondo consapevole ed istruito, senza chiamare in aiuto la religione, di cui qualcuno disonesto potrebbe farne cattivo uso.

 

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